3.9.10

Pedofilia e Messe nere a Varazze e dintorni (intervista di M. Lunetta a Pier Luigi Ferro)

Ho già proposto una nota sul libro Messe nere in Riviera. Gian Pietro Lucini e lo scandalo Besson, costruito da Pier Luigi Ferro attraverso le carte del poeta anarchico conservate nella Biblioteca Comunale di Como (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/08/tra-le-carte-di-lucini-le-orge-dei.html). Nel sito “Le Reti di Dedalus” del Sindacato Nazionale Scrittori anche Mario Spinella dà conto del libro in una breve recensione e con una intervista a Ferro. Della conversazione riporto qui ampi stralci.

1) Certo nessuno meglio del compianto Edoardo Sanguineti avrebbe potuto produrre per Messe nere sulla Riviera una prefazione come quella che tu hai giustamente intitolato Questionario (preliminare) a Edoardo Sanguineti. Le ragioni sono perfino ovvie, ma ripeterne qualcuna non è inutile.

Il titolo un po’ insolito della prefazione nasce da un’idea che ha divertito e convinto Edoardo Sanguineti quando gliel’ho proposta: all’interno del saggio è riprodotta una serie di domande, con relative risposte, che Lucini pose a Vincenzina, la madre, e Alessandro Besson, il ragazzo al centro di quelle vicende, il 21 dicembre 1907, dopo aver deciso di comporre e pubblicare le sue Glosse al Diario Besson, un volumetto «di poche pagine e di pronta vendita alla Notari», con cui voleva rialimentare lo scandalo che si stava cercando di insabbiare. Lucini chiama il testo di quest’intervista, secondo l’uso, “questionario”. Ecco: mettendo Sanguineti al posto di Alessandro, il suscitatore dello scandalo, è stato un po’ un gioco e un po’ un modo di alludere alla funzione provocatoria di quella prefazione.

Scegliere Sanguineti come prefatore era cosa obbligata: fu l’artefice, com’è noto, della riscoperta di Lucini negli anni Sessanta, in particolare di quello che egli chiama il “Lucini ulteriore”, cioè successivo alla stagione simbolista, insomma il Lucini più politico, satirico delle Revolverate.

A ciò aggiungi che Sanguineti ha voluto fortemente questo libro: venne a Savona nell’aprile del 2008, quando presentammo al Teatro Chiabrera la ristampa del Verso Libero di Lucini e lì cominciai ad accennargli qualcosa su ciò che avevo trovato. Qualche tempo dopo mi arrivò una sua telefonata che mi sollecitava a mettermi in contatto con la Utet per dare inizio al lavoro.

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2) A te interessa mettere il più possibile in luce, con dati documentali ineccepibili, lo stato in cui versava all’epoca dell’affaire l’Italia giolittiana, sia in senso sociale che morale: la doppia morale cattolica, che non è stata ancora abbandonata. Il tuo intende essere un saggio su un fenomeno specifico e al tempo stesso un contributo di cultura politica.

Voglio premettere un’osservazione: in questi mesi la questione della pedofilia clericale ha occupato molto spazio sui mezzi di comunicazione di massa, a dar conto di un fenomeno di portata impressionante. Ciò ha condotto il Papa a prendere una posizione molto netta, in singolare contrasto con le politiche da sempre mantenute. Si può obiettare, non senza ragioni, che quella di Ratzinger sia stata una scelta obbligata, ma ciò non toglie che sia stata fatta e sia in sé apprezzabile. Che questo mio saggio veda la luce in un simile momento è una, a mio parere felice, coincidenza.

Non si tratta di un instant book. Chiunque vorrà leggere il libro si renderà conto che si basa su un lungo lavoro di ricerca, durato in effetti circa un anno e mezzo, negli archivi. Non solo quello luciniano di Como, ma anche gli Archivi di Stato, dove ho trovato le sentenze processuali collegate agli eventi di cui tratto, e altri archivi periferici. A questo va aggiunto tutto il materiale che ho reperito sulla stampa dell’epoca, schedando almeno quattrocento articoli apparsi su periodici locali e nazionali.

Il mio primo obiettivo è stato quello di una ricostruzione il più possibile obiettiva di fatti assai intricati: ne è venuta fuori una storia per molti aspetti esemplare, che parla moltissimo anche del presente. È impossibile dar conto di tutto ciò in poche righe, preferisco rimandare alle pagine del libro; ma se dovessi enucleare due temi tra i tanti che si possono proporre, indicherei quello della mistificazione, ossia del processo di travestimento della realtà attuato tramite i quotidiani e i mezzi di comunicazione, per indirizzare ai fini della politica o assopire la coscienza collettiva. In più punti del libro dò conto dei mezzucci, degli artifici utilizzati per raggiungere quei fini. Mi pare che tali fenomeni, sempre presenti, va detto, nelle diverse epoche e in diversi contesti, trovino però nell’Italia di oggi una specie di età dell’oro.

Il secondo tema che vorrei sottolineare è quello del clericalismo, fenomeno deteriore e deprecabile che consiste, in poche parole, nel concedere al clero privilegi e vantaggi non dovuti e nell’indebolire la laicità dello stato. Le radici del clericalismo contemporaneo in Italia, a mio parere, si trovano appunto nell’epoca giolittiana, ossia negli interessi e negli atteggiamenti della borghesia liberale di allora, disposta a svendere gli ideali risorgimentali pur di ottenere il voto cattolico allo scopo di contenere l’avanzata socialista. Radici che han poi dato i loro frutti nel Concordato fascista del 1929 e nel dopoguerra. In questo percorso lo scandalo Besson e le vicende collegate che racconto offrono uno squarcio veramente emblematico, estremamente significativo.

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3) Il tuo libro procede con un andamento a rete, o (meglio detto) a patchwork che si arricchisce di elementi ulteriori man mano che la tessitura procede. Il lettore ha l’impressione complessiva di avanzare in un campo la cui confusione si chiarisce sempre più, fino a che appare un disegno definito, pur nel torbido e nell’ambiguità che giocano a rendere implausibile (da parte di diversi responsabili) qualsiasi avvicinamento alla verità dei fatti.

Mi si è posto subito, dal momento in cui avevo concluso la schedatura di tutto il materiale raccolto sul tema, il problema di come condurre l’esposizione dei fatti attinenti alla vicenda del Diario Besson, mantenendo però evidenti tutti gli equivoci che essa presentava. Si badi bene: si tratta di una storia per molti aspetti rimasta oscura anche allora. La scelta di offrire una struttura narrativa non semplicemente lineare ma, come la definisci tu, e non ho motivo di rifiutare ciò, a rete o a patchwork, mi ha consentito appunto, di mettere in scena un processo di disvelamento progressivo, di indagine e scoperta che facesse parlare i documenti e insieme desse conto anche di tutti i margini di ambiguità che in essa si erano mantenuti. Così facendo ho quasi messo il lettore nelle condizioni degli italiani che in quei giorni leggevano di questi fattacci sui periodici, cercando di costruirsi una chiara visione dei fatti. Sono contento che nel lettore essa produca l’effetto che tu hai descritto, perché è quanto cercavo.

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4) Quella che tu esplori con eccezionale precisione e acribia è pur sempre l’Italia che – come rileva Sanguineti – premia Bava Beccaris dopo i fatti milanesi del 1898. In questo senso trovo illuminanti sia la tua analisi del salesianesimo e della figura di don Bosco (schierato su posizioni nettamente classiste e reazionarie rispetto al lavoro) che quanto fai emergere da certe prese di posizione ufficiali della nostra psichiatria positivistica più rappresentativa, senza rimedio arretrata rispetto alle ricerche che stavano prendendo piede nel resto d’Europa (basta pensare che L’interpretazione dei sogni di Freud appare nel 1899!).

In realtà lo scopo della mia indagine non era quello di fornire una lettura storica dell’opera salesiana né tanto meno di emettere un giudizio. Non è sbagliato quel che tu dici e che Sanguineti stesso sottolinea nella prefazione circa il rapporto tra salesianesimo e nascente industrialismo, e non è neppur errato riconoscere come reazionarie certe posizioni, oggi. Penso che, però, collocate nel contesto in cui sono state espresse assumano una dimensione più corretta. In fondo anche un progressista come Lucini allora si augurava provocatoriamente che il popolo rimanesse analfabeta, perché continuasse a mantenere la sua nativa sensibilità e non si trasformasse in una massa di tecnici, operai e contabili. L’approccio alla modernità si è svolto davvero in maniera molto contraddittoria ovunque, ma particolarmente in Italia, come sottolinea Sanguineti, dove si è configurato quasi come un flagello. Quanto alla questione della psichiatria positivista italiana non sarei così severo. Mi sembra che gli scienziati coinvolti, Lombroso ma soprattutto Morselli, ne escano non benissimo in ragione dei condizionamenti che ne ricevono, non in quanto titolari, diciamo così, del metodo positivo. È vero però che in Italia ci si confronta molto tardi con la psicanalisi e con le questioni che propone, ne spiegava bene le ragioni Michel David qualche decennio fa, per le ostilità culturali che essa suscitò nella cultura tardo-positivista – penso al celebre saggio di Morselli, appunto, che fece infuriare Freud – così come in quella cattolica e fascista poi.

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5) Un ultimo punto. La tua scrittura saggistica è, anche in Messe nere, equilibrata sì ma piena di efficacissime pulsioni. La si direbbe in forte misura “luciniana”. Ma ancora: puoi dire qualcosa a proposito del tuo metodo di montaggio, che ho definito “a rete”, o più precisamente, “a patchwork”?

È proprio l’utilizzo “a patchwork” dei documenti, molti dei quali provenienti dalla pubblicistica dell’epoca, estremamente faziosa, che mi ha consentito di mettere in evidenza tali spunti, quasi assumendoli e facendo da sponda, in questo senso, al lettore. Trovare, ad esempio, su un giornale cattolico la giustificazione che le tracce di abusi riscontrate dai periti in un’area, diciamo così, molto intima dei ragazzi coinvolti potessero dipendere da un’indigestione di pere acerbe, oppure che un sacerdote milanese, coinvolto in un analogo, contemporaneo scandalo e risultato infetto da una malattia venerea, si sia giustificato davanti ai magistrati sostenendo, così almeno racconta un cronista, di averla contratta trattenendo troppo a lungo l’orina in confessionale, mi ha consentito di dar forma ad alcune di quelle pulsioni cui tu alludi. Non fosse per la materia trattata, per certi aspetti tutto ciò mi ha anche divertito, come spero diverta il lettore. Anche la stampa anticlericale non era da meno, tuttavia. C’era allora un quotidiano che manteneva una rubrica fissa sulle malefatte del clero, intitolata Frate porco. Insomma, per quanto l’intento sia stato quello di esporre il più obiettivamente possibile gli eventi, il lievito di quelle polemiche vivacizza indubbiamente il saggio e lo rende, almeno così spero, più godibile.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando si parla di messe nere o satanismo sarebbe opportuno conoscere la storia che la letteratura ci ha tramandato prima di fare delle osservazioni fine a se stesse.
La cosa che mi ha sempre incuriosito è stata quella di capire l'origine di queste storie e proprio grazie al libro di Massimo Introvigne "I satanististi" e all'autobiografica dei vari autori dal 1400 ai giorni nostri in tema di satanismo, superstizioni, massoneria..., si comprende come sia una pura fantasia, fatta eccezione quando viene strumentalizzata in modo delinquenziale.
Perciò smettiamola di creare tensioni sociali manipolando i tre elementi che inducono l'essere umano a una destabilizzazione facendo leva sulla paura, l'angoscia, l'emotività.
Salgari, grazie alla sua fantasia, ha scritto un bellissimo libro sulla Malesia senza mai esserci andato.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Egregio anonimo amico, se ha letto il testo, ha notato come non si parli di Messe nere. Esse sono nel titolo del libro (forse per destare curiosità), in forma vaga nel diario di Besson e nella polemica anticlericale e antisalesiane negli anni dello scandalo. Legga il libro. E' bello. Le assicuro che non è assolutamente necessaria una approfondita conoscenza storica sul satanismo. Vedrà che è bello e interessante.

Anonimo ha detto...

L'autore del saggio ha evidentemente usato nel titolo l'allusione alle messe nere perché con questa sigla si parlò delle scandalo Besson sulla pubblicistica di allora. Il valore del libro, documentatissimo, sta nella ricostruzione storica di un momento chiave e poco ricordato dell'età giolittiana, che tra le altre cose getta una luce molto significativa sulle radici storiche del clericalismo nostrano. Rivela inoltre come certe strategie di rimozione emerse durante gli scandali sulla pedofilia clericale negli USA, in Irlanda ecc. e venute a conoscenza del pubblico italiano in questi mesi, si siano manifestate (purtroppo con successo)già in Italia cento anni fa. Solo che qui da noi tutto è stato messo a tacere, ed è rimasto nascosto. E' un libro da leggere.

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