3.12.12

Praga magica, crocevia di conflitti (di Roberta Ascarelli)

Quello che segue è il brano iniziale da una recensione degli atti di un convegno genovese su Praga. Mito e letteratura, pubblicati nel 1993 da Shakespeare & Company. L’autrice, Roberta Ascarelli, rievoca l’impatto sulla cultura italiana di un grande libro degli anni Settanta, Praga magica, e la successiva revisione dell’immagine inevitabilmente unilaterale che in quell’opera Angelo Maria Ripellino proiettava sulla città mitteleuropea del primo Novecento. (S.L.L.)  

La capitale boema che ci viene incontro dalle pagine del libro ormai «classico» dedicato da Angelo Maria Ripellino alla città, Praga magica del 1973, è simile a un circo fantastico, popolato da infernali pagliacci, da automi, da prestigiatori, astrologi e negromanti che si incontrano nello spazio chiuso del ghetto ebraico o in un intrico di strade simile a un labirinto saturnino e diabolico.
Fascinosa e ricchissima nella sovrabbondanza di un immaginario che prende forma in raffinate alchimie letterarie o pittoriche, Praga è apparsa terra ospitale per lo slancio mitopoietico dei nostri anni Settanta - e il mito che veniva a crearsi era quello di una città ancora arcaica nel cuore dell'Europa, intransitabile alla civilizzazione e in grado di appagare con stregonerie ed enigmi la fantasia rapace della modernità: «Se cerco una parola per dire arcano - scrive Ripellino -, trovo soltanto la parola Praga. E' torbida e malinconica come una cometa, come una impressione di fuoco la sua bellezza, è serpentina e obliqua come nelle anamorfosi dei manieristi, con un alone di lugubrità e sfacelo, con una smorfia di eterna disillusione».
La grande fioritura letteraria praghese, nata all'ombra di Meyerink al termine del secolo scorso ed esauritasi negli anni Cinquanta dopo aver attraversato le stagioni dell'avanguardia, l'esilio e la seconda guerra mondiale, è stata così conosciuta dal pubblico italiano in una luce alchemico-apocalittica come testimonianza di una ostinata ribellione al presente e di fuga dalle tensioni sociali. Questa prospettiva, che affonda le radici in un singolare apparentamento tra pensiero negativo e letteratura mitteleuropea, ha iniziato però ben presto a sgretolarsi e, alla fine degli anni Settanta, dall'omogenea «notturnalità» di Praga hanno incominciato ad emergere la concretezza di violenti conflitti etnici e la personalità di figure note o meno note, da Kafka a Rilke, da Werfel a Meyrink, da Perutz a Brod, a Urzidill o a Ernst Weiss, così diverse e così autonome da suggerire una revisione della lettura di Ripellino. Si è posto l'accento sul carattere ossimorico della città e si è inoltre notato che la vita culturale praghese è tesa tra due poli estremi: la totalità, spinta fino a dimensioni cosmiche e il frammento minimo che si rivela solo al microscopio (Magris). In uno spettro tanto ampio… Praga si rivela un «crocevia di culture diverse», contenitore di etnie, nazionalismi, religioni, lingue che convivono dando vita a scambi culturali intensi, ma anche a feroci contrasti, e, infine, come luogo ricco di contraddizioni tra il «passato» del ghetto e lo sviluppo di una animata vita industriale e commerciale.

“la talpa libri” de “il manifesto”, 14 maggio 1993

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