Le ricerche dimostrano
che le "specie aliene" entrano in Europa sui mercantili e
gli aerei di linea: niente a che vedere con i barconi dall'Africa
Punteruolo rosso della palma. In provincia di Reggio Calabria ha distrutto centinaia di piante |
Sì, l’invasione viene
dal mare. Ma anche dalla terra, sulle rotaie della riaperta via della
seta e sulle gomme degli autosnodati. E dal cielo, su regolarissimi
voli di linea. Volontariamente, o per caso. Si insinua in culture
diverse, estranee. E marcia sempre e comunque alla velocità
dell’economia e della sua globalizzazione. Ma il nostro ministro
dell’interno stia tranquillo: non stiamo parlando di umani, che lo
preoccupano. Parliamo di altre specie, in particolare quelle
classificate come aliene e invasive dai biologi: ossia insetti,
uccelli, mammiferi e microrganismi che, introducendosi in un contesto
estraneo a quello di provenienza, causano danni all’ambiente, alla
salute e all’economia. Danni e perdite ingenti: 12,5 miliardi di
euro all’anno in Europa, è la stima più prudente, 20 miliardi
quella considerata più vicina alla realtà. A livello globale, c’è
in gioco il 5% del Pil mondiale. Insomma, una minaccia seria per
l’economia. Economia che però è anche all’origine del problema,
con lo straordinaria e stratosferica accelerazione dei commerci a
cavallo dei due millenni. E così, nel mondo post global di Trump e
dei sovranisti casarecci, la globalizzazione della specie è già
cosa fatta. Se avesse un indice sintetico, sarebbe molto simile a
quelli del Pil: è una malattia dei benestanti, soprattutto quelli
del Nord del mondo e adesso anche dell’Est rampante; che, come
spesso succede, diventa letale per i poveracci, quelli del Sud.
Di navi e
clandestini
Il sovranismo biologico
contro il pesce palla può essere ancora più ridicolo e inane di
quello corrente sul mercato del consenso politico. Ma certo quel
Lagocephalus sceleratus carino e strambo, all’apparenza
innocuo ma velenosissimo, non solo merita il suo aggettivo
scientifico ma sintetizza bene i nuovi legami tra biologia ed
economia. Quelli che sono esplosi, come tema della ricerca
scientifica, negli ultimi anni, con frotte di studiosi alla ricerca
del fattore economico-commerciale nell’impennata delle specie
aliene invasive (Ias, è l’acronimo a cui dovremo presto abituarci
come ai board della Bce o ai punti di Pil o alle oscillazioni del
Nikkei). Il pesce palla argenteo, infatti, viene dai mari tropicali.
Quando i pescatori del Mediterraneo se lo sono trovato nelle reti le
prime volte, qualcuno lo ha mangiato – ed è morto. Nel nostro
specchio di mare, prima, non c’erano specie velenose. Se sono
arrivate, è per il canale di Suez e il suo gran via vai delle rotte
commerciali. Le chiamano “migrazioni lesspsiane”, quelle
travasate dall’oceano indiano al Mediterraneo attraverso il taglio
fatto a fine dell’800 dall’ingegner de Lesseps: è vero che sono
cominciate da allora, dunque in qualche modo è storia vecchia. Ma è
anche vero che il primo viaggio navale con container è del 1956 e
l’esplosione delle “multinazionali del mare” (definizione del
sociologo Sergio Bologna) è molto più recente. Come recentissimo è
il raddoppio del Canale di Suez, che dal 2015 ha potenziato
enormemente la capacità e il flusso commerciale nonché animale, tra
gli inascoltati allarmi e caveat dei biologi europei.
La rivoluzione di “the
box”, il container che ha cambiato il mondo, è nel gigantismo: di
stazza, peso, valore, velocità. Ma anche – si è scoperto dopo –
nel piccolissimo. Per esempio, nei microrganismi che stanno
nell’acqua del mare caricata magari al largo della Cina, per fare
zavorra e stabilizzare il gigante, e scaricata a destinazione, nel
fresco del canale di San Lorenzo, all’imbocco dei grandi laghi
americani, o nel porto di Amburgo, o in California. Queste acque
hanno portato tempo fa la cozza zebrata nei grandi laghi americani –
prolifera più veloce di una fabbrica cinese, e il tappeto di
molluschi che ne viene fuori può bloccare impianti, sbocchi,
transiti – e, in un meccanismo micidiale di andata e ritorno, hanno
esportato dall’Atlantico al mar Nero la noce di mare, una specie di
medusa che ha annientato la pesca delle acciughe in Turchia. Ma gli
“autostoppisti inconsapevoli” non viaggiano solo nelle stive: si
attaccano anche alle chiglie dei giganti e così attraversano
allegramente il mondo. Sopravvivendo in contesti altrimenti ‘ostili’
anche grazie all’altra grande causa della proliferazione degli
alieni: il cambiamento climatico.
Un velenosissimo pesce palla pescato a Molfetta nel 2017 |
Belli e terribili
Non ci sono solo le
importazioni involontarie. Anzi, tutto comincia, dall’alba dei
commerci, con raffinati scambi d’élite. Piante ornamentali e
animaletti esotici, spesso in cattività ma poi liberati o sfuggiti e
liberi di riprodursi in altro habitat. Solo che ai tempi dei mercanti
veneziani non c’era il climate change e tutto andava un po’
più piano. Ma è del 1948, per dire, l’introduzione in Italia
dello scoiattolo grigio, portato da un ambasciatore dal nord America
ai giardini di Candiolo, nel torinese: ma il carino e socievole
roditore che viene a mangiare semini nelle nostre mani a Central
Park, in Europa è diventato lo sterminatore del collega scoiattolo
rosso, e di tutto l’ecosistema che su questo si basava. Ed è
recentissimo l’arrivo dei parrocchetti monaci che svolazzano fuori
dalle nostre finestre nella calura neotropicale romana: ancora non
classificati nella lista nera delle specie invasive, ma – gli
estimatori si mettano in allarme – a rischio scomunica, per la loro
capacità predatoria di semi come di cavi elettrici, e il rischio che
diffondano la psittacosi. Specie introdotte volontariamente per
bellezza e simpatia, mica infiltrati clandestini come il punteruolo
rosso delle palme, il tarlo asiatico sulle foreste lombarde, la
zanzara tigre, l’acaro delle api.
L’anima del
commercio
Cos’è cambiato, dai
tempi in cui il mercante veneziano portava a casa una pianta esotica
o l’ambasciatore si infatuava dello scoiattolino americano? È la
globalizzazione, stupido, si potrebbe rispondere parafrasando il
motto (“It’s the economy, stupid”) dello stratega della
campagna di Clinton del 1992, per l’appunto uno degli eroi della
fase global del progressismo mondiale. Solo negli ultimi trent’anni,
quelli della globalizzazione arrembante, il numero delle specie
aliene in Europa è cresciuto del 76%. In Italia, l’aumento è
stato nello stesso periodo del 96%. Nel Mediterraneo, l’invasione è
raddoppiata in quindici anni. Ma una correlazione più precisa, fatta
disarticolando i fattori ambientali e quelli umani, è stata fatta
per l’Europa da un gruppo di ricercatori guidato dallo scienziato
ceco Petr Pysek. Grazie alla disponibilità di un gigantesco dataset
con tutte le specie Ias in Europa, si è cercato di vedere le
correlazioni con altri dati oggettivi: demografici, come la
numerosità e densità della popolazione; biogeografici; climatici; e
soprattutto economici. Questi ultimi fanno riferimento non ai dati
sul reddito o sui consumi (presenti), ma sulla ricchezza, che meglio
testimonia anche l’accumulo passato. Bene, da questo studio viene
fuori che i fattori economici sono di gran lunga prevalenti: più
alta la ricchezza, più numerose le specie invasive. I valori più
alti sono nelle regioni con più di 250.000 dollari di ricchezza pro
capite, e con la densità di popolazione superiore a 91,1 abitanti
per chilometro quadrato. Aree sviluppate e urbane, ad alta
concentrazione di produzione e reddito. Traslato su una mappa
mondiale, e dando il colore rosso alle zone più “invase”, una
mappa pubblicata in un articolo su “Nature Communications” da un
altro gruppo di ricercatori mostra a colpo d’occhio
l’effetto-benessere: la minaccia “molto alta” è in Europa,
negli Stati Uniti (soprattutto Est, ma anche California), zone
costiere cinesi, quelle più industrializzate dell’India. Poi ci
sono molti puntini rossi in zone più povere, per esempio in Africa.
Qui il vettore prevalente è negli aeroporti, gli alieni arrivano più
in volo che attraverso i porti, che pure ci sono ma con minori volumi
di traffico e sbarco.
«Minori volumi, ma
maggiore vulnerabilità»: Piero Genovesi, ricercatore dell’Ispra
(l’agenzia italiana di protezione dell’ambiente) e responsabile
di un gruppo internazionale di contrasto alle specie aliene,
introduce un altro elemento della distribuzione mondiale
dell’invasione, ed è nella minore capacità di risposta degli
Stati e delle economie più deboli. Controlli alle dogane, misure di
prevenzione, contromosse per fermare le epidemie. «Spesso sono Paesi
che dipendono dall’agricoltura, l’effetto di un fungo o un
insetto può essere tragico per intere popolazioni». Insomma, i
ricchi importano più specie aliene, ma i poveri rischiano di più.
Quanto alle contromosse, in epoca di sfortune crescenti della
globalizzazione e dazi alzati come dighe in nome del popolo
sovranista, il terreno è scivoloso più d’un tappeto d’alghe. Ma
«gli strumenti non mancano, senza stravolgere le nostre abitudini di
viaggio o bloccare i commerci», dice Genovesi. Per esempio,
individuare la lista delle 50 specie di cui proibire del tutto il
commercio, come ha fatto il regolamento dell’Ue; prendere misure di
prevenzione – come far svuotare le navi delle loro acque-zavorra al
largo e non in bacini chiusi, cosa che Canada e Usa hanno già deciso
-; aiutare i paesi meno sviluppati a fare controlli alle dogane;
diffondere conoscenze e prepararsi a gestire le emergenze. Anche
perché – e di nuovo torniamo su termini e problemi economici –
il vero “debito” dell’invasione viene fuori solo a decenni di
distanza. Adesso lo stiamo accumulando, per i nostri nipoti. Proprio
come il debito pubblico.
L'Espresso, 18 settembre
2018
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