30.10.14

L'inflazione galoppante nella Germania di Weimar (Lucio Villari)

Tra le spiegazioni che si danno delle rigidità tedesche nelle politiche monetarie dell'Unione e della Banca Europea, ce n'è una di carattere storico, quella secondo cui a quasi cento anni di distanza in Germania farebbe ancora paura lo spettro dell'inflazione galoppante di cui fu vittima negli anni Venti del Novecento. A me sembra che quella vicenda, per quanto persistente nella memoria collettiva, non conti molto nell'orientare oggi le scelte di governanti e banchieri e tuttavia può rispondere a qualche curiosità la ricostruzione giornalistica che segue, vivida. (S.L.L.)
Nel 1924 una troupe americana diretta da David Griffith, l'autore di Intolerance e di Nascita di una nazione, girò nei dintorni di Berlino un film ambientato nella Germania dell'inflazione e della miseria. Non ho mai visto questo film, e non so se il titolo datogli da Griffith (Non è meravigliosa la vita?) fosse una amara ironia oppure un invito alla speranza. Certo, se il grande regista americano era venuto in Germania per raccontare una storia di desolazione e di fame (nel film i protagonisti mangiano quasi esclusivamente patate: spettacolo, comunque, non inconsueto neanche negli Stati Uniti), qualcosa doveva averlo colpito o attratto fa modo particolare. La percezione, forse, che la grande inflazione, questo dramma esistenziale quotidiano che da due anni attanagliava il popolo tedesco, rivelasse la decadenza invisibile di una civiltà; infatti molti, in Germania e fuori della Germania, erano convinti da tempo che una grande nazione stesse morendo nel cuore dell'Europa.
Gli intellettuali, gli artisti e quanti avevano immaginato e amato la società e la cultura tedesche come parte fondamentale dell'universo compatto della civiltà europea, si sentivano davanti alla Germania come degli archeologi in gara col tempo dissolvitore. La forte e antica Germania scompariva a vista d'occhio, consumata dall'inflazione. Una agonia inedita nella storia del mondo contemporaneo, ma anche, come accade nelle sconfitte, un momento di verità collettiva e di turbamenti individuali. Di lì a poco sarà Thomas Mann a far balenare, nello sconcertante romanzo breve Disordine e dolore precoce del 1925, la testimonianza dello sgomento borghese annidato in una crisi economica generale e in un «disordine» intellettuale e familiare.

Meccanismi impazziti
Della grande inflazione che aveva colpito la Germania agli inizi degli anni Venti e che aveva raggiunto il massimo della virulenza nel 1923 non era facile, infatti, capire tutte le ragioni, né era possibile seguire i meccanismi degenerati e impazziti. In generale, questo accade nei confronti di tutte le inflazioni, dalla «rivoluzione dei prezzi» scoppiata in Europa nei decenni a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, all'attuale inflazione italiana del 20 per cento. Ci si accorge stupiti che il denaro scivola velocemente tra le dita, che agli speculatori, agli evasori, ai tagliatori di cedole, le cose vanno comunque bene; che i capitali e i prodotti ci sono fa abbondanza, e tuttavia incombe l'insicurezza, si avverte una smania impotente e si protende dappertutto l'ombra dell'indigenza. Ebbene, nella Germania della grande inflazione questi stati di fatto e questi sentimenti culminarono fa una crisi mai conosciuta fa un paese capitalistico. «Fu quello», ricorderà un altro regista, Fritz Lang, «un periodo di incertezze, di isterismo, di corruzione sfrenata. Gli uomini si trovarono a dover affrontare una situazione sconosciuta: l'inflazione».
Come è stato descritto fa diverse ricerche storiche, la miseria dilagava in un paese che, seppur vinto in guerra e pressato dalla Francia per le riparazioni, aveva la produzione industriale più avanzata e moderna del mondo, ma nonostante ciò quasi tutta la popolazione attiva era ridotta sul lastrico; finivano tutti i privilegi, eccetto quelli dei proprietari di capitali e di mezzi di produzione, si assisteva al «trionfo della speculazione, della corruzione, della prostituzione, alla dissoluzione di tutte le barriere sociali, di tutte le ideologie democratiche, alla irrisione di tutti i cosiddetti valori morali».
Uno scenario di tali dimensioni non poteva essere pienamente dominato e inteso, e difficilmente se ne sarebbe potuta dare una spiegazione complessiva e un'immagine totale. C'è dunque una motivazione storica oltre che estetica nelle parole, ancora di Fritz Lang, del 1925: «Se c'è qualcosa che ha il dovere di testimoniare davanti al mondo sul popolo tedesco, sulle sue disgrazie, sulle sue speranze, è proprio il cinema; nella sua forma più elevata, l'unica che gli conferisca il diritto di esistere». E i suoi film eccezionali sono infatti anche un documento, oltre che una metafora dell'inflazione.
Immaginiamo allora che nel novembre del 1923 degli operatori cinematografici seguissero per qualche giorno le quotazioni del dollaro sui tabelloni luminosi delle Borse di Berlino e di Colonia. Si sarebbero viste cose incredibili. 12 novembre: alla Borsa di Berlino il dollaro aveva già raggiunto la quotazione ufficiale di 630 miliardi di marchi. Ventiquattr'ore dopo, raggiungeva la quota di 830 miliardi. Il 14 novembre 1.260 miliardi, il 15 novembre 2.520 miliardi e il 20 novembre 4.200 miliardi. Negli stessi giorni, la Borsa di Colonia registrava quotazioni ancora più folli: dai 6.850 miliardi di marchi del 14 novembre agli 11.700 miliardi del giorno 20. Praticamente ogni minuto il valore del marco tendeva a diminuire. Volendo fare dei calcoli precisi, sulla base delle quotazioni alla Borsa di Berlino, si può stabilire che fa quella settimana di novembre i berlinesi erano in possesso di moneta che ogni ora perdeva rispetto al dollaro 18 miliardi e 593 milioni di valore, cioè 309 milioni al minuto. Risponde dunque a verità quanto gli attoniti viaggiatori stranieri raccontavano di avere visto fa Germania. Un paese di «meraviglie», dove si entrava fa un ristorante e si veniva immediatamente avvisati, anche con segnali luminosi, che il prezzo di ciò che si mangiava aumentava man mano che lo si mangiava.

L'intervento di Schacht
Ho indicato il 12 novembre, come la data iniziale di una settimana-campione tra le più pazze della grande inflazione, perché fa quel giorno entrò in scena il banchiere Hjalmar Schacht, uomo chiave del capitalismo tedesco per i successivi vent'anni. Il 12 novembre Schacht fu infatti chiamato alla carica di Commissario monetario del Reich con poteri pieni e straordinari. Era una decisione del cancelliere Stresemann, che appena tre mesi prima aveva formato un governo di coalizione insieme con i socialisti. Ma neanche i socialisti avevano saputo fino a quel momento che pesci prendere.
Gli unici dati, per così dire, certi — oltre la progressione geometrica verso il basso del valore del marco — erano le trenta cartiere che lavoravano a pieno ritmo per fornire alla Reichsbank (l'equivalente della nostra Banca d'Italia) la carta filigranata, e le 133 tipografie con 1783 macchine che stampavano fa continuazione biglietti di banca. Una massa di denaro che si spendeva rapidamente e sulla quale tuttavia c'era chi speculava fa modo forsennato. Infatti, mentre i biglietti di banca avevano pur sempre la «firma» dello Stato e una, seppur parziale, copertura nelle ricchezze naturali della Germania, quali ad esempio la terra (con l'avvento di Schacht il marco fu appunto riconvertito nel Rentenmark, il marco-rendita fondato sul valore della terra), le grandi imprese private, industriali e commerciali, si misero a stampare in proprio moneta senza copertura, per un valore che nel 1923 era il doppio di quello stampato sulle emissioni della Reichsbank. Questo denaro privato (chiamato Notgeld) raggiunse nel 1923 la cifra allucinante di circa 500 trilioni.
Quando, in tale marasma, i negozianti al minuto cominciarono a chiudere i loro negozi in certe ore e in certi giorni della settimana, sapendo che alla riapertura avrebbero guadagnato di più, scoppiarono dappertutto sommosse e avvennero innumerevoli saccheggi. Stresemann fu costretto, il 27 settembre, a proclamare lo stato d'emergenza. «Dalla primavera del 1919 in poi», scrive nelle sue memorie il banchiere Schacht, «la Germania non era più stata, come in queste settimane, tanto vicina al pencolo della bolscevizzazione».
Uno dei primi interventi di Schacht fu un'ordinanza della Reichsbank del 17 novembre, che vietava a chiunque di accettare in pagamento i Notgeld, gettando così nel panico i profittatori di questa gigantesca truffa. Di essi si fece subito portavoce il magnate della siderurgia Stinnes, l'anima nera del capitalismo tedesco, che cercò di impiantare una campagna diffamatoria contro il pur conservatore Schacht. Ma il governo Stresemann non si fece intimidire e proseguì per la sua strada avviando, già nei primi giorni di dicembre, un processo di stabilizzazione monetaria e di riconversione del marco che proseguì per molti lunghi mesi grazie anche al sostegno degli Stati Uniti e, fa particolare, dei banchieri di Wall Street. Costoro fiutavano infatti l'affare di investimenti colossali fa un paese ricco di risorse come la Germania.
Grazie a Schacht, l'«Internazionale del capitale» si rimetteva dunque fa moto. La sera del 31 dicembre 1923 Schacht partiva per Londra e il giorno dopo festeggiava 1'anno nuovo con il governatore della Banca d'Inghilterra: anche la City a dichiarava disposta a collaborare aprendo crediti alla Germania. Altrettanta disponibilità dimostrò il presidente della Banca d'Olanda che Schacht visitò nel viaggio di ritorno da Londra. E così anche il ruvido Stinnes cominciò a capire che la fotta all'inflazione avrebbe potuto tornare a vantaggio della accumulazione capitalistica e dello sviluppo degli apparati produttivi del paese. Intanto i membri socialisti del governo sbiadivano sullo sfondo di una operazione che non erano fa grado di controllare fa alcun modo.
Dalle macerie della grande inflazione rinasceva dunque il capitalismo «organizzato». La repubblica di Weimar riprendeva a camminare guidata dalla mano ferma del potere economico e dalle idee di una borghesia che aveva rasentato la perdizione.


“la Repubblica”, 24 novembre 1981

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