Almeno una volta l'anno,
rivedo la villa Palagonia, la settecentesca villa di Bagheria dove,
diceva Giovanni Meli, l'arte impietrisce, eterna e addensa gli aborti
di bizzarra fantasia (e l'ottava continua con Giove che riconosce la
propria «insufficienza»: mostri ne escogitai quanto seppi; ma dove
finì la mia potenza, da quel punto stesso cominciò Palagonia - cioè
il principe Ferdinando Gravina di Palagonia; ed è un bel concetto,
direi alla Borges, questo del dio che consegna alla fantasia umana la
prosecuzione della serie dei mostri). E ogni volta mi appare sempre
più disgregata, fatiscente, dentro il cerchio che le si stringe a
soffocarla del cemento, delle case nuove.
Goethe, che con tanto
spregio ne scrisse, sarebbe forse contento di questa nemesi: una
mostruosità che ne divora un'altra. Noi no: poiché abbiamo bevuto
in ben altre cantine e ben altri mostri abbiamo visto generati dal
sonno della ragione. Questi di Palagonia ce li eravamo addomesticati:
piccoli mostri da guinzaglio, da passeggio; roba da «spleen»
rurale, domenicale. Sicché mentre si disgregano e scompaiono, la
sola cosa che nella villa resta a suscitare inquietudine è il
ritratto di colui che così l'ha voluta: un signore magro e
allampanato, tutto azzimato e incipriato, in abito da cerimonia; uno
cui piaceva pagare da sé le proprie follie e far pagare agli altri
le proprie virtù – così lo vide Goethe, questo seppe di lui. E
anche noi. (da Nero
su nero, Einaudi, 1979)
Postilla
L'appunto
di Sciascia spinge a una (ri)lettura della rappresentazione che
Goethe fa nel suo Viaggio
in Italia del
principe di Palagonia. La si può trovare in questo stesso blog al
seguente link:
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2010/06/quasi-un-apologo-goethe-palermo-dal.html
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2010/06/quasi-un-apologo-goethe-palermo-dal.html
Nessun commento:
Posta un commento