Da un testo di Julia
Kristeva su Teresa d'Avila ho già tratto un post, di contenuto
prevalentemente metodologico, dedicato alla trasvalutazione.
Il testo che segue fa parte della Lectio magistralis
dedicata alla monaca di Spagna,
poi santa e dottoressa della Chiesa cattolica, tenuta dalla celebre
psicanalista e scrittrice a Roma nell'ottobre 2011, da atea dubitante
quale si definisce, nel corso di un incontro promosso dal papa
regnante del tempo (Ratzinger – Benedetto XVI), oggi papa emerito.
(S.L.L.)
Gian Lorenzo Bernini, Santa Teresa d'Avila |
Teresa d’Avila ha
vissuto e scritto un’esperienza stravagante, che chiamiamo mistica,
in un momento in cui il potere e la gloria spagnoli – quelli dei
Conquistadores e del Secolo d’Oro – cominciavano a declinare.
Ancora di più, Erasmo e Lutero turbavano le credenze tradizionali, i
nuovi cattolici come gli Allumbrados attiravano gli ebrei e le
donne, l’Inquisizione metteva all’Indice i libri in lingua
castigliana e i processi per dimostrare la «limpieza de sangre» si
moltiplicavano.
Figlia di una «christiana
vieja» e di un «converso», Teresa è testimone, durante la sua
infanzia, del processo contro la famiglia paterna, costretta a
dimostrare di essere veramente cristiana e non ebrea. Il «caso»
della stessa Teresa, come monaca praticante l’orazione – vale a
dire la preghiera mentale in una fusione amorosa con Dio che la
porteranno alle sue estasi – sarà sottoposto all’Inquisizione,
prima che la Controriforma non scopra la straordinaria complessità
della sua esperienza, insieme alla sua utilità per una Chiesa che
cerca allora di conciliare ascetismo (rivendicato dai protestanti) e
intensità del sovrannaturale (propizia alla fede popolare).
Theresa de Ahumada y
Cedpeda sarà beatificata nel 1614 (trentadue anni dopo la sua
morte), canonizzata nel 1622 («santa» quaranta anni dopo la morte),
e diventerà nel 1970, nel prolungamento del Concilio Vaticano II, la
prima donna Dottore della Chesa, insieme a Caterina da Siena. (...)
Fantasmi incarnati
Unica donna in una
famiglia di sette maschi (prima della nascita dei due «piccoli»,
una bambina e un bambino), molto legata alla madre e al padre, al
fratello Rodrigo, allo zio paterno Pedro e al cugino, figlio di un
altro zio paterno Francisco, in una famiglia dalle armonie
incestuose, agiata pur se in fase di declino, Teresa perde la madre a
tredici anni. Quando decide di entrare nell’ordine delle
carmelitane e prende l’abito nel convento dell’Incarnazione, il 2
novembre 1536, ne ha ventuno. Il suo corpo è un terreno di battaglia
tra i desideri colpevolizzati che suggerisce continuamente
nella Vita, precisando che i suoi confessori le vietano di
svilupparli, e l’esaltazione idealizzante di cui testimonia
il culto intenso volto a Maria (madre vergine) e a Giuseppe (padre
simbolico).
Con incredibile lucidità
nella sua biografia confida il modo in cui i suoi tormenti la
conducono alle convulsioni e alle perdite di coscienza seguite, in
alcuni casi, da stati di coma che durano fino a quattro giorni (…)
– crisi accompagnate da «visioni» che la monaca descrive secondo
quelle che i neurologi chiamano le «auree»: non «visioni»
attraverso gli «occhi del corpo», ma quel che vorrei definire
«fantasmi incarnati»: percezioni attraverso tutti i sensi della
presenza avvolgente, rassicurante, affettuosa dello Sposo. Il Padre
ideale – che la perseguita a causa delle «tentazioni», dei
«mancamenti » e delle «dissimulazioni», facendola soffrire fin
nelle ossa – si trasforma in padre affettuoso. Le «visioni»
traducono questa alchimia salvatrice.
Da principio la «visione»
è solo un «volto severo» che disapprova i suoi «ospiti» troppo
disinvolti; in seguito si trasforma addirittura in un «rospo» che
non smette di crescere: allucinazioni del sesso dell’ospite?
Infine, si tratterà dell’Uomo di dolore in persona, così
come la monaca l’ha visto sotto forma di una statua di Cristo nella
corte del convento: uomo martirizzato con le sofferenze del quale è
felice di indentificarsi, con l’intensità di un trasporto.
Trasporto è proprio la
parola esatta: Teresa è finalmente unita a «Cristo in quanto uomo»
(Cristo como hombre), se ne appropria – «certa che il
Signore fosse dentro di me» (dentro de mi). «Non potevo
allora in nessun modo dubitare che fosse in me o che io fossi
completamente sprofondata in lui» (yo todo engolfada en el)
(Vita 10 :1). (...)
L’umanità di Cristo è
nell’aria dell’epoca. La respirano Erasmo e gli «Illuminati»,
gli ebrei convertiti e molte donne che vengono chiamate «alumbrados».
Le estasi di Teresa sono fin dall’inizio, e senza distinzione,
parole, immagini e sensazioni fisiche, spirito e carne, o piuttosto
carne e spirito: «il corpo non rimane senza partecipare al gioco, e
anche molto». (...)
Immagini dell’acqua
Agli occhi degli
increduli del terzo millennio quali noi siamo, Teresa descrive una
traversata – o meglio una decomposizione – della sua identità
intellettuale-fisica-psichica dentro e attraverso il transfert
amoroso con L’Essere Completamente Altro: Dio, figura paterna dei
nostri sogni infantili, irraggiungibile sposo del Cantico dei
Cantici. Attraverso questa metamorfosi mortale e orgasmica, che
rimedia alla malinconia del suo dolore di donna separata, abbandonata
e inconsolabile, Teresa si appropria dell’Essere Altro in un
contatto infra-cognitivo, psicosomatico che la conduce a una
regressione pericolosa e deliziosa, accompagnata da un piacere
masochista. Non è la retorica che ci aiuta a leggerla, ma questa
folgorante rivelazione dell’Aristotele di Sull’Anima e
della Metafisica che, fra tutti i sensi, considera il tatto il
più fondamentale e più universale.
Se, in effetti, ogni
corpo animato è un corpo tattile, il senso del tatto che
caratterizza l’essere vivente è tale che «ciò con cui entro in
contatto entra in contatto con me». Fin dal primo istante, e
attraverso l’immagine dell’acqua, Teresa che si vede bagnata
dall’Altro, occulta la mediazione e si immagina immersa nel suo
Sposo cosi come lui lo è in lei. Ma, allo stesso tempo, nella
diffrazione dell’acqua tra Dio, il giardiniere e i quattro modi di
farla venire, Teresa critica implicitamente questa immediatezza, se
ne distanzia, e tenta di spiegare il suo autoerotismo, insieme
doloroso e giubilatorio, in una accumulazione di azioni fisiche,
psichiche e logiche. Altrettanti racconti e storie d’acqua. L’acqua
sarebbe, dunque, l’immagine dell’impatto sensoriale del divino su
Teresa, ma anche una critica – incosciente, implicita, ironica –
di questo impatto del divino? Fino alla dissoluzione del Padre
Ideale, dell’Altro, nella monaca orante, nella scrittrice?
Domande
impertinenti
Se l’acqua è l’emblema
del rapporto tra Teresa e l’Ideale, si capisce che il suo Castello
interiore (si tratta in realtà della «metapsicologia» di Teresa
che la percorre attraverso i livelli della psiche fino alla sua
verità) non è una fortezza, ma un puzzle di «dimore»: moradas
dai confini permeabili. Questo vuol dire che la trascendenza secondo
Teresa si rivela come immanente: il Signore non è al di là ma in
lei! Abbastanza da attirare su di lei tutti i problemi che si possono
immaginare con l’Inquisizione, i confessori e gli editori che
attenueranno questa pretesa. A meno che non sia, anche, l’apoteosi
dell’Incarnazione?
Ma le conseguenze non
sono poche. La prima di queste è forse una certa ironia che sfiora
l’ateismo? In una passo del suo Cammino di perfezione,
Teresa consiglia alle sue sorelle di giocare a scacchi nei monasteri
anche se questo non è consentito dal regolamento, per... «fare
scacco matto al Signore».Una impertinenza che risuona nella famosa
formula di Meister Eckart: «Chiedo a Dio di lasciarmi libero da
Dio». La seconda conseguenza è formulata da Leibnitz che scrive in
una lettera a Morell del 10 dicembre 1696: «E per quanto riguarda
santa Teresa, avete ragione di stimarne le opere; ci ho trovato
questo bel pensiero che l’anima deve concepire le cose come se
al mondo non ci fossero che Dio e lei. Il che produce anche
un’importante riflessione filosofica che ho impiegata utilmente in
una delle mie ipotesi». Teresa, ispiratrice delle monadi leibniziane
contenenti già sempre l’infinito? Teresa, precursore del calcolo
infinitesimale?
“il manifesto”, 28
ottobre 2011 (Traduzione di Veronic Algeri)
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