Il sacrificio di un maiale selvatico in una coppa attica (museo del Louvre, Parigi) |
Riaffiora, in questa silloge di
quattordici saggi (Sacrificio e società' nel mondo antico,
Editore Laterza), il problema del sacrificio animale in una
prospettiva nuova e intelligente che ha apertamente subito le
influenze delle ricche ricerche che ci vengono dalla scuola francese,
in particolare da Vernant. Le ipotesi interpretative della tematica
sacrificale, qui trattata in saggi che privilegiano il mondo classico
e quello vicino-orientale, sono condensate nel documentato e critico
discorso introduttivo di Cristiano Grottanelli, il quale, grazie alla
competenza specifica di tutta l'attuale letteratura sull'argomento e
in particolare per la sua consuetudine con i temi dei riti
sacrificali ebraici e vicino-orientali, riduce la immagine del
sacrificio, così come definito nella storia delle religioni e in
antropologia, a una sorta di flatus vocis, di termine di
comodo che copre realtà ben più ricche e complesse: un'operazione
analoga, per certi aspetti, a quella che Levi Strauss compì in un
suo celebre libriccino sul totemismo, abbattendone l'immagine
mistificante falsata da una lunga tradizione.
In altri termini la nostra immagine del
sacrificio, maturata in un ambiente culturalmente condizionato dal
modello del sacrificio cristiano e dalle eredità, in esso confluite,
delle ideologie ebraica e classica, sarebbe un referente fittizio per
significare tutt'altro: la necessità alimentare del consumo di carne
animale, la ripartizione gerarchica delle carni e la serie di cautele
rituali che si sovrappongono a tali esigenze primarie.
Secondo modalità diverse, nelle varie
società umane, l'uccisione dell'animale scatena una serie di colpe
collettive angoscianti che comportano la necessità di compensazioni
ideologiche e cerimoniali destinate a trasformare l'atto economico (o
anti-economico) dell'uccidere e dell'alimentarsi in una trama di
valori simbolici. L'uccidere per alimentarsi diviene, allora, secondo
le varie prospettive, offrire un dono agli dei, alimentarli,
stabilire con loro una comunione, celebrare un atto che è destinato
a sorreggere la vita cosmica, costituire vincoli di solidarietà
all'interno del gruppo, e sono le prospettive che si proiettano nella
serie del sacrificio-dono, del sacrificio-offerta, del
sacrificio-comunione e via di seguito.
Nel fondo di questi atteggiamenti, che
pure hanno il loro grande rilievo culturale e divengono aspetti
essenziali della storia umana, resta il crudo rapporto dei gruppi
umani con il mondo animale, e le modalità di tale rapporto —
Grottanelli ne sembra convinto — appaiono storicamente condizionate
e varianti da tempo a tempo. Nelle antiche società di cacciatori,
nelle quali avrebbe preso la sua prima sostanza la figura dell'«uomo
uccisore», si delinea la grande precarietà dell'impresa venatoria,
dell'acquisto di una preda che si «presenta» casualmente e, quindi,
non è dominabile dal gruppo.
Il fallimento dell'impresa di caccia si
ricostituisce psicologicamente come conseguenza di una colpa o di un
peccato da parte del gruppo, che, per uccidere, non crea il
meccanismo del sacrificio, proprio di società posteriori, ma quello
ancora più complesso della «finzione rituale», il realizzare,
cioè, l'impresa economicamente utile dell'uccidere la preda, come se
si facesse altro o come se venisse a essere realizzata
occasionalmente e senza colpa degli uccisori. Sono celebri i
ritualismi dell'orso, che viene soppresso con ogni cautela, senza mai
essere nominato e come se si offrisse volontariamente al cacciatore,
per poi reincarnarsi dopo la morte.
Nelle società allevatorie e in quelle
agricole superiori, nelle quali assume la sua determinante importanza
il bue aratore, l'uccisione dell'animale diviene un evento
assolutamente antieconomico, poiché l'animale è bene primario che
va conservato e moltiplicato, e perciò il meccanismo del sacrificio,
come uccisione sacralizzata, destinata a costituire un rapporto con
il mondo divino, assume tutta la sua pregnanza giustificatoria e
placa le ondate di cqlpa e di responsabilità insorgenti nel gruppo.
E' noto, per esempio, che gli Ateniesi, in un rito molto intricato
nella sua polivalenza, quello dei Bouphonia (o uccisione del bue
aratore), che veniva compiuta come sacrificio in occasione delle
feste principali di Atene, ricorrevano a un cerimoniale destinato a
scaricare la colpa dell'uccisione dal sacerdote sull'uno o sull'altro
partecipante, fino a farla ricadere sull'ascia sacrificale che veniva
sottoposta a giudizio.
Ecco perché, in fondo, uccidere
animali e mangiare la loro carne diviene culturalmente un sacrilegio,
e la tensione sacrilega si riflette ancora nei lessici indoeuropei,
se, per esempio, il nostro termine «mattatoio» è legato a quel
«macta-re» latino che rappresentava l'uccidere ritualmente
l'animale. Tutti di rilievo, in questa raccolta i contributi
specialistici, tra i quali quelli del Burkert, di Detienne, di Durand
e degli altri stranieri sono, nella loro ripetitività di argomenti
già trattati in precedenti loro pubblicazioni, di molto inferiori a
quelli degli studiosi italiani.
Corriere della sera, 18 settembre 1988
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