3.7.18

“Caro maestro Pirandello”. Acredine e vittimismo nelle lettere di Marta Abba (Osvaldo Guerrieri)

Da sinistra: Luigi Pirandello e Marta Abba

Gli attori si lasciano dietro un nome sterile e una ghirlanda di fiori secchi. Lo diceva Oscar Wilde, ma se fosse vero, non saremmo qui a sussultare, leggendo le lettere che l'attrice Marta Abba scrisse a Luigi Pirandello tra il 1926 e il 1936, Caro Maestro..., edite da Mursia (pp. 406). Altro che fiori secchi: perfidie, maldicenze, invidie, odii profondi, meschinità. Un decennio di corrispondenza fittissima, nella quale entrano, come spinose ossessioni, la smania del successo, il supposto boicottaggio dei giornali e dei critici, il rapporto non facile col Maestro, che, ombroso e sospettoso, non perdeva occasione per rimproverare all'attrice colpe vere o presunte. Nel 1926 Marta Abba aveva 26 anni. Era bella, elegante, svelta nella figura.
Sebbene avesse colto il primo, vero successo della sua carriera soltanto due anni prima, recitando con Virgilio Talli nel Gabbiano di Cecov, era già capocomica. Pirandello aveva 59 anni. Godeva di fama internazionale e viveva una situazione familiare drammatica. Tra lui e la Abba era nato un legame fortissimo, certamente amoroso, ma di sicuro non erotico. Il Maestro scriveva per lei alcune fra le sue più celebri commedie (Trovarsi, Come tu mi vuoi) e insieme la consigliava, ne seguiva il percorso artistico, le suggeriva il repertorio, qualche volta (apprendiamo da queste lettere) traduceva per lei o aggiustava versioni zoppicanti. Quando erano lontani, le scriveva lettere "lunghe come romanzi", alle quali Marta rispondeva dolendosi talvolta della propria sintassi approssimativa. Ma non è la sintassi l'aspetto più preoccupante dell'epistolario. Non lo sono neppure le disinvolture ortografiche ("wechen-den" al posto di "week-end") o i clamorosi casi d'ignoranza ("quella commedia di Giorgio ÒNeil Stra no intermezzo", "Il nodo scorsoio di Noel Coward, inglese mi pare o americano", "Claudel è vivo o morto?"). Ciò che davvero sorprende, in queste lettere, è la carica maligna e cattiva con cui la Abba attacca tutti i propri nemici.
Rivela un odio profondissimo nei confronti dell'attrice Tatiana Pavlova ("è tanto lo schifo che mi sale alla gola a vedere quella lurida megera, incoronata di gloria a quel modo"); dà stoccate alla Borboni, che "non è piaciuta né come attrice (e questo si poteva capire) né come donna"; mostra di disprezzare gli attori amici della Pavlova: Picasso, la Franchetti, Olivieri, che definisce "la risma e la feccia del teatro". Il secondo polo dell'astio profondo di cui si nutre la Abba è occupato dai giornali. Li vorrebbe attenti e benevoli. Non soltanto per sé, ma anche per il suo Maestro. Quando Pirandello è a Berlino per il contrastato debutto di Questa sera si recita a soggetto, il Giornale di Brescia pubblica una cronaca della serata dai toni drammatici. La Abba annota: "Voglio sapere chi è quell'animale (scusi il termine) di questo corrispondente da Berlino, canaglia anzi che no". Ma questo è nulla in confronto a ciò che l'attrice scrive di Silvio D'Amico ("questo prete") e del critico teatrale de La Stampa, Francesco Bernardelli, che lei addirittura vorrebbe far cacciare. Scrive il 28 dicembre 1930: "... ricordando poi che questo Signor Bernardelli già aveva fatto la sua opera deleteria con il Lazzaro dell'anno scorso, ho chiamato gli amici vicini a lui per consigliarmi che dovevo fare.
E gli amici erano come già le ho detto Ridenti e Mortari che non avevo visto. Mortari corse subito e si trovò d'accordo, così Ridenti, perché io parlassi con il direttore de la Stampa, Curzio Malaparte. Lo potei vedere soltanto ieri dopo le prove. Si mostrò molto cortese e gentile, si ricordò di me a Ferrara con lei e il discorso poi lo feci cadere sul Signor Bernardelli. Mi disse che per questo signore è una lamentela generale e che lui non lo può mandar via perché è un mutilato di guerra con moglie e figli e con una ferita alla gamba, mai sanata che lo fa soffrire molto". È andata davvero così? Fino a che punto possiamo credere che Malaparte tenesse l'autorevolissimo Bernardelli per puro spirito umanitario?
È possibile che Marta Abba peccasse di vittimismo? Forse l'ipotesi è legittima, convalidata dai continui lamenti sulla difficoltà (per lei) di ottenere tournees all'estero e contratti vantaggiosi in patria. Ma è anche donna meticolosa, che annota scrupolosamente incassi e guadagni; attrice ambiziosa, che sogna il successo in modo infantile, ma lesina la paga agli scritturati; amica affettuosa, preoccupata per la salute del Maestro e pronta a raccomandargli prudenza, a consigliarlo su come curarsi. E Pirandello? Non sappiamo che cosa le dicesse in quelle lettere "lunghe come romanzi". Certo, oltre a rimproverarla e a consigliarla, doveva parlarle d'amore; forse con un'insistenza e con una forza che dovevano stordire Marta, la spossavano, la inducevano a lapsus rivelatori. Per esempio là dove scrive: "Ma Pirandello, checché se ne dica, è egoista, e quel che è peggio non se ne accorge e dà prova continuamente di egoismo, ed è brutto, specialmente quando si arriva a una certa età...".

“Tuttolibri Laa Stampa”, 1994

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