2.9.18

Culti letterari. Colette, la scandalosa che meritò il paradiso (Leo Merumeci)


«Mi chiamo Claudine, abito a Montigny, dove sono nata nel 1884; probabilmente non ci morirò». Mente, mente già come un’autentica scrittrice. In verità, ha undici anni in più della sua eroina, è nata nel 1873 a Saint-Sauveur-en-Puisaye e si chiama Sidonie Gabrielle Colette: e sta iniziando con queste parole una carriera di scrittrice che la condurrà dal dilettantismo alla gloria.
Oggetto di un culto diffuso e mai trascurato nel tempo, Colette (che si spense a Parigi il 2 agosto 1954) conosce oggi un ulteriore clamoroso rilancio editoriale. Nella mitica collana Plèiade esce in Francia il primo tomo delle opere complete, e, sempre da Gallimard, sta per apparire un album fotografico, Colette-Pléiade, che invaderà rapidamente il mercato in 40 mila esemplari.
Da noi, a parte qualche sporadica edizione (Mondadori, Rizzoli, Guanda), le opere di Colette vengono ora pubblicate sistematica-mente da Adelphi. Nell’80 è uscito Il puro e l’impuro, l’anno seguente Il mio noviziato e “in questi giorni” l’attesissimo Chéri, il romanzo che inaugura nel 1920 la stagione più felice ai questa autrice. «Dopo Chéri sarà la volta della Fine di Chéri», informa Roberto Calasso, che dell’Adelphi è direttore editoriale. «E poi avanti, un libro all’anno, fino a esaurimento dei titoli».
Le quattro Claudine sono l'asse portante del primo dei quattro volumi di Opere previsti nella Plèiade. In questo primo tomo, Colette è ancora giovanissima: tutti sanno che, non appena la ragazza ultimava un suo quaderno scolastico, suo marito, Henry Gautier-Villars detto Willy, lo sequestrava e se ne attribuiva la paternità. Dei manoscritti di Claudine à l'ècole e di Claudine à Paris si è persa ogni traccia. L’infame Willy li bruciò nel 1907, dopo la loro separazione, perché nessuno si accorgesse che non li aveva scritti lui.
Eppure, in questa storia assai romanzata, i ruoli vanno riconosciuti per intero. E va detto, allora, che questo vecchiaccio terribile che sposò una giovane e deliziosa provinciale senza dote fu probabilmente la molla di tutto. Ascoltandola mentre lei parlava di felicità, di infanzia, delle sue amicizie particolari il marito le consigliò di mettere sulla carta, per gioco, quelli che erano già ricordi. Gabrielle ci si mise d’impegno, ma senza gioia, da cui il tono deliziosamente scolastico di Claudine à l'ècole. Willy, poi, aggiunse le sue spezie erotiche a un intrigo pressoché inesistente. Claudine à l’école uscì nel 1900, a firma del solo Willy. Grazie a un'entusiastica recensione di Charles Maurras, ebbe un successo scandaloso.
Un trionfo, più che un successo. Quarantamila copie in due mesi. Una vera e propria moda che contagiò tutto: colletti da camicia, cravatte, lozioni, perfino stuzzicadenti. Willy rimise subito Colette al lavoro e fu la volta del mediocre Claudine à Paris, (1901). Seguì Claudine en ménage. L’officina sembrava marciare a pieno ritmo. Ma Colette si ribellò, e Claudine s'en va, nel 1903, segnò la fine di Claudine «con» Willy. Nel 1922, per dimostrare un talento ormai provato, Colette scriverà La maison de Claudine, opera a sé stante che non ha ancora la sua collocazione cronologica in questo volume della Plèiade.
Ma questa collana prestigiosissima si addice a Colette? È giusto chiederselo. I quaderni così leggeri ed effimeri, sui quali Gabrielle scriveva con la sua penna veloce, mal sopportano d’essere scolpiti nel marmo biblico della Plèiade. Le Claudine sono una suite deliziosa di quadretti che non possiedono una loro coerenza interna. Bisogna sgranare gli occhi per intuirvi la futura grande Colette, visto che Willy li ha certamente alterati con la sua zampa di romanziere sboccato.
Paul d’Hollander, uno dei presentatori dell’opera, cerca di raccapezzarsi in questo patchwork letterario, ma la scrittura mantiene i suoi segreti. Così come non si sa l’anno esatto in cui Gabrielle incontrò Willy. Sembra comunque che i due furono felici insieme, nonostante in seguito tutti si siano adoperati a dimostrare il contrario. Con lui, Colette si accostò a Proust, Anatole France, Alfred Jarry, Marcel Schwob, i Guitry, Jules Renard, tutto un mondo, insomma, che la figlia del capitano Jules Colette (esattore in pensione e senza una gamba) non avrebbe mai potuto conoscere.
Nella sua notevole prefazione Claude Pichois (che, dopo Nerval e Baudelaire, introduce Colette nella Plèiade), osserva giustamente che in questa officina letteraria delle Claudine la scrittrice rischiò di perdere la propria identità. E le occorse senz’altro un vero coraggio per sottrarsi a Willy e alle sue inquietanti attenzioni per affrontare, con il divorzio, la solitudine. Divenne «scandalosa» esibendosi in teatro con solo qualche velo indosso, ma finalmente libera di abbandonarsi a quel saffismo che le era del tutto naturale. Le sue avventure con donne scossero la società perbenista della Belle Epoque. La si riteneva persa alla letteratura. E invece stupì tutti pubblicando La retraite sentimentale, nel 1907 (un amalgama di due cose rubatele da Willy), L’ingénue libertine (1909) e, soprattutto, Les vrilles de la vigne (1908), dove traspare la sensibilità di uno scrittore che si risveglia al mistero delle parole.
Fermandosi con questo primo volume delle Opere al 1910, i curatori seguono le peripezie della inquieta vita di Colette, che da Claudine passa per il famoso Dialogue de Bétes per approdare all’esperienza rigorosa de La vagabonde: il suo primo «vero» romanzo, dove Willy viene maltrattato come si merita e dove, soprattutto, la scrittrice, finalmente sola, diventa quella straordinaria narratrice del piacere che resterà per sempre.
«Scrivo su dei tavolini zoppicanti, seduta di sbieco su sedie troppo alte, un piede calzato e l’altro nudo, col foglio nel vassoio della prima colazione e la mia borsa aperta fra spazzole, boccette di profumo e cavatappi», scrisse nel 1910, ne La vagabonde. Aveva trentasette anni. Si era salvata dal music-hall, dai vecchi magnaccia, dalla futilità.

“L'Europeo”, 9 giugno 1984

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