Lo so che è tutto un altro genere, ma da giovane mi piaceva di più Arigliano e, in suo nome, litigavo con gli innamorati di Celentano. Sul confronto-scontro tra i due non ho cambiato idea neanche adesso che il magnifico Nicola dello swing all’italiana ci ha lasciati, e tuttavia devo ammettere, a 50 anni di distanza, che Adriano Celentano non manca di fascino e lo conserva nel tempo.
Su “Le reti di Dedalus”, rivista on line del Sindacato scrittori, nel “diario d’autore” di Marco Palladini intitolato L’arte e i suoi molti, ho trovato la noterella seguente, che rende conto delle ragioni della durata dell’artista milanese, con apprezzabili argomentazioni. (S.L.L.)
Si è scritto che gli Usa hanno avuto Elvis Presley, l’Inghilterra i Beatles e l’Italia Celentano. Certo Elvis the Pelvis e il quartetto di Liverpool sono stati e sono tuttora icone pop-rock planetarie. Adriano lo conosciamo noi italioti e (sembra) un po’ di fans in Russia. Però è difficile contestare che a fronte di una carriera che dura da oltre mezzo secolo (pur con lunghe pause) il seguito di massa che continua ad avere Celentano è enorme. Ogni volta che si riaffaccia alla ribalta crea suspense e attesa spasmodica e non si può, snobisticamente, evitare di vederlo. Tutti ‘celentanati’ l’8 e 9 ottobre scorso per i due concerti all’Arena di Verona. 40mila persone a sentirlo dal vivo, quasi venti milioni davanti al teleschermo. Un fenomeno che giusto una ‘fenomenologia di Adriano Celentano’ scritta da qualche novello Umberto Eco potrebbe cercare di spiegare.
La mia idea è che il motore primo del suo successo e della sua presa sul pubblico è il carisma fisico-animale, corporeo-magnetico che egli ha naturalmente. E che gli regala sempre le pose e i gesti spettacolarmente più giusti ed efficaci. È una ‘allure’ istintiva, è una sorta di ‘grazia’ mimico-cinetica, è una sorta di corpo ‘santo’ che ‘buca’ l’audience e che gli consente di far ‘passare’ anche i sermoni moraleggianti da prete di campagna, le diagnosi sconclusionate, gli incespicamenti di parole, i salti logici dei suoi ‘speech’ al popolo.
E poi c’è la voce, che a 74 anni è miracolosamente integra, se confrontata ad esempio con quella oggi gracchiante e sfiatata del 70enne Paul McCartney. Esibendosi pochissimo dal vivo (l’ultima volta 18 anni fa) Adriano la voce se l’è conservata e quando canta è sempre straordinariamente bravo e fascinoso, il suo timbro vocale è unico. Sa essere pure autoironico l’ex ragazzo della via Gluck: a Verona si è buttato ad eseguire un pezzo rock ’n’ roll bello tirato, ripetendo i passi dinoccolati da Molleggiato che faceva quando aveva vent’anni, poi alla fine si è accasciato affranto sul praticabile della band, dicendo: “Dopo avere fatto queste mosse, mi ci vogliono due settimane di riposo”. Celentano mi è simpatico, non si può volergli male, i suoi deficit psico-culturali sono ingrediente fondamentale della sua carismatica presenza scenica, comprese le incertezze e le lunghe pause ora calcolate, ora impreviste. Mi permetto soltanto di osservare (forse a mia volta moralisticamente) che le prediche populiste-pietiste a sostegno dei poveri da parte di uno che in un paio di serate si è intascato (dicono) un milione e mezzo di euro mi paiono finte, del tutto inattendibili. Forse è stata l’unica stonatura di due concerti, comunque, da ricordare.
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