Malattie mortali, malati
disperati, cocktail miracolosi brevettati (ma non da medici). Se
redazioni in cerca di eroi intervistano "esperti" e
"guariti" con il frame della lotta tra chi aiuta "la
gente" e chi schierato con "il potere" la osteggia,
allora la fine è nota. Malati con i cartelli davanti Montecitorio,
onorevoli che presentano interrogazioni pro-cura, sentenze che
impongono sperimentazioni o trattamenti, la comunità scientifica
cauta e dubbiosa bollata come bieca baronia universitaria al soldo
delle multinazionali.
La storia non è quella
di Davide Vannoni e della sua Stamina Foundation o di un film su
quelle vicende, sebbene le analogie siano tante, ma quella del Siero
Bonifacio. Tutto inizia nell'ottobre 1950, ad Agropoli, provincia di
Salerno, dove un veterinario pensa che un mix di feci e urine di
capra sia la cura contro il cancro, «perché le capre non hanno il
cancro»...
Per ricostruire la storia
di Liborio Bonifacio, veterinario di Montallegro (il comune
agrigentino gli ha intitolato anche una via) che esercitava ad
Agropoli, più che pubblicazioni scientifiche si trovano archivi di
agenzie e quotidiani e un suo libro esaurito da anni (La mia cura
contro il cancro, Savelli, 1970). In cui spiega che in tutte le
capre da lui visitate non ha mai diagnosticato il cancro e ne deduce
che può estrarre dagli animali la sostanza immunizzante. Come? I
giornali scrivevano di villi intestinali, lui no: «Si estraggono,
all'interno della capra macellata, le feci e si mescolano con urina,
prelevata dalla vescica dello stesso animale, aggiungendo circa 1/3
di acqua bidistillata. Si lascia macerare il tutto per circa 48 ore.
Si filtra».
Inietta il preparato a
caprette, spennellate per 40 giorni con benzopirene, un idrocarburo
cancerogeno, che non si ammalano; per Bonifacio il siero funziona.
Bastano 40 giorni a sviluppare il cancro? È una sua asserzione ma
gli basta: ha la cura. Che però va affinata. Il veterinario entra
così in contatto con il figlio di una donna con metastasi da tumore
mammario allo stato terminale. Dopo una prima iniezione
intramuscolare la signora migliora per 6 giorni. Morirà mentre
Bonifacio prepara la seconda dose. Il veterinario ne deduce che deve
differenziare i sieri: preparati con feci di capre femmine affiancati
da, eventuali, trasfusioni con sangue di donna se il tumore è un
sarcoma, feci di maschi e sangue di uomini per i carcinomi, come
raccomandava nel foglio illustrativo da lui redatto.
Nel 1953 Bonifacio chiede
una sperimentazione all'Istituto Pascale di Napoli. Su 10 cavie e 3
uomini i risultati sono negativi. Ne da colpa ai medici e, come
Vannoni, per anni promuovere ricorsi contro le modalità e
conclusioni delle analisi scientifiche.
Il 3 aprile 1970 “La
Stampa” pubblica la foto di una manifestazione dinanzi alla Camera:
sono parenti di malati di cancro che vogliono sperimentare la cura
Bonifacio. Cartelli simili a quelle del presidio pro-Stamina:
«Vogliamo la produzione del siero», «Sei pagato per lasciare
morire gli ammalati?» «Dateci il siero per i nostri malati».
Cos'era successo? Nel
1969 Giuseppe Grazzini, inviato di Epoca, nella rubrica "Storie
impossibili" pubblica una serie di articoli: testimonianze e
documenti su 11 casi di guarigione. Il 31 luglio l'ingegner Camillo
Ripamonti, ministro della Sanità del governo Rumor, gli risponde con
una lettera aperta sul "caso Bonifacio", affidando l'esame
preliminare sui fondamenti scientifici del metodo di cura a Pietro
Valdoni, chirurgo di Giovanni XXIII e di Palmiro Togliatti dopo
l'attentato del 1948. L'Istituto superiore di sanità stabiliva
l'innocuità del siero. Il 6 novembre 1969 Ripamonti firmava un
decreto per avviare lasperimentazione, data «la vasta risonanza
suscitata nella pubblica opinione dalle notizie, largamente diffuse
dalla stampa d'informazione, concernenti le asserite proprietà
antitumorali di un prodotto biologico di provenienza animale,
preparato dal veterinario dottor Liborio Bonifacio». Una resa, sin
dall'incipit del testo, alla credenza popolare.
Un decreto placebo?
Sicuramente non l'unico. Il 12 marzo 2014 sentito dalla Commissione
d'indagine conoscitiva sul caso Stamina l'ex ministro della Sanità
del governo Monti, Antonio Balduzzi, ha spiegato così la genesi del
decreto che ha concesso di continuare i trattamenti in corso : «La
caotica situazione che si era venuta a creare, anche per le ben note
campagne mediatiche che davano speranze alle famiglie, rese
indifferibile l'emanazione di un provvedimento legislativo di
urgenza».
Ma torniamo al 1969.
Bonifacio consegna la formula del siero a un notaio di Salerno e la
“Gazzetta del Mezzogiorno” avvia una sottoscrizione per fargli
aprire un laboratorio a Bari. Il veterinario visita tre volte la
città, riceve nel 1970 un assegno di 25 milioni di lire ma, in barba
a quanto detto, non si trasferisce in Puglia.
I viaggi della speranza
in Campania sono continui, malati arrivano anche dall'Australia, da
Usa, Argentina e Brasile. “La Stampa” il 12 gennaio 1970 spiega
che il portiere del Bari, Spalazzi, è sceso in campo contro il
Milan, che gli segna 5 gol, solo dopo aver avuto rassicurazioni da
Bonifacio, contattato dal quotidiano torinese, sulla somministrazione
del siero alla madre, gravemente malata, a Piacenza. Il giornale
racconta il tragitto in macchina Bari-Agropoli-Piacenza
con il secondo
allenatore, Chiesa. (Per Stamina invece i calciatori hanno messo
all'asta le loro maglie, in particolare quelli della Salernitana e
del Cosenza).
A rendere il clima di
attesa intorno al miracoloso preparato ci aiuta l'intervista di
Lietta Tornabuoni a Ripamonti su La Stampa il 1° marzo 1970,
titolata Questo discusso siero Bonifacio. «Che cosa l'ha
indotta, signor ministro, a ordinare questa sperimentazione?». «Più
che le richieste insistenti del dottore, la necessità di rispondere
alle esigenze poste dall'aspettativa popolare». «Per arrivare a una
sperimentazione ufficiale basta quindi che un medico qualsiasi
cominci a distribuire un farmaco qualsiasi, e che la gente gli dia
fiducia?». «Il caso Bonifacio non era "qualsiasi". Era
eccezionale. Eccezionale perché aveva avuto una larghissima eco
sulla stampa, ai vantaggi offerti dal prodotto si era data enorme
diffusione popolare, la reazione piena di speranza dei colpiti dal
male del secolo era stata vastissima». «Non è singolare tanta
prontezza nel decidere la sperimentazione del siero mentre si
conoscono bene le condizioni di lentezza e di disagio in cui lavora
tutto il settore della ricerca scientifica?” “Ma è una
sperimentazione che non costa nulla: eseguita su malati offertisi
volontariamente, in istituti già abilitati alla ricerca sui tumori”.
Il 6 marzo 1970 l'ANSA
annuncia che le fiale per la Commissione sono pronte. A maggio il
caso è internazionale, l'AGI scrive che Bonifacio è a Monaco di
Baviera, dove in una clinica è in corso la sperimentazione su 105
malati.
La bocciatura definitiva,
dopo che 4 pazienti su 16 trattati muoiono, arriva in un report della
Commissione del 24 giugno 1970, ripreso nel 1971 nell'articolo
Bonifacio anticancer goat serum su una rivista scientifica
americana CA:A Cancer Journal for Clinicians (dal 2008 è
online, con la specifica che si tratta di un testo, diffuso nelle 58
sedi dell'American Cancer Society, sulle false cure del cancro).
«Il prodotto», si
legge, «consiste in un estratto acquoso contenente tracce di
proteine diluite in soluzione di glucosio somministrato con flebo
contenenti vitamine, normalmente in commercio. Non è possibile
definirlo come "siero". La sostanza non è costante nella
fabbricazione e nel confezionamento, si rileva che le fiale sono
state preparate e chiuse a mano, tecnica che rende facile contaminare
anche il singolo flacone. In conclusione risulta chiaro che il
prodotto in sperimentazione non presenta nessuna azione curativa sul
cancro, non cambia la sintomatologia e non esercita effetti benefici
sulle condizioni del paziente».
Il Siero non funziona e
non ci sono neanche pubblicazioni scientifiche ad avvalorarne la
bontà. Il 7 dicembre '69 la rivista “Nazime” descrive tre casi
trattati all'Università di Roma (clinica di malattie tropicali) con
il siero: il primo ha un tumore al cervello e muore, il secondo ha un
tumore al fegato e scompare una metastasi, il terzo è proclamato
guarito. Non si dice neanche da quale tumore. Non ce ne saranno
altre.
Incurante di tutto
Bonifacio continua a preparare e distribuire il Siero che non è un
siero. Nel settembre 1970 in una farmacia di Chiasso, in Svizzera, si
può acquistare una confezione di 10 fiale per 11.000 lire. Nel 1973
l'Italia ferma le spedizioni e il 22 febbraio 1976, il “Corriere
della Sera” scrive di blocchi ferroviari ad Agropoli annunciando
una «marcia dei 100.000» a Roma. Non se ne saprà più nulla.
Nel 1979 Giuseppe Zora e
la moglie, coppia di ricercatori siciliani, sono sicuri di aver
riscontrato miglioramenti su cavie con tumori utilizzando il Siero. I
convegni scientifici criticano il test, stampa e tv no. Il “Giornale
d'Italia” ospita testimonianze di medici e malati e anche la
politica torna ad occuparsi di Liborio Bonifacio. Alleanza
trasversali chiedono una nuova sperimentazione e l'avvio delle cure.
Se con Stamina si sono schierati M5S, Lega e Fratelli d'Italia,
mentre tutti i partiti hanno votato a favore degli stanziamenti
necessari, nel 1982 furono i radicali con Bonino, Calderisi, Faccio e
altri a chiedere alla Camera, in nome della volontà dei malati, la
sperimentazione, i socialisti con Servadei a presentare
interrogazioni sulla presenza nella commissione che doveva valutare
il trattamento del farmacologo Garattini, "reo" di aver
espresso dubbi sul siero, mentre in Senato Msi-Dn con Mitrotti voleva
far luce sulla "congiura baronale" contro Bonifacio. Tutti
incuranti delle audizioni in Parlamento di diversi scienziati
sull'inefficacia del siero.
Dopo la denuucia di
Bonifacio è Elio Cappelli, pretore di Roma a chiedere al (nuovo)
ministro della Sanità, Renato Altissimo, un rapporto urgente sulle
irregolarità della sperimentazione del '70. Il 19 gennaio 1982 è
istituita una nuova Commissione Bonifacio (altra analogia; Vannoni
ricorre contro la prima commissione d'indagine e il Tar del Lazio gli
darà ragione) con trial negli
Usa su cavie e in Italia su malati. L'11 marzo Bonifacio decide la
distribuzione del siero ai malati ogni sabato. Si fermerà presto: il
29 maggio in una conferenza stampa nella sede della Fnsi attacca la
nuova sperimentazione concessa da Altissimo, vuole scegliere e curare
personalmente i malati, ignorando la bocciatura per eccessiva
genericità delle 2.114 cartelle cliniche da lui redatte e consegnate
alla Commissione del '70. In conferenza in vita i malati a protestare
e, scrive “l'Unità”, distribuisce il suo libro, parla con un
produttore per farne un film e con i radicali per un referendum. È
di nuovo isteria, con tanto di blocchi ferroviari e disordini. L'8
giugno il veterinario si rifiuta di consegnare il preparato al
National Cancer Institute. Poi a metà giugno invita gli ammalati
alla calma, ventilando l'ipotesi di denunciare per omissione di
soccorso il ministero della Sanità che, pur avendo la formula del
siero, non lo prepara e somministra. (Anche Vannoni, dopo la
bocciatura di Stamina, ipotizzerà nel dicembre 2013 la denuncia
contro il ministero e contro la titolare Beatrice Lorenzin. Ma per
omicidio colposo).
Alla
fine la nuova Commissione si insedia. La sperimentazione va ultimata
entro il 20 gennaio 1983. Ma non si farà. Uno dei figli del
veterinario, Leonardo, accusa i membri di essere ostili, il
presidente della Commissione, l'oncologo Enzo Bonmassar, non riceve
il siero.
Bonifacio
muore il 19 marzo 1983. Da mesi produce e distribuisce il siero
un'associazione. ASiBo. disconosciuta dai suoi figli. Leonardo
brevetta il siero negli Usa e in Svizzera, con il nome di
"oncoclasina", e inizia uno sciopero della fame davanti la
Camera. Nel 1985 il prefetto di Salerno autorizza la distribuzione
del siero, su richiesta anche del sindaco di Agropoli, ma i Nas lo
sequestrano, su indicazione del ministero della Sanità, e il
Consiglio dei ministri stabilisce che distribuirlo è illegale. Su
“La Repubblica” Leonardo annuncia che l'Istituto Liborio
Bonifacio di Tollegno, nel vercellese, ne sospende la produzione.
L'Istituto era nato nel dicembre 1984 e non erano note consulenze
scientifiche. Il siero è ignorato per 10 anni. Nel 1995 torna
Leonardo: hanno brevettato l'Uk101, proteina estratta dal
fegato di capra, lo ritiene un plagio del padre e su “Panorama”
adombra la possibilità di bloccarla. La sperimentazione la boccerà.
Nel 1998 il “Corriere” scrive che Leonardo metterà in vendita il
siero, in primis a San Giovanni Rotondo, di fronte all'ospedale
voluto da Padre Pio. Nel 2007 su il Giornale ricompare Zora, che
spiega che Bonifacio ha ripreso un prodotto ottenuto dalle feci delle
capre della scuola medica salernitana, il belzoar, risalente all'anno
mille!
Nel 2008 un altro dei
figli, Giuseppe, annuncia al “Corriere del Mezzogiorno” di voler
tornare a produrre il siero, assicurandone la distribuzione gratuita.
Poi della famiglia non si hanno più notizie, ma nell'agosto 2010 il
“Corriere Fiorentino” e “Repubblica” danno notizia del
processo a danno di due medici, padre e figlio, che rimuovevano le
etichette dalle fiale di cortisone per venderlo come Siero di
Bonifacio. A 60 anni dalla bizzarra genesi di questa storia due
medici lucrano sulla salute di 15 malati. Liborio Bonifacio, i suoi
capelli pettinati all'indietro con la brillantina e le capre sono
foto in bianco e nero nelle storie impossibili, mentre. spalleggiato
da settimanali e dai servizi delle Iene, Vannoni calca la scena con
Stamina. Il primo annuncio è del 2007 e riguarda sperimentazioni tra
Torino, San Marino e l'Ucraina, due Stati che non applicano le
direttivo europee sulle sperimentazioni. Il remake potrebbe
cominciare così, il copione è già scritto.
Pagina99we, 23 agosto 2014
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