10.7.16

Gran Bretagna e Spagna. Sinistre alla ricerca di una linea (Aldo Garzia)

Le sinistre di Gran Bretagna e Spagna sono alle prese con le scosse di assestamento del terremoto politico provocato nei due paesi dalla Brexit nel primo ed elezioni politiche nel secondo. Entrambi gli appuntamenti hanno avuto esiti imprevisti. Messi a dura prova sono il Labour party con la leadership di Jeremy Corbyn e il Partito socialista (Psoe) guidato da Pedro Sánchez. In terra iberica è in sofferenza anche la nuova sinistra di Unidos Podemos, che puntava sulla propria partecipazione al governo in tempi stretti. La radiografia del dibattito in corso è utile per capire problemi e questioni su cui sembra essersi arenato da tempo il dibattito e il rinnovamento delle sinistre europee.
In Gran Bretagna, dove è in corso la lotta per la successione della premiership tra i conservatori, la Brexit ha messo in ginocchio pure il Labour. Mentre David Cameron è rimasto schiacciato dal risultato del referendum avendo sostenuto un timido in contro l’orientamento di gran parte del suo partito, la posizione di Corbyn è apparsa ancora più flebile: pur facendo intuire nella campagna elettorale gli effetti negativi dell’uscita dall’Europa, il segretario laburista non ha avuto la determinazione di schierare il proprio partito su una posizione europeista. Ora i deputati che lo hanno sfiduciato a grande maggioranza gli rimproverano di non essersi differenziato a sufficienza dai Tories e di aver condotto il Labour su una linea inconcludente. Chi conosce la storia dei laburisti a proposito di Europa sa però come diffidenza e ostilità verso il progetto comunitario siano radicate nella sinistra britannica. Non era facile per Corbyn imprimere una svolta. Perfino Tony Blair, che ha governato dal 1997 al 2007, non si è mai caratterizzato per il suo europeismo. Anzi, con il senno di poi, colpisce che anche la sinistra moderata di casa nostra abbia negli anni novanta santificato la politica neoliberale e di riscoperta del “centro” facendo del blairismo il punto di riferimento della propria bussola ma dimenticando l’handicap di Blair: non poteva essere leader della sinistra europea chi aveva uno scarso tasso di europeismo nella propria cultura politica.
Corbyn per ora non ha intenzione di mollare. Prova a resistere alle critiche e all’onda d’urto dei blairiani – Blair ha annunciato che vuole tornare a occuparsi delle vicende di orientamento del Labour – che ne criticano la politica eccessivamente di sinistra sui temi internazionali, dei diritti, dell’ecologia e del lavoro. Corbyn può contare su quanti lo hanno portato al vertice (i sindacati innanzitutto) chiedendo il radicale rinnovamento della strategia del partito e sulla galassia della sinistra interna (per tradizione e organizzazione peculiare del Labour hanno diritto di cittadinanza trotzkisti, femministe, ecologisti e spezzoni di sinistra radicale). Sarà Corbyn a condurre i laburisti alla prova elettorale contro il successore di Cameron? Troppo presto per dirlo. Occorrerà un congresso per decidere il da farsi su immigrazione, politiche economiche, relazioni da ridefinire con Bruxelles, problemi internazionali su cui pesa l’eccessiva subalternità alla politica statunitense che il “no” all’Europa potrebbe accentuare.
In Spagna i socialisti ribadiscono intanto la propria contrarietà sia a un governo di unità nazionale con i popolari, sia a una benevola astensione verso un monocolore del Partito popolare (Pp) guidato dal premier uscente Mariano Rajoy. Il segretario Sánchez ha ricostruito l’unità del partito su queste posizioni scegliendo la via dell’opposizione. Quanto alla governabilità, ha suggerito al Pp di guardare a partiti e formazioni nazionaliste, oltre che ai centristi di Ciudadanos, per assicurarsi una maggioranza offrendo loro una riforma costituzionale, su cui convergerebbe il Psoe lasciando lo spiraglio aperto per altre convergenze, che faccia della Spagna un paese più federalista. Per ora neppure Felipe González, storico leader ed ex premier per quattro legislature, ostile a ogni rapporto con Podemos, ha osato optare per una soluzione diversa.
Il Psoe resta comunque sotto shock. Ha evitato il sorpasso di Podemos, tuttavia il 22% resta pur sempre la minima percentuale di consensi elettorali dalla transizione democratica in poi. Il partito è inoltre percorso da alcuni casi di corruzione a livello periferico e chiede un ricambio di dirigenti a tutti i livelli. Sánchez è consapevole che una linea governista (sul modello della Spd in Germania) potrebbe far cadere il Psoe nel precipizio. Sui rapporti con Podemos preferisce invece prendere tempo. Pure in Spagna, come in Gran Bretagna, o il Partito socialista si rinnova politicamente e organizzativamente o rischia di arenarsi nel pantano che avvolge la sinistra socialdemocratica europea. A questo proposito, il Partito del socialismo europeo e l’Internazionale socialista, nonostante le sigle altisonanti, sembrano attualmente davvero gusci vuoti non riuscendo a invertire la crisi di afasia in cui è piombata la sinistra europea di tradizione socialdemocratica di fronte a populismi di diverso colore e alla necessità di innovative politiche su scala continentale.
Dibattito aperto in Unidos Podemos, non indenne dallo scossone elettorale. Il leader Pablo Iglesias ha annunciato che è giunto il tempo di consolidare questa formazione politica nata sull’onda del movimento degli indignados e di pensare all’azione parlamentare e sociale dei prossimi quattro anni. «Siamo entrati in una nuova fase e occorre correggere il nostro progetto. Dobbiamo diventare un esercito regolare e non più di partigiani che affronta anni di opposizione parlamentate e nella società», ha detto in un seminario all’Università di Madrid sui risultati elettorali mostrandosi critico verso l’idea di una possibile partecipazione al governo di Podemos in tempi brevi («Abbiamo avuto troppa fretta?»). Inigo Errejón, altro leader che però non concorda totalmente con le posizioni di Iglesias, nello stesso seminario ha sostenuto che non si deve rinunciare nel medio periodo all’obiettivo del governo: «Dobbiamo essere meno sexy e più rassicuranti per quanti chiedono una politica nuova per la Spagna». Resta poi la ferita del mancato sorpasso sul Psoe.
Errejón alla vigilia delle elezioni si era espresso criticamente sul rapporto unitario con Izquierda unida, fortemente voluto da Iglesias, sostenendo che avrebbe annacquato l’immagine di novità di Podemos mescolandola troppo con spezzoni residuali di gruppi neocomunisti (posizione ribadita dopo il voto). Sullo sfondo resta infine il tema dei rapporti con il Psoe. Una collocazione unitaria all’opposizione per una intera legislatura riaprirebbe i canali di comunicazione e di confronto tra le due forze che governano insieme a Madrid, Barcellona, Valencia e in altre città. Per Unidos Podemos sono ormai maturi i tempi per una fase congressuale a tutto campo. Il passaggio da movimento a partito non sarà impresa facile. La dimensione dei consensi e delle responsabilità rende ineludibile il salto di qualità. Hic Rhodus, hic salta.


pubblicato nel sito de Il Ponte, 5 luglio 2016 

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