Un pub inglese |
Un articolo ritrovato, di due anni or sono. Non credo che nel tempo trascorso i dati siano mutati sostanzialmente. Né in Inghilterra né altrove. (S.L.L.)
David Nutt |
Destestato dai laburisti, temuto dai conservatori perché troppo libero, il professor David Nutt, ex consigliere per la lotta alla droga del governo Brown, ha firmato una ricerca pubblicata da Lancet che stravolge la gerarchia dei pericoli dervianti dalle sostanze stupefacenti. E dunque la loro classificazione. Un minuto dopo si è scatenato l’inferno. Secondo lo psichiatra l’alcol avrebbe sulla società effetti più nocivi dell’eroina e del crack, al secondo e terzo posto nella sua speciale classifica.
Aiutato da colleghi olandesi, Nutt ha preso in considerazione le venti sostanze che creano dipendenza più diffuse in Gran Bretagna. Le ha collocate su una scala capace di calcolare i danni da 1 a 100 in funzione di nove effetti diretti su chi le assume e di sette che coinvolgono gli altri. Da una parte gli scompensi fisici, psichici e di relazione, dall’altra i costi sociali legati al crimine, alle spese ospedaliere, al costo delle prigioni o all’impatto ambientale. «Alla luce di questi dati dobbiamo ripensare il nostro rapporto con la cura delle dipendenze», ha chiarito Nutt, licenziato lo scorso anno dal ministro dell’Interno Alan Johnson per avere insistito affinché la marijuana restasse un farmaco di categoria C e l’Ecstasy fosse declassata dalla categoria A sulla base di un giudizio di relativa pericolosità. Lo cacciarono. Si è preso la rivincita.
Il dibattito è arrivato in tv. «Non ci vorrà dire che una birretta è più dannosa di una riga di coca, vero professore?». Lui, prima di replicare alla Bbc, ha sorriso beffardo. «Dipende da chi è il bevitore e chi il consumatore della cocaina». “Dunque la droga non è pericolosa?”, ha ribattuto l’intervistatore confuso. «Ma che dice? Certo che lo è. Moltissimo». Danni individuali e sociali non sono la stessa cosa.
Senza aspettare la benedizione di “Lancet”, per capire che Nutt non stava bluffando sarebbe stato sufficiente la relazione presentata in settembre dal «North West Pubblic Health Observatory» del professor Mark Bellis. Non erano numeri, era la fotografia sgradevole di un Paese precipitato in un incubo fatto di notti a base di whisky, birra e mojito. Nel 2009 gli ospedali del Regno Unito hanno curato 606 mila pazienti intossicati dall’alcol, con un aumento di due terzi rispetto a cinque anni prima. Poco meno di un milione sono state le persone accolte dal servizio sanitario pubblico per problemi causati da comportamenti violenti o fuori controllo di ubriachi. Una media di 825 ricoveri al giorno. «Il dato più preoccupante è il ricasco sulle morti stradali: 15 mila e 500», scriveva Bellis. Più di mille al mese. Una carneficina. Alimentata dal boom di locali autorizzati a vendere alcolici e superalcolici 24 ore al giorno. Pub, night, supermercati e club capaci di imperdibili offerte civetta: «Tutto quello che riesci a bere per sole cinque sterline». Ami irresistibili anche per ragazzini tra i dieci e i quattordici anni, i cui ricoveri ospedalieri sono triplicati. Naturalmente vendere loro vino o birra è rigorosamente vietato.
Ieri mattina, sulla Northern Line, un treno è rimasto bloccato sotto una galleria per più di un’ora e mezza. Al buio. I trecento passeggeri sono stati fatti uscire dai tecnici della metropolitana che li hanno guidati con le torce eletrriche. Erano terrorizzati. A provocare il guasto era stato un signore che aveva lanciato sui binari un cappello da strega riempito con del metallo. Cortocircuito e incubo. Quando la polizia l’ha rintracciato, l’uomo era piegato in due su una panchina col vestito nero della notte di Halloween. Era uno straccio maleodorante. Ha detto solo: «Scusate, sono ubriaco».
“La Stampa”, 2 novembre 2010
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