7.10.14

Tentato golpe di Big Pharma. Stamina e il liberismo farmaceutico (Pietro Greco)

Il giorno più nero per Davide Vannoni è stato certamente lo scorso 15 luglio, quando a conclusione dell'indagine effettuata dai Nas, il nucleo antisofisticazione dei Carabinieri, la procura di Torino ne ha chiesto il rinvio a giudizio, insieme ad altre 12 personeper una serie di gravi reati.
L'udienza preliminare del processo è stata fissata per il prossimo 4 novembre.
Ma il giorno della svolta nella vicenda Stamina è stato probabilmente un altro: il 4 febbraio 2014.E si è consumato a opera di altri magistrati: quelli della Corte di appello del Distretto di Columbia, negli Stati Uniti, che hanno rigettato tutte le istanze di una società biomedica privata, la Regenerative Science e hanno riconosciuto il diritto della Food and Drug Administration (F&DA) a regolamentare l'uso clinico delle cellule staminali adulte, anche autologhe. È quel giorno, a ben vedere, che la Fondazione Stamina ha perso la speranza di diventare la testa d'ariete di un grande movimento internazionale che intende abbattere il sistema di norme delle attuali istituzioni sanitarie e fondare su nuove basi la medicina sull'intero pianeta. Il 4 febbraio 2014 il movimento della deregulation è stato sconfitto e, sebbene pochi se ne siano accorti in Italia, la vicenda di Davide Vannoni è stata derubricata a un caso come tanti, drammatico ma con tratti folcloristici, che da anni riempie le cronache di un Paese, il nostro, abbastanza marginale nel grande mercato globale dei farmaci e delle terapie.
La storia della medicina è da sempre costellata di "santi guaritori" che improvvisamente appaiono sulla scena proponendo "cure miracolose" sfidando la teoria e la prassi della cosiddetta "scienza ufficiale". Si tratta, in genere, di meteore isolate che brillano nel cielo della sanità sfruttando per alcuni mesi il combinato disposto di quelli che Giacomo Leopardi chiamava «gli errori popolari» (sì, insomma, l'ingenuità) e della tendenza naturale ad aggrappasi a una qualsiasi maniglia della speranza da parte di chi speranze non ha più.
Quelle meteore illuminano di una luce intensissima le cronache per qualche tempo, prima di spegnersi e di essere, per sempre, dimenticate. È stato il caso, allafine degli anni '60 del secolo scorso, di Liborio Bonifacio, un veterinario di Agropoli convinto di aver trovato la possibilità di curare il cancro con una pozione a base di urina e feci di capre. Ed è stato il caso, trent'anni dopo di Luigi Di Bella, un medico di Modena, convinto di aver trovato a sua volta la possibilità di curare il cancro mediante un trattamento - il multitrattamento Di Bella (MDB) - a base di somatostatina. A migliaia li hanno seguiti e poi dimenticati.
Come Bonifacio e come Di Bella, anche Vannoni, con le sue infusioni a base di cellule staminali mesenchimali, sfida lo scetticismo documentato della comunità scientifica. Ma a differenza di Bonifacio e Di Bella, il fondatore di Stamina non è un "santo guaritore" isolato. O meglio, non lo è stato fino al 4 febbraio 2014, quando il già citato tribunale americano ha tagliato le gambe (provvisoriamente?) a un agguerrito movimento internazionale che nelle cellule staminali - in particolare nelle cellule staminali mesenchimali - ha individuato quella testa d'ariete capace di scardinare il sistema su cui da almeno mezzo secolo si regge la sicurezza del mercato dei farmaci e, nel nome della "libertà di cura", aprire nuove frontiere per l'innovazione e il mercato in medicina.
Che Davide Vannoni e le sue infusioni non siano fluttuazioni isolate lo dimostra il fatto che oggi nel mondo ci sono almeno 360 studi e tentativi di applicazioni registrati dal ClinicalTrials.gov che, come quello della Fondazione Stamina, si fondano sull'impiego di cellule staminali mesenchimali, nei settori più svariati. È vero che solo il gruppo di Vannoni sostiene che le "loro" staminali mesenchimali si trasformano, sulla base di un trattamento per la gran parte segreto, in neuroni. Ma è anche vero - come hanno scritto lo scorso 19 giugno sulla rivista inglese “Nature” l'italiano Paolo Bianco, un medico dell'università La Sapienza di Roma, e l'americano Douglas Sipp, direttore dell'Office of Research Communication del Riken Center for Developmental Biology di Kobe in Giappone - che, proprio come Vannoni, nessuno di quei 360 gruppi di studio sulle mesenchimali ha pubblicato risultati su riviste scientifiche accreditate.
C'è un intero movimento a scala globale, dunque, che pur senza prove di efficacia basate sull'evidenza punta sulle cellule staminali mesenchimali come avanguardia di una nuova medicina, rigenerativa. E di un nuovo sistema dell'innovazione in sanità, senza lacci e lacciuoli. In gioco ci sono fatturati per centinaia di miliardi l'anno.
Questo movimento che punta così in alto ha, per così dire, una componente pratica e una teorica. Quella pratica è costituita da un'interacostellazione di società (le cui storie sono state ricostruite da Antonino Michienzi e Roberta Villa in un recentissimo e-book Acqua sporca. Cosa rischiamo di buttar via con il caso Stamina, scaricabile in maniera libera dalla rete), che cercano di vendere sul mercato sanitario i loro preparati non validati. È il caso del Regenexx della Regenerative Science, proposto per la riparazione delle articolazioni mediante iniezioni di cellule staminali autologhe (ovvero del medesimo paziente). L'azienda ha chiesto che non sia considerato un farmaco e dunque venga sottratto alle norme di sicurezza previste per le nuove formulazioni. È quanto ha chiesto, almeno in una certa fase, anche Vannoni per le sue infusioni. Come abbiamo detto, la Corte di appello del Distretto di Columbia ha sentenziato che la richiesta non può essere accettata: quando gli interventi sulle cellule, ancorché autologhe, non sono minimali, i preparati a base di staminali devono essere considerati farmaci e ricadono sotto il controllo delle autorità che si occupano di farmaci.
Oltre alla sua forza intrinseca, data da imponenti fatturati, questa costellazione di aziende che punta sulle staminali per aggirare le norme di sicurezza sui farmaci conta su un imponente e potente sostegno teorico, che fa capo al Manhattan Institute for Policy Research di New York, l'istituto di ricerche sociali, economiche e politiche di scuola neoliberista.
L'analisi del Manhattan Institute parte da una constatazione: dopo una brillante stagione di innovazione nel campo biomedico, con la messa a punto di molecole che hanno dato un formidabile contributo a migliorare la salute umana, il mondo dei farmaci ne vive una di costosa stagnazione. Nei soli Stati Uniti le imprese investono ogni anno 65 miliardi di dollari – scriveva nel 2007 Richard A. Epstein, uno studioso del diritto e dell'economia che è esponente di punta dell'istituto newyorkese, in un libro, Overdose. Come una regolamentazione eccessiva mette a rischio le medicine del futuro, pubblicato in italiano da Rubbettino - per ottenere dieci o al più venti nuovi farmaci, che non sempre sono davvero innovativi. È nella ricerca delle cause di questa costosa stagnazione che l'analisi di Epstein diventa più controversa.
L'innovazione stenta, sostiene lo studioso del Manhattan Institute, anche e soprattutto a causa delle procedure per ottenere l'autorizzazione alla vendita imposte negli Usa dalla F&DA e in Europa dalle autorità sanitarie comunitarie e nazionali. Liberiamo le imprese dai lacci e dai lacciuoli di queste lunghe e costose procedure e vedrete che la creatività di Big Pharma tornerà al suo antico splendore.
Come fare? Lo ha spiegato, con una posizione un po' più estremista di Epstein, un altro autorevole esponente del Manhattan Institute, Andrew C. von Eschenbach sul “Wall Street Journal” del 14 febbraio 2012: basta col paternalismo delle autorità sanitarie. Basta con la lunga e costosa prassi che impedisce agli ammalati di ricorrere subito alle cure che gli scienziati mettono a punto in laboratorio. I cittadini sono persone adulte, che possono valutare da soli i rischi e le opportunità. Va loro riconosciuta la libertà di cura. Che ciascuno si curi come vuole, anche con preparati la cui efficacia non è stata riconosciuta. Che invece delle quattro complesse fasi previste per l'autorizzazione alla vendita di nuovi farmaci. fermi alla prima: la fase I. Quella necessaria a dimostrare che il preparato non è immediatamente tossico. Poi lasciamo che il nuovo preparato sia comprato e usato da chi vuole. Saranno i pazienti stessi afornire le indicazioni sull'efficacia e sicurezza del farmaco. Questa rivoluzione copernicana, assicura von Eschenbach, salverà milioni di vite, libererà il mercato e la biomedicina tornerà a essere uno dei volani dell'economia.
La sortita ha fatto rumore. Perché Andrew C. von Eschenbach è persona autorevole. E stato presidente eletto dell'American Cancer Society, la prestigiosa società oncologica degli Stati Uniti. Ed è stato soprattutto commissario, tra il 2005 e il 2009, della F&DA, nominato dal presidente repubblicano George W. Bush. Certo, il nuovo presidente, il democratico Barack H. Obama, lo ha sollevato dall'incarico. E tuttavia resta il fatto che un suo ex leader sostiene che l'agenzia federale che si occupa da farmaci è un ostacolo per il progresso della medicina e per lo sviluppo del mercato dei farmaci e propone che faccia non uno, ma due o tre passi indietro. L'attacco di von Eschenbach è davvero pericolo per la F&DA e per ciò che rappresenta.
E' in quest'ottica che il caso Stamina aveva assunto strategico su scala globale. Se il pur controverso Vannoni riesce a imporre il suo metodo in Italia, hanno pensato in molti, spalanca le porte al liberismo sanitario nel mondo intero. È per questo che nel 2103 Andrew C. von Eschenbach in persona, insieme ad altri due scienziati che di fatto aderiscono all'idea (o all'ideologia) del Manhattan Institute - l'italiano Camillo Ricordi, presidente di Ri.Med, e il geriatra americano Michael West, fondatore della Advanced Cell Technology - ha scritto al ministro italiano (allora era Renato Balduzzi) per perorare la causa della medicina rigenerativa liberata da lacci e lacciuoli. Un vero endorsement per Vannoni e la Fondazione Stamina.
Ma più che una rivoluzione copernicana, sostengono i suoi critici, quella liberista di Epstein e von Eschenbach è una (contro)rivoluzione tolemaica. Che minacciala sicurezza dei cittadini e rischia di far tornare indietro di decenni il progresso medico. Perché i cittadini che decidono di ricorrere a terapie non validate, siano a base di staminali o meno, non sono affatto liberi, ma in stato di costrizione, determinato dalla malattia, e non hanno gli strumenti minimi necessari per una valutazione critica e una scelta davvero libera. Inoltre è un fatto, ricordano Paolo Bianco e Douglas Sipp su Nature, che l'80% dei farmaci che superano la fase I di sperimentazione, non riescono poi a superare le altre. Con la ricetta del Manhattan Institute i pazienti si trasformerebbero in cavie. Anzi, in cavie con un bel po' di quattrini per essere tali. Mentre la sicurezza medica tornerebbe, appunto, indietro di decenni.
La partita miliardaria sul futuro assetto del sistema medico globale non si è certo chiusa lo scorso 4 febbraio. Mala sentenza di Washington ha rallentato la marcia dei liberisti. E, dopo le recenti vicende, anche Andrew C. von Eschenbach sembra aver smesso di credere che Davide Vannnni rappresenti la loro testa d'ariete.


Pagina99we, 23 agosto 2014

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