Mettetevi in fila. Grande ressa (metaforica s’intende) agli sportelli dell’Irs, l’Internal Revenue Service dell’amministrazione Usa. 14.700 contribuenti hanno chiesto di aderire allo “scudo fiscale”: le virgolette sono d’obbligo, visto che da noi lo stesso nome indica una cosa completamente diversa. Ma restiamo per un attimo negli Stati Uniti. Da quelle parti, mentre la Svizzera e la sua Ubs rendono noti i criteri con i quali saranno comunicati al fisco Usa i nomi dei clienti in sospetto di evasione, dando seguito all’accordo firmato tra i due Stati lo scorso 19 agosto, i contribuenti fraudolenti hanno qualcosa da temere: se e quando arrivano le liste, saranno chiamati a pagare caro e pagare tutto (e di più). Anche se, a giudizio degli osservatori più attenti e sgamati su questioni di paradisi fiscali, il famoso accordo e soprattutto i suoi farraginosi strumenti attuativi non cancellano affatto l’esistenza del paradiso fiscale svizzero per il futuro (si vedano i commenti sul Tax Justice Network), sta di fatto che nell’immediato il timore di trovarsi il nome nella lista – e subito dopo su internet – deve essere reale. Tant’è che lo “scudo fiscale” made in Usa sta avendo un grosso successo, anche se offre molto meno di quel che offre l’amnistia italiana: le 14.700 adesioni arrivate finora, ha detto i commissario dell’Irs Doug Shulman, sono il doppio del previsto e non sono neanche lontanamente paragonabili alle 100 autodenunce all’anno che arrivano in tempi normali. Aderendo allo “scudo”, i contribuenti americani infedeli riescono a evitare il processo penale – la denuncia per crimini fiscali – e a ridurre le sanzioni sulla somma evasa. Ma devono pagare fino all’ultimo cent le imposte dovute per gli anni in cui hanno nascosto i loro soldi in Svizzera (o altrove).
Da noi, com’è noto, l’offerta è molto più allettante. All’abolizione delle sanzioni tributarie e all’amnistia per crimini fiscali si aggiunge un pacchetto ben più consistente di condoni, con una lista di reati considerevole, e con corrispondente annacquamento degli strumenti anti-riciclaggio. E soprattutto c’è un super-super sconto sulle imposte pregresse: negli Usa si pagano tutte, qui si paga solo il 5%. Ma con tutta evidenza non basta, o almeno il governo italiano pensa che l’offerta non sia sufficiente a garantire l’arrivo in massa della clientela, che allora viene indotta a “comprare” lo scudo anche con mezzi più minacciosi: il grande movimento di finanzieri dalle parti svizzere (mossa poco diplomatica e molto telegenica), la spedizione di decine di migliaia di lettere a tutti coloro che risultano aver movimentato somme verso l’estero. Lettere che non costituiscono l’inizio di un procedimento tributario, che formalmente non valgono nulla, ma che suonano più o meno così: sappiamo che ci siete, che avete spostato un po’ di soldi, potremmo farvi un accertamento, perché non pagate il 5% e non se ne parla più? A prescindere dallo stile – li chiamano avvisi bonari, ma tecnicamente funzionano come la raccolta del pizzo -, c’è da chiedersi perché ci sia bisogno di usare anche il bastone quando la carota è così dolce e appetitosa. Forse perché il meccanismo dei condoni è auto-distruttivo (si spera sempre che tra un po’ ce ne sarà uno migliore). O perché servono tanti ma tanti soldi, e si spera di fare il colpaccio.
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