17.9.18

Quando si parlava con gettoni e cabine (Stefano Bartezzaghi)


Morboso desiderio di comunicare, imperiosa necessità di comunicare, neppure una minima possibilità di comunicare. Potrebbe essere preso per un Beckett un po' ammosciato e invece era ordinaria adolescenza italiana, all'epoca delle cabine telefoniche, antecedente persino all'introduzione della tariffa urbana a tempo.
Inimmaginabile, allora, "mobile" come aggettivo per la parola "telefonia". Dire "telefono fisso" sarebbe stato come dire "acqua bagnata" o "fuoco caldo". Fra macchine del tempo e imperi galattici neppure gli scrittori di fantascienza avevano immaginato qualcosa di precisamente assimilabile al telefono cellulare. Ma per chi «c'era» (per esempio durante la Grande Penuria del Gettone Telefonico del '78), già le prime tastiere che sostituivano i dischi per la composizione del numero o i primi telefoni ancora fissi però cordless (con cui era possibile parlare muovendosi nell'appartamento) parvero passi avanti pressoché commoventi, verso l'emancipazione dell'Homo Telephonicus.
Càpita, a volte, di ricordarselo e magari di raccontarlo a qualcuno che invece «non c'era». Sono debolezze, è l'età.
Non comportano alcun rimpianto, però: non si stava meglio, quando si telefonava peggio.

“la Repubblica”, 30 agosto 2018

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