Sul finire di luglio ci
ha lasciato Clara Sereni. Posto qui il pezzo che allora ho scritto
per “micropolis on line” con l'intento di testimoniare un dolore,
un affetto e una stima grandissima. Sabato 15 settembre alle 16,30 ci
ritroveremo per ricordare Clara nella sala del commiato del cimitero
monumentale di Perugia. Spero che si sia veramente in tanti. (S.L.L.)
È morta Clara Sereni,
che non vedevo da qualche anno e mi dispiace moltissimo di non aver
potuto salutare.
Clara – non credo che
mi facciano velo i sentimenti di amicizia – è stata una scrittrice
grande, più di quanto non dica il successo dei suoi libri. È
probabile – come una volta affermò – che la spinta a scrivere le
venisse dalla volontà di capire, di chiarire le cose a se stessa
prima che agli altri e che questo sforzo le procurasse patimento; ma
a me pare certo che la sua capacità di mescolare generale e
particolare, toni bassi e toni alti, ironia e pietà, documenti e
sentimenti diano alle sue scritture una ricchezza comunicativa rara,
quella che si ritrova solo nei grandi scrittori.
Da Casalinghitudine
(1987) al Gioco dei Regni (1993), da Passami il sale
(2002) a Via Ripetta 155 (2015), per ricordare solo i titoli a
mio avviso più importanti, la sua è una ricognizione che parte
sempre dal sé, dalla storia di una famiglia speciale, di una
giovinezza da sessantottina inquieta e ribelle, di una madre alle
prese con l’handicap del figlio, di una donna di sinistra impegnata
a cambiare il mondo e mai rassegnata; ma sia il montaggio, quasi
sempre felice e probabilmente legato ai rapporti con il cinema, sia
le risonanze letterarie e linguistiche che animano lo stile quasi
sempre trascendono l’esperienza privata e danno alle sue scritture
una dimensione pubblica non meramente documentaria, ma creativa,
poetica.
Casalinghitudine,
libro dal titolo felicissimo, in cui molte donne si sono ritrovate e
si ritrovano, lancia una formula destinata a un grande successo: le
ricette di cucine (Clara era appassionata gastronoma e cuoca
eccellente) connesse a una narrazione, in questo caso per frammenti,
di storie personali, familiari o di gruppo e centrate
sull’affermazione del sé in una donna, sempre faticosa, anche
quando si tratti di donna relativamente privilegiata. Il gioco dei
regni è una saga familiare in cui si proietta la grande storia:
il padre ebreo romano che passa da un sionismo molto religioso al
comunismo vissuto come una religione, uno zio che resta sionista
impegnato a costruire la nuova patria d’Israele, una mamma russa
che sembra accettare un ruolo subalterno e una nonna materna molto
rivoluzionaria. In questo mondo l’ideale non di rado diventa
retorica e confligge con le miserie della quotidianità. Passami
il sale è il romanzo dei due o tre anni in cui Clara fece parte
della giunta comunale a Perugia, dai toni apparentemente più
dimessi, in prevalenza ironici, ma le piccole vicende amministrative
di una città media diventano nella sua scrittura critica della
politica, anche della grande politica, del suo persistente
maschilismo, dei suoi riti, dei suoi ingorghi, della sua indifferenza
alla vita reale. E infine il controverso Via Ripetta 155, per
me molto più che un “memoir” o un romanzo “generazionale”
sul Sessantotto, ma una grande costruzione letteraria, in cui
confluiscono non solo esperienze ma tradizioni.
Sotto traccia sempre, ma
non troppo, un tema profondamente politico accompagna le narrazioni:
è una domanda di senso e di impegno che scaturisce dalla stessa
storia familiare: che fare dopo il comunismo, che è stato insieme
liberazione e oppressione, verità e menzogna, sogno e incubo. La
fine un po’ ingloriosa del tentativo novecentesco di cambiare la
società e la vita è rappresentata in maniera classica dalla
decadenza fisica e intellettuale di Emilio Sereni, dal suo chiudersi
in se stesso, che trova l’acme nelle pantomime familiari che
accompagnano il romanzo di formazione in Via Ripetta e più
ancora nel trasferimento della grande biblioteca nel Gioco dei
regni: “Privo del muro di carta che per tanti anni lo aveva
rinchiuso e difeso fu ad un tratto vecchio, assai più degli anni che
aveva. Silenzio. Ordine e disciplina comandamenti vuoti, via via più
staccati da un progetto. Un dolore che dilagava, una solitudine
feroce. Fino all’ultimo”. Ma c’è nel racconto di Clara Sereni
anche la volontà indomabile di dare comunque gambe e corpo
all’utopia (parola che amava molto, mentre trovava respingente
“ideologia”), in un progetto che procede per tentativi ed errori,
ma senza rese. Così si legge nel finale di Via Ripetta:
“Tutto era pronto per un nuovo passo in avanti. Con tutte le
speranze e utopie ancora – colpevolmente – intatte”. Finale
“riformista” forse, ma irriducibile: la lotta continua sempre,
seppure con altri mezzi.
Ho voluto, per questo
ricordo in pubblico, valorizzare com’era giusto la scrittrice
rispetto all’amica, alla compagna, ma non posso fare a meno di
ricordare le battaglie concrete che Clara condusse a Perugia e tra
esse quelle che la videro al nostro fianco, a fianco della redazione
di “micropolis” e dei compagni di “Segno Critico”.
Clara aveva scelto di
abitare a Perugia e tra le ragioni di questa scelta, nei primi anni
90, c’era la qualità della vita che era – al tempo – ancora
abbastanza alta sotto il profilo dei servizi e della vivacità
culturale. Accettò pertanto volentieri di far da assessore a
Maddoli, il sindaco venuto dalla “società civile”, come si
diceva allora, un professore di storia greca legato al mondo
cattolico. Convinta che alle difficoltà dello stato sociale di
dovesse reagire con un movimento di solidarietà dal basso, di nuova
mutualità sorretta dalle pubbliche istituzioni, si impegnò in
quella che le appariva una battaglia esemplare, la “Banca del
tempo” attraverso cui le persone si sarebbero scambiate del tempo
da dedicare ad attività di cura, e in particolare al sostegno ai più
deboli e fragili. Non funzionò. Forse non poteva funzionare.
Non funzionò neanche il
tentativo suo e di altri assessori, forse dello stesso sindaco, di
resistere alle logiche di una “macchina amministrativa” che mal
si conciliava con utopie o ideali, e che era a quel tempo tesa a
promuovere sviluppo e affari, soprattutto nel campo delle
costruzioni.
Clara si dimise molto
prima della fine del mandato, ma non cessò il suo impegno. Nei
primissimi anni Duemila nella battaglia interna del Pds si schierò a
fianco di Cofferati e del “correntone” di Giovanni Berlinguer, le
cui attività coordinò a Perugia. Con una idea fissa: uscire dal
chiuso delle sedi di partito e lanciare una battaglia culturale nella
società, per la difesa dei diritti del lavoro, per il rilancio dello
Stato sociale, per il sostegno agli ultimi, per la pace.
In questo si incontrò
con noi. Per un anno intero organizzammo iniziative in comune, tra
“micropolis” e “Aprile” l’associazione culturale legata al
“correntone”. Ricordo la sua occasionale, ma significativa,
collaborazione al giornale, ma ricordo soprattutto cene, incontri,
chiacchierate per preparare iniziative. Era generosissima Clara:
partecipava alla lotta politica, scriveva e intanto seguiva il figlio
Matteo e lavorava per la “Città del Sole”, la fondazione senza
scopo di lucro che nel 1998 aveva promosso per aiutare i disabili
psichici.
Due delle iniziative
comuni che al tempo (2002) promuovemmo la videro protagonista con
impostazioni originali. Per la presentazione del suo Passami il
sale, in una sala di Palazzo Penna affollatissima e caldissima,
si stufò dei complimenti che in tanti le rivolgevano, prese il
microfono e disse: “ora parliamo di politica, del che fare per la
sinistra!”. Volle poi partecipare con Nemer Hammad alla
presentazione del Diario segreto dell’esponente palestinese,
al tempo ambasciatore dell’OLP e di Arafat in Italia, curato da
Alberto La Volpe. L’incontro si svolse in una sede ufficiale della
Regione, a Palazzo Cesaroni, ma i palestinesi per i politici di
mestiere, anche di sinistra, non erano più di moda e nella sala
Brugnoli piena, se ne contarono pochissimi. La presidente della
Regione Lorenzetti, che in passato si era dichiarata amica personale
di Nemer Hammad oltre che di Arafat, si disse impegnata nell’altra
ala del palazzo regionale. Clara, ebrea, con una parentela israeliana
e sionista, con ottimi personali legami in Israele, non solo
intervenne, ma seppe esprimere con semplicità e intensità la sua
partecipazione alle sofferenze dei palestinesi. La sera, in una
indimenticabile cena al Deco, ove da anfitrione faceva Maurizio Mori,
Clara seppe vincere con la sua umana simpatia, le diffidenze dei
palestinesi che accompagnavano Hammad. Finì con abbracci commoventi.
Micropolis on line (
www.micropolis.umbria.it
), 28 luglio 2018
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