In alcuni siti compare,
il seguente brano attribuito a Edoardo Sanguineti:
“Bisogna restaurare
l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro
sono i capitalisti, noi siamo i proletari del mondo d’oggi: non più
gli operai di Marx o i contadini di Mao, ma tutti coloro che lavorano
per un capitalista, chi in qualche modo sta dove c’è un
capitalista che sfrutta il suo lavoro. A me sta a cuore un punto.
Vedo che oggi si rinuncia a parlare di proletariato. Credo invece che
non c’è nulla da vergognarsi a riproporre la questione. È il
segreto di pulcinella: il proletariato esiste. È un male che la
coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via
via si sproletarizza.
Bisogna invece
restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano e noi dobbiamo
ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non
deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più
deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una
classe del proletariato di oggi, è essenziale.
E’ importante
riaffermare l’esistenza del proletariato. Oggi i proletari sono
pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati.
Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e
al quale la destra propone con successo un libro dei sogni”.
In verità si tratta di
un collage di frasi tratte
dai resoconti giornalistici della conferenza stampa che Sanguineti
tenne a Genova ai primi di gennaio del 2007, da candidato
dell'estrema sinistra a sindaco di Genova. In ogni caso – seppure
con i salti logici tipici del “taglia e cuci” - quasi certamente
riflette il pensiero del poeta.
Per
meglio intendere il senso e lo spessore di quell'intervento, forse
giova il commento che sul “manifesto” fece Ida Dominijanni e qui
“posto”. (S.L.L.)
Edoardo Sanguineti a Genova tra bimbi e bolle di Sapone (1968) |
«I potenti odiano i
proletari e l’odio deve essere ricambiato». Perciò, sostiene
Edoardo Sanguineti, bisogna «restaurare l’odio di classe», per
contrastare l’oblìo di sé in cui la classe operaia, «inibita da
una cultura dominata dalla tv», è immersa. Pronunciate venerdì
sera a Genova, alla conferenza stampa di presentazione del programma
della lista «Unione a sinistra» che sostiene la candidatura di
Sanguineti a sindaco della città, le parole del grande intellettuale
colpiscono gli astanti e le agenzie, e dalle agenzie rimbalzano sui
giornali in una serata avara di notizie.
Scandalo: che c’entra
l’odio di classe, o anche solo la lotta di classe, mentre si
montano pagine e pagine sulla separazione di Nicola Rossi e si
celebrano funerali su funerali dei «D’Alema boys» orfani del loro
leader? Che c’entra quel richiamo ortodosso di Sanguineti alla
forza-lavoro, «la merce uomo, che oggi è la più svenduta», mentre
la pietra filosofale della politica sociale sono diventati i tagli
alle pensioni? Che c’entra quell’abbozzo di analisi del
postfordismo, per cui «oggi i proletari sono anche gli ingegneri, i
laureati, i lavoratori precari», mentre si parla di categorie
sociali solo nella lingua asettica e fiscale della finanziaria? Il
poeta dell’avanguardia, il protagonista del «Gruppo 63», il
materialista storico non pentito ha colpito ancora, e ha colpito
giusto: fanno stridore solo le parole che l’ordine del discorso
decide a un certo punto di rendere impronunciabili, indicibile e
indecenti. Lotta di classe e odio di classe fanno parte di questo
serbatoio di indicibili oscenità: sono letteralmente fuori scena nel
teatrino politico corrente, e perbenisticamente censurate dal
discorso corrente della sinistra. E non foss’altro per questo è
bene che qualcuno torni a pronunciarle.
Sanguineti in verità non
aveva aspettato di essere candidato a sindaco di Genova dal
correntone Ds, dal Prc e dai Comunisti italiani per tirarle fuori.
Meno di un anno fa le aveva pronunciate con la stessa convinzione a
Roma, nella solenne Sala del Refettorio della Camera, durante la sua
Lectio Magistralis (oggi pubblicata da Ediesse) in onore dei
91 anni di Pietro Ingrao organizzata dal Centro studi per la riforma
dello Stato.
Allora aggiunse anche
«rivoluzione», e spiegò come qualmente «oggi è doveroso essere
sgarbati per rendere evidente a tutti che viviamo in un mondo
disumano, in cui il 98% delle persone vive una condizione di
precarietà o di vera e propria miseria». Sgarbati, ecco. Che non
vuol dire violenti, aggiunse allora e ripete oggi il poeta.
Significa semplicemente
non stare a danzare quel garbatissimo minuetto di parole che vorrebbe
convincerci che tutto va bene e che quello in cui viviamo è l’unico
nonché il migliore dei mondi possibili. Significa tenere aperta non
la speranza per le prossime generazioni - di quella si riempiono la
bocca tutti, tanto non ci tocca - ma la responsabilità che lega le
generazioni adulte di oggi a quelle che le hanno precedute e a quelle
che seguiranno.
Sanguineti pensa a Walter
Benjamin e lo dice: il compito della sinistra non è quello di
accodarsi all’idea del progresso e alla promessa della felicità
futura, ma di rivendicare e vendicare le ingiustizie passate e
presenti perpetrate sugli oppressi. E’ la «debole forza
messianica» di cui Benjamin scriveva nelle Tesi sul concetto di
storia. La sinistra senza alcuna forza messianica di oggi, divisa
in tre tronconi e tre candidati a Genova come ovunque ci sia un posto
in palio, potrebbe provare a rileggersele.
il manifesto, 7 gennaio
2007
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