Morboso desiderio di
comunicare, imperiosa necessità di comunicare, neppure una minima
possibilità di comunicare. Potrebbe essere preso per un Beckett un
po' ammosciato e invece era ordinaria adolescenza italiana, all'epoca
delle cabine telefoniche, antecedente persino all'introduzione della
tariffa urbana a tempo.
Inimmaginabile, allora,
"mobile" come aggettivo per la parola "telefonia".
Dire "telefono fisso" sarebbe stato come dire "acqua
bagnata" o "fuoco caldo". Fra macchine del tempo e
imperi galattici neppure gli scrittori di fantascienza avevano
immaginato qualcosa di precisamente assimilabile al telefono
cellulare. Ma per chi «c'era» (per esempio durante la Grande
Penuria del Gettone Telefonico del '78), già le prime tastiere che
sostituivano i dischi per la composizione del numero o i primi
telefoni ancora fissi però cordless (con cui era possibile
parlare muovendosi nell'appartamento) parvero passi avanti pressoché
commoventi, verso l'emancipazione dell'Homo Telephonicus.
Càpita, a volte, di
ricordarselo e magari di raccontarlo a qualcuno che invece «non
c'era». Sono debolezze, è l'età.
Non comportano alcun
rimpianto, però: non si stava meglio, quando si telefonava peggio.
“la Repubblica”, 30
agosto 2018
Nessun commento:
Posta un commento