Gerusalemme. La cupola della moschea di Umar in sezione. Incisione (1864) |
Del resto, come qualunque
luogo della terra - e soprattutto i più desiderati -, Gerusalemme
poteva esser visitata anche con gli occhi della fantasia e del
desiderio. Il «pellegrinaggio spirituale», il «pellegrinaggio
dell’anima», l’avevano fatto in tanti. Dal profeta Muhammad a
santa Bona da Pisa sino a Francesco d’Assisi che nel 1219 era
arrivato ad Acri, per poi avviarsi al campo crociato sul delta del
Nilo, ma che ai Luoghi Santi - il pellegrinaggio ai quali il papa
interdiceva in tempi appunto di crociata - non aveva potuto accedere:
e li avrebbe ricostruiti più tardi celebrando a Greccio la Natività
di Gesù e, alla Verna, il suo stesso Calvario. Ma non sapremo mai
quanti diari di pellegrinaggio, che noi di solito prendiamo per
autentici pur rilevandone le somiglianze e magari i plagi rispetto ad
altri testi, sono in realtà dei centoni composti da viaggiatori
intorno a uno scrittoio.
Difatti nemmeno Alexandre
Dumas, che pure aveva molto viaggiato, fu mai a Gerusalemme. La sua
ansia, il suo desiderio teso «verso l’Oriente splendido e non
verso l’Occidente brumoso», in ciò non fu appagata. Eppure, egli
ci ha descritto - come avrebbe fatto più tardi Michail Bulgakov -
una «sua» Gerusalemme, quella dei tempi di Gesù, nel suo romanzo
incompiuto del 1853, che venne bloccato sul nascere dalla censura
imperiale. L’Isaac Laquedem, ou le roman du Juif errant era
la riproposizione dell’antica leggenda dell’Ebreo errante: un
romanzo che si apriva proprio con un allucinato eppure a suo modo
lucidissimo racconto-descrizione dell’origine, della fondazione e
delle vicende della Gerusalemme biblica ed evangelica, fino ai tempi
della Passione di Gesù. Era la convinzione dell’aver toccato il
centro profondo del tempo, del mondo e della storia, a dettare quelle
pagine dove non c’è una riga di originale e dove tutto sembra
geniale: “Ci sono nomi di città o nomi d’uomo che, pronunziati
in qualunque lingua, svegliano immediatamente un pensiero così
grande, un ricordo così innamorato da far sì che chiunque oda
pronunziare quel nome, come cedendo a una potenza sovrannaturale e
invincibile, si senta piegar le ginocchia”.
Gerusalemme è uno di
questi nomi santi per tutte le lingue umane: il nome di Gerusalemme è
balbettato dai fanciulli, invocato dai vecchi, citato dagli storici,
cantato dai poeti, adorato da tutti.
Da Gerusalemme. Una
storia, Il Mulino 2012
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