La Pietà di Sebastiano del Piombo, Museo Civico, Viterbo |
Nella chiesa
dell'Immacolata di Sutri, provincia di Viterbo, lavorarono per due
ore e mezza. A mani nude smurarono «le grappe della cornice di ferro
che tiene a posto il cristallo di protezione del dipinto», un Cristo
in casa di Marta e Maria del cinquecentesco Jacopo Zucchi. A poca
distanza piovevano grappoli di bombe. Era così che Emilio Lavagnino,
durante l'occupazione tedesca di Roma, agli sgoccioli della seconda
guerra mondiale, metteva in salvo quadri e altri oggetti d'arte.
Un'opera avventurosa e piena di fascino, che fu decisiva per la
tutela di un patrimonio minacciato e che rivive in un volume curato
da Raffaella Morselli per conto della Fondazione Bellonci. Il volume
- che raccoglie scritti di Andrea Emiliani, Paola Nicita, Belinda
Granata e Simona Rinaldi, con la prefazione di Tullio De Mauro -
s´intitola Fuori dalla guerra (Mondadori, pagg. 279) e
ricostruisce le peregrinazioni di Lavagnino fra chiese e palazzi
laziali alla frenetica ricerca di opere da nascondere in Vaticano,
dove sarebbero state al sicuro. Ma soprattutto propone una schedatura
di tutto ciò che fu salvato da Lavagnino, costruendo un'ideale
galleria di capolavori che altrimenti sarebbero finiti in polvere
oppure depredati dai tedeschi. Una specie di catalogo di
sopravvissuti. E infine riproduce il diario tenuto dallo stesso
Lavagnino e la relazione che questi stilò, dopo la liberazione di
Roma, al Soprintendente.
Lavagnino era uno storico
dell´arte, funzionario del ministero dell'Educazione nazionale. A
lui nel 2006 ha dedicato un romanzo sua figlia, Alessandra Lavagnino
(Un inverno 1943-1944, Sellerio). Fra febbraio e maggio del
1944, a bordo di una scalcinata Topolino, con le ruote procurate da
Palma Bucarelli, la leggendaria direttrice della Galleria nazionale
d'Arte moderna, e per il resto a sue spese, compresa la benzina
raccattata al mercato nero, Lavagnino prese a battere le strade
dell'alto Lazio, schivando mitragliatrici e bombe, e seguendo un
itinerario fra le chiese che sapeva contenevano quadri preziosi.
Cominciò con due opere
di Sebastiano del Piombo, la Pietà e la Flagellazione custodite nel
Museo civico di Viterbo, seguite nella stessa città da altri quadri.
È lui che racconta: «Il Girolamo da Cremona e l'Antoniazzo della
Cattedrale, il polittico del Balletta di S. Giovanni in Zoccoli e la
grande tavola di Lorenzo di Bicci di San Sisto». In una prima fase
era accompagnato da colleghi, da un autista e anche da un ufficiale
tedesco, Peter Scheibert, che poi sarebbe diventato professore di
storia all'università. Ma da un certo momento in poi fece tutto
quasi da solo. Dopo Viterbo eccolo a Sutri, quindi a Vetralla,
Montefiascone, Bagnoregio, Orvieto, Acquapendente, Bolsena. E poi
Caprarola e Ronciglione, Trevignano e Bracciano. Il suo "bottino"
fu ricchissimo: quei quadri erano pregiati in sé, ma rappresentavano
soprattutto l'esperienza artistica di un territorio minore, erano i
simboli di un paesaggio culturale che andava sottratto alla
distruzione e alla rapina e consegnato a una memoria viva. Un esempio
di tutela a qualunque costo.
“la Repubblica”, 28
marzo 2011
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