Nel 1882 Longanesi pubblicò, con l'introduzione e la cura di Guido Artom, e con il titolo I piemontesi a Roma (1867-1870) il libello di un nobile clericale francese, Henri-Amédée La Lorgne, conte di Ideville. L'uomo era stato diplomatico a Torino nei primi anni sessanta e all'ambasciata di Roma dalla morte di Cavour alla crisi di Mentana. La storia che racconta riguarda invece soprattutto il triennio successivo, che si conclude con la breccia di Porta Pia. Il libro è costruito sulla base di rapporti che l'autore, a quel tempo trasferito in Sassonia, dichiara di aver ricevuto sistematicamente da un suo non meglio noto corrispondente romano. Il punto di vista dell'autore, d'altra parte, sembra coincidere con quello del suo informatore, fino a fare di costui una sorta di alter ego del diplomatico francese.
L'atteggiamento prevalente nel libro è identico a quello dei reazionari di altre epoche ed altri paesi, perfino nel linguaggio. I liberali sono "liberaloidi", gl'intellettuali sono "intellettualoidi", la sinistra è "corrotta, ipocrita, voltagabbana, assetata di potere". Naturalmente l'autore come il suo corrispondente dicono malissimo dei governi italiani, di Garibaldi e dei garibaldini. Ma i peggiori tra tutti sono i politici napoletani: "Non c'è differenza tra destra e sinistra, l'unico scopo è rubare". Subito dopo la fine dello Stato Pontificio l'informatore a Roma arriva a scrivere: "Vendete i vostri titoli italiani, appena sentirete di un capo del governo napoletano".
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