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Basta paragonare la sua
condotta e quella di Achille, il più valoroso degli achei: il suo
equivalente nel campo nemico. Prendiamo l’episodio, celeberrimo,
dello scontro finale tra i due: prima di affrontarlo, Ettore propone
ad Achille un patto: “Se con l’aiuto di Zeus ti ucciderò, non
sconcerò il tuo corpo. Dopo averti strappato le armi lo restituirò
agli achei: fai anche tu così”. E Achille, in risposta, guardando
bieco: “Ettore maledetto, non parlarmi di patti”. Una risposta
che preannuncia quel che intende fare del cadavere del nemico, se
vincerà. Colpito a morte, Ettore lo implora: “Non lasciare che i
cani degli achei sbranino il mio cadavere, accetta il riscatto che
mio padre Priamo ti offrirà, rendi il mio corpo alla patria”. E
Achille: “Cane, non mi pregare, la rabbia e il furore dovrebbero
spingermi a tagliuzzare le tue carni e a divorarle così, per quel
che hai fatto”. Non manca di buone ragioni Christa Wolf nel
chiamare “Achille la bestia” l’uomo che, tra l’altro, durante
i funerali dell’amato Patroclo sgozza e getta sul suo rogo dodici
prigionieri troiani. Quanto diverso da lui, l’eroe nemico: il solo,
tra i troiani (oltre al vecchio Priamo), che rispetta Elena, la causa
della guerra: “Mai ho udito da te parole di spregio. E se altri mi
rimproveravano tu mi difendevi, parlando, calmandoli con la dolcezza,
con le tue dolci parole”.
Così Elena piange la
morte del cognato.
Da Non sei più mio
padre. Il conflitto tra genitori e figli nel mondo antico,
Feltrinelli 2015
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