Riferiamoci a un libro fondamentale, Sorvegliare e punire, di Michel Foucault. E ricordiamo in breve, le linee del percorso storico che ricostruisce. Fino alle soglie dell'età moderna, i processi erano per lo più «a porte chiuse», ma pubblica — e fortemente ritualizzata — l'esecuzione della pena. Il corpo del reo era stato inquisito, attraverso un processo di estorsione - imposizione della verità, che riconosceva come valido l'uso della tortura. All'esecuzione della pena assisteva tutta la cittadinanza, che traeva ammonimento dal rito esorcistico. Pubblica era la gogna, pubblico il patibolo. Il corpo del reo diventava il luogo fisico e simbolico di un grande rituale di espiazione collettiva, in cui convivevano sofferenza, confessione della trasgressione e anche una buona dose di spettacolarità.
Con l'età moderna, circa dalla fine del '700, nuove tecniche di potere e nuovi simboli vengono elaborati dalla nascente borghesia. Nuovi ideali garantistici, nuove richieste di umanizzazione fanno parte integrante dello strutturarsi di nuovi discorsi e pratiche di controllo. A questo punto è il processo a diventare il grande momento pubblico, cui partecipano numerosi spettatori fortemente coinvolti. Nello stesso tempo, si afferma la pratica dell'internamento carcerario, con la conseguente perdita di visibilità della pena e con l'esercizio occulto di poteri tra le mura dell'istituzione segregante. Alla perdita di visibilità del corpo del reo Foucault attribuisce il segno di una costituzione di un uomo astratto, moderno prodromo di tutte quelle forme di controllo sociale, che nella società moderna passerebbero per la psiche più che per il corpo. Torture e violenze comunque presenti nel sistema carcerario non sarebbero che effetti di potere...
Da Delitto e mentalità collettiva in "Antigone", anno I n.1 marzo 1985
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