7.9.18

I “sollevati” e gli “esposti”. L'abbandono dei bambini nella Roma imperiale (Paul Veyne)


La nascita di un Romano non è solo un fatto biologico. I neonati non vengono al mondo, o piuttosto non vengono accolti nella società, se non in virtù di una decisione del capofamiglia; la contraccezione, l’aborto, l'esposizione dei bambini nati liberi e l'infanticidio perpetrato nei confronti del bambino di una schiava sono pratiche usuali e perfettamente legali. Saranno guardate di malocchio, e diventeranno poi illegali, solo dopo che si sarà diffusa la nuova morale, chiamata per brevità stoica. A Roma un cittadino non «ha» un figlio: lo «prende», lo «solleva» (tollere); il padre, appena il bambino è nato, esercita la prerogativa di sollevarlo da terra, dove la levatrice lo ha deposto, per prenderlo nelle sue braccia e dimostrare così che lo riconosce e rifiuta di esporlo. La madre ha appena partorito (stando seduta in una speciale poltrona, lungi da qualunque sguardo maschile), oppure è morta durante il travaglio e il bambino è stato estratto dal suo utero mediante incisione: tutto questo non basta a decidere della venuta alla luce di un rampollo.
Il bambino che il padre non ha sollevato sarà esposto davanti alla porta di casa o su uno scarico di rifiuti; lo raccolga chi vuole. Ugualmente sarà esposto se il padre assente ha ordinato di farlo alla moglie incinta; i Greci e i Romani sapevano che era una peculiarità degli Egiziani, dei Germani e degli Ebrei di allevare tutti i loro figli e di non esporne nessuno. In Grecia si esponevano più spesso le femmine che i maschi; nell’anno 1 a. C. un Greco scrive alla moglie: « Se (tocco ferro) avrai un bambino, se è maschio, lascialo vivere, se è femmina, esponila». Ma non è per niente certo che i Romani si siano ispirati alla medesima parzialità. Loro esponevano o annegavano i bambini deformi (non per rabbia, ma per riflessione, dice Seneca: «bisogna separare ciò che è valido da ciò che non può servire a nulla») o anche i figli della figlia che era caduta in «colpa». Ma soprattutto l’abbandono dei figli legittimi aveva come causa principale la miseria degli uni e la politica patrimoniale degli altri.
I poveri abbandonavano i figli che non potevano sostentare; altri «poveri» (nel senso antico del termine, che noi tradurremmo con «classe media») esponevano i loro «per non vederli degenerare a causa di una educazione mediocre che li porrebbe al disotto della dignità e del livello sociale», scrive Plutarco; la classe media, i semplici notabili, preferivano per ambizione familiare concentrare i loro sforzi e le loro risorse su un piccolo numero di rampolli. Nelle provincie orientali i contadini si dividevano amichevolmente i rampolli; una coppia, con quattro figli, aveva già fatto il pieno delle bocche da sfamare; nacquero altri tre maschi: furono dati ad amici che accolsero volentieri questi futuri lavoratori e il considerarono come «figli propri». I giuristi non arrivavano a decidere se bambini così, di cui ci si era fatto carico (threptòi) erano liberi o se erano diventati schiavi di coloro che li allevavano. Ma anche i più ricchi potevano non volerne sapere di un rampollo indesiderato, se la sua nascita veniva a sconvolgere disposizioni testamentarie già decise in rapporto alla spartizione successoria. Una regola di diritto diceva: «La nascita di un figlio (o di una figlia) annulla il testamento» redatto in precedenza, a meno che il padre non si sia rassegnato in precedenza a diseredare il rampollo che eventualmente possa nascergli; forse si preferiva non sentirne parlare più piuttosto che diseredarlo.
Che accadeva ai bambini esposti? Raramente sopravvivevano, scrive lo Pseudo-Quintiliano che introduce una distinzione: i ricchi desideravano che il bambino non ricomparisse più, mentre i poveri, costretti solo dalla povertà, facevano tutto il possibile perché il bambino avesse delle possibilità di essere raccolto. A volte l’esposizione era solo una finta: la madre, all’insaputa del marito, affidava il bambino a vicini o dipendenti che lo tiravano su in segreto, dopodiché diventava schiavo o, eventualmente, schiavo affrancato dei suoi educatori. In questi rarissimi casi il bambino poteva un giorno far riconoscere di essere nato libero; tale fu la storia della moglie dell’imperatore Vespasiano.
Decisione legittima e meditata, l’esposizione poteva assumere il carattere di una manifestazione di principio. Un marito che sospetta d’infedeltà la moglie esporrà il bambino che ritiene adulterino; la figlioletta di una principessa fu così abbandonata alla porta stessa del palazzo imperiale, «completamente nuda». Poteva anche essere una manifestazione politico-religiosa: alla morte di un principe amatissimo, Germanico, la plebe, manifestando contro il governo degli dèi, lapidò i loro templi e certi genitori esposero ostentatamente i figli in segno di protesta; dopo l’assassinio di Agrippina per opera di suo figlio Nerone, uno sconosciuto «espose in pieno foro il suo bambino con un cartello dove aveva scritto: Non ti allevo: ho paura che tu scanni tua madre». Dato che l’esposizione era una decisione privata, cosa impediva che, in determinati casi, potesse diventare pubblica? Un giorno una voce infondata si diffuse tra la plebe: il Senato, apprendendo dagl’indovini che in quell’anno sarebbe nato un re, voleva obbligare il popolo ad abbandonare tutti i bambini che sarebbero nati in quell’anno lì. E come non pensare alla strage degl’innocenti (che, sia detto per inciso, è probabilmente un episodio autentico, non una leggenda)?
La «voce del sangue» a Roma parlava ben poco; ciò che faceva sentire di più la sua voce era il nome di famiglia. Ora, i bastardi prendevano il nome della madre, e la legittimazione o il riconoscimento di paternità non esistevano; dimenticati dal padre, i bastardi non hanno avuto quasi nessuna parte sociale o politica nell'aristocrazia romana. Non così gli schiavi affrancati, spesso ricchi e potenti, che a volte elevavano i loro figli all'ordine dei cavalieri, e anche al Senato: l’oligarchia dirigente si riproduceva attraverso i figli legittimi ed i figli dei suoi antichi schiavi... Perché i liberti prendevano il nome di famiglia del padrone che li aveva liberati dalla schiavitù; ne continuavano il nome. Infine ci si spiega così la frequenza delle adozioni: il bambino adottato prendeva il nome di famiglia del suo nuovo padre.

Da Aa.VV. La vita privata dall'Impero Romano all'anno Mille, Laterza 1986

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