La polemica lanciata dalla Lega per l'insegnamento dei dialetti nelle scuole sembra esaurita, ma non mancano ricorrenti iniziative che tendono a mettere in discussione l'unità, non solo linguistica, dell'Italia. Sull'argomento è apparso il 10 ottobre su "Tuttolibri", il supplemento de "La stampa", l'intervento appassionato di Gian Luigi Beccaria. Lo postiamo e consigliamo un suo bel libro sulla nostra lingua, Per amore e per difesa.
Episodi da strapaese che denunciano
una involuzione culturale qualche anno fa inimmaginabile.
Non si dimentichi che ci sono voluti secoli per avere una lingua comune
Al Parlamento Europeo, nella seduta in cui si è riconfermato per altri cinque anni Presidente José Manuel Barroso, un deputato del Pdl, Enzo Rivellini, ha pronunciato tra lo sconcerto del presidente di turno, dei colleghi e dei traduttori esterrefatti, la sua dichiarazione di voto in dialetto napoletano, per far capire - ha detto così - i problemi del Sud. Non mancando di ribadire, al solito, che il napoletano è una lingua, ha la sua grammatica, la sua letteratura, non è un semplice dialetto. E ho letto che i comizi leghisti, in un paese lombardo, si terranno anche in milanese, con traduzione simultanea per cura degli insegnanti incaricati dei corsi di cultura e dialetto nelle scuole. Da una parte si stiamo apprestando a celebrare il 150° anno dell'Unità d'Italia, dall'altra permettiamo che si blateri di dialetto da insegnare nelle scuole, di indipendenza di una (inesistente) Padania, addirittura di secessione, dimenticando che ci sono voluti secoli per fare l'Italia, per avere una lingua comune, nota e praticata dalla quasi totalità dei parlanti: cosa che non è di poco conto per un paese in cui, 150 anni fa, una esigua minoranza parlava la lingua nazionale, la stragrande maggioranza conosceva soltanto il proprio dialetto, e se un siciliano e un piemontese non colti si incontravano, non avevano una lingua comune con cui parlarsi. Arriviamo molto tardi a un'unità, ma la lingua italiana ha comunque fatto da collante, nella nostra lingua e nei nostri grandi classici ci siamo identificati. Ed ora, questi episodi da strapaese, che denunciano una involuzione culturale inimmaginabile qualche anno fa! Ricordate il gran discutere che si è fatto a Montecitorio su un dato di fatto del tutto ovvio, quando ancora c'era l'Ulivo, e propose (An era del tutto d'accordo) di inserire nell'art. 12 della Costituzione la frase che diceva: «l'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica».Lega e Rifondazione per ragioni completamente diverse si trovarono subito d'accordo nel non volere l'aggiunta: la Lega temeva che i dialetti e le minoranze venissero schiacciate, Rifondazione che si finisse col rendere obbligatoria la conoscenza della nostra lingua all'extracomunitario che richieda la cittadinanza. La Lega temeva che l'obbligatorietà dell'italiano potesse risolversi nella rivincita del solito centralismo di «Roma padrona», e ci si dimenticasse che invece occorreva innanzitutto valorizzati idiomi locali e minoranze. Ora la Lega propone sciocchezze, vuole che si insegnino i dialetti a scuola, e che gli insegnanti stessi conoscano il dialetto della Regione in cui insegnano. Non sanno che i dialetti si parlano, non si insegnano. Né si scrivono, a meno di essere poeti. Un dialetto è un sistema linguistico che soddisfa egregiamente, delle nostre esigenze espressive, soltanto alcuni aspetti (l'usuale, il pratico, l'affettivo, il familiare), ma non altri (il tecnico, il filosofico, lo scientifico). «In dialetto - diceva il grande poeta dialettale Raffaello Baldini - si può parlare con Dio, non si può parlare di Dio». Non credo che in dialetto si stampino studi o si facciano dibattiti di teologia. Quando un dialettofono scrive, scrive in italiano.Ogni tanto però c'è qualche dialetto che si sente poco valorizzato, oppresso, negato, e vuole diventare «lingua», e vuole essere insegnato a scuola. È l'italiano che serve al piemontese e al calabrese per l'allargamento della propria cultura e per un'apertura sociale. In italiano sono scritti libri e giornali, alla radio e in Tv si parla in italiano. Mentre in dialetto si scrivono e sono state scritte poesie di straordinaria bellezza (da Pasolini a Giacomini). Le nuove generazioni finiranno col parlare correntemente italiese e dialetto? E la nostra lingua, la più ricca tra le romanze, nata per prima, e già gigante, già tutta armata, come Atena dalla testa di Giove, per dirla con Alfieri? Ci vorrebbe la sua furia per rispondere a Bossi e compagni. Ma forse loro non capirebbero più quel suo meraviglioso italiano, imparato a fatica, dopo tanto penare!
Nessun commento:
Posta un commento