30.9.18

Sessantotto. La contestazione in America (Dany Cohn-Bendit)

Chicago 1968. La polizia picchia selvaggiamente i  contestatori al Congresso del Partito Democratico
L'hanno tanto amata, l'America, quei giovani americani che hanno scoperto, all'inizio degli anni 60, che la società che serviva da modello e faro al mondo occidentale non era così perfetta come si voleva far credere loro.
Educati nel rispetto dei diritti dell'individuo, non potevano comprendere che si impedisse a un nero l'accesso a una scuola. Che il governo, garante della Costituzione, accettasse che i neri non potessero, nelle piazze, sedersi sulle panchine riservate ai bianchi. Che vi fossero bar per neri e bar per bianchi. 
Questo non era tollerabile. Non era quello che avevano appreso sulla lotta tra il Bene (l'America) e il Male (il comunismo). L'America mentiva sui propri valori …
Allora essi scesero nelle vie e sulle strade del sud degli Stati Uniti per proclamare questa evidenza. E fu a colpi di pedate, di lance antincendio e di imputazioni per turbamento all'ordine pubblico che i poveri d'America insegnarono loro la verità sullo “stato dell'Unione”.
Prima falla nella fede nell'invincibilità e nella legittimità del “sogno americano”, che andrà allargandosi nel corso degli anni 60. Terremoti. Il problema nero, certamente, e l'esplosione della rivolta nei ghetti delle grandi città industriali. Primi echi delle guerre all'estero fomentate o sostenute dalla potenza americana, in Asia o America latina. Ma è soprattutto la proibizione di esprimere le loro contestazioni nei campus universitari, che giocherà il ruolo di detonatore e spingerà i giovani americani a sfidare tutti i poteri.
I poeti beatniks diedero un'anima alla loro rivolta: l'intelligenza e lo humour erano loro alleati. Herbert Marcuse fece loro comprendere l'alienazione degli individui rinchiusi nella loro funzione di strumenti di produzione, non ammessi al piacere, alla gioia. McLuhan insegnò loro l'enorme potere dei nuovi media. Bob Dylan e Joan Baez indicarono loro le virtù del ritmo, della musica e dei testi impegnati, per mobilitare le folle. Quanto ai neri, essi mostrarono loro che per vincere bisogna battersi fino in fondo, quale che ne sia il prezzo.
Nel 1962 dei giovani militanti creano lo SDS (Student for a Democratic Society), organizzazione che unifica tutti i contestatori dei campus universitari. Questo movimento dieviene la punta di lancia della rivolta, quando Kennedy si impantanò nel Vietnam e l'invasione di Cuba finì in fiasco.
Durante quegli anni, la gioventù diventa il motore di una rivoluzione dei costumi, delle mentalità, dei rapporti fra gli individui.
1968.
Tutte le forze contestatrici convergono per far vacillare il formidabile potere dell'establishment. Nel Vietnam c'è l'offensiva del Têt. L'armata americano comincia a temere la disfatta, i campus universitari sono occupati, le manifestazioni per la pace si moltiplicano. A Chicago sono i “giorni della collera”: quelli che si oppongono alla guerra si lanciano all'assalto della Convenzione del Partito democratico. Bob Kennedy e Martin Lother King sono assassinati.
Alcune donne, vere e proprie pioniere, bruciano pubblicamente i loro reggiseni e disturbano la solenne cerimonia dell'incoronazione di Miss America...
Il potere è scosso, ma non vacilla. Il popolo americano si emoziona per la rivolta dei giovani, ma non mette in discussione i fondamenti dell'ordine sociale.
Molto presto, l'unanimità artificiale dei contestatori esplode. I neri esigono il black power, e le Pantere nere spingono una minoranza di militanti verso l'autodifesa armata. Una tentazione analoga animerà alcuni gruppi di bianchi, i Weathermen, mentre gli yippies resteranno fedeli alla loro volontà di sedurre attraverso la provocazione, la beffa, l'instancabile appello al godere. Quel che nel Vecchio continente fanno già da qualche anno i “provos” di Amsterdam. Il movimento delle donne si spacca negli anni 70 in tendenze nemiche, il che indebolirà, senza peraltro cancellarle del tutto, le vittorie che aveva saputo conquistare.
E soprattutto, l'America alla fine si libera di quel fardello insopportabile: la guerra del Vietnam. Essa deve accettare l'umiliazione e la sconfitta, ma questo la libera dal corrosivo dubbio che la rode.
La repressione può abbattersi sui contestatori.. Prigioni, assassinii, violenze d'ogni genere. Ma anche recupero, per la gioia e il conforto del sistema. Molti, se non sono stati uccisi, tornano ad istallarsi nel “ventre della bestia” che hanno tanto odiato.

Da Nous l'avons tant aimée la revolution, Editions Bernard Barrault, Parigi, 1986 – Trad. Salvatore Lo Leggio

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