Ho trovato prima delle
elezioni nella rassegna “Sinistra in rete” questa analisi, che –
seppure non convincente in ogni aspetto – mi è sembrata utile e
interessante. Mi pare che elezioni e post-elezioni non abbiano
modificato il quadro. (S.L.L.)
La straordinaria e
ininterrotta sequela di abbagli, errori, madornali gaffe, pastrocchi
politici, sbandamenti ora a destra ora a destra, incapacità di
governo, incapacità d’opposizione, che vede protagonista il M5S, è
qualcosa di raro visto in politica. Per di più, il fuoco di
sbarramento a media unificati – da Repubblica al Manifesto, dal
Fatto al Corriere – contribuisce a raccontare il M5S come male
principale della politica italiana. Giornalisti pagati unicamente per
svelarne la natura corrotta e para-nazista trovano alloggio presso
ogni testata, ogni televisione, per non dire delle case editrici,
blog, settimanali. La maggior parte di queste critiche sono
suffragate da fatti incontrovertibili. L’incapacità del M5S di
essere forza politica credibile è un dato di fatto. Eppure, da più
di cinque anni rimane saldamento il primo partito italiano. Anche
fosse il secondo, o il terzo, il discorso non cambierebbe. La Lega o
il Pd, Forza Italia o Rifondazione: tutti i soggetti politici hanno
pagato elettoralmente il prezzo della propria incoerenza e
incapacità, nel presente o in passato. Tutti tranne il M5S. Chi da
anni si accanisce contro il partito di Grillo, svelando non si sa più
a chi la sua natura reazionaria, ancora oggi non riesce a spiegare i
motivi di questa tenuta elettorale, che è anche una tenuta politica,
se non dando la colpa all’elettorato.
Tutti, compreso noi,
credevamo in una sua rapida rovina elettorale passata la fase
movimentista e dirompente. La realtà ci ha clamorosamente smentito,
almeno fino ad oggi. Perché? La comodità intellettuale di
raccontare le tare politiche del M5S è tale che consente a tutti
(proprio a tutti) di scrivere su qualche giornale, presentandosi
peraltro come chissà quali indagatori della realtà. “Ecco svelata
la natura contraddittoria del movimento”, ci raccontano ogni giorno
i nuovi Montanelli, senza rendersi conto del ridicolo che li avvolge.
La fase in cui il partito di Grillo poteva essere scambiato per un
soggetto “di sinistra”, anzi, di “sinistra radicale”, è
finita più o meno nel 2013. Fino a quell’anno è stato necessario
svelarne il trucco, le sue contraddizioni, la natura apparentemente
destabilizzante e concretamente pacificante e regressiva. Fino al
2013 è stato giusto concentrare l’attenzione sul M5S come soggetto
politico, proprio per la sua carica ambivalente, quindi poco
comprensibile. Dopo no. Dopo, e progressivamente scivolando
nell’evidenza dei fatti, la natura soggettiva del M5S è divenuta
chiara anche agli analfabeti funzionali. Da quel momento la domanda
chiave, e i conseguenti approfondimenti del caso, avrebbero dovuto
riguardare il M5S come oggetto della politica: perché un soggetto
così platealmente contraddittorio e così smaccatamente regressivo
continua a essere percepito da milioni di italiani come nuovo,
sconvolgente, diverso, forse rivoluzionario, sicuramente
anti-establishment, anti-casta, anti-palazzo? Questa è la domanda
che il suddetto mondo giornalistico, unificato e unidirezionale, non
riesce ancora a farsi, figuriamoci a rispondere.
Alcuni dati, in questi
anni, si sono accumulati e permettono una parziale (parzialissima)
risposta. Anzitutto: il M5S non trova la sua forza elettorale nel
vasto bacino dell’astensione, ma in quello dell’elettorato
ostinato, che ancora oggi – ormai minoranza – decide comunque di
votare ma indisponibile a votare “per i soliti partiti”. Quel che
dovremmo chiederci non è tanto se questo elettorato sia “più di
destra” o “più di sinistra”, dove dirigerebbe i propri voti in
assenza del partito grillino e in presenza di soggetti politici più
credibili o meno compromessi con esperienze di governo. Il fatto
interessante è capire quali soggetti di classe votano il M5S. In
quanto forza populista, il bacino elettorale del M5S è per forza di
cose composto da soggetti sociali differenti, a volte opposti. C’è
però un dato che sembra chiaro: non vota per il M5S la media-grande
borghesia, istruita e globalizzata. Il M5S è, ancora oggi, l’unico
soggetto politico apertamente contrario agli interessi di quel pezzo,
ristretto ma economicamente egemone, di borghesia. Questo il motivo
per cui c’è ancora oggi una inscalfibile diffidenza politica verso
il M5S. Di Maio può dichiarare ogni giorno di amare l’Unione
europea, può andare a Cernobbio e inginocchiarsi di fronte al
banchiere di turno, volare a Washington e deprivarsi di fronte
all’ultimo dei portaborse Usa, e non cambierebbe di una virgola di
questa diffidenza. Il M5S al governo è lo spettro della borghesia
europeista, che spera in un governo di grande coalizione proprio per
evitare al M5S di guidare il paese in solitudine.
Il decennio di crisi
economica, sommato al rafforzamento del progetto euro-liberista,
hanno provocato un fatto sociologico di notevole portata: pezzi di
proletariato e di piccola borghesia hanno cominciato a percepirsi
uniti in una serie di rivendicazioni sociali, volte tutte ad arginare
l’inarrestabile processo di impoverimento economico prodotto, per
l’appunto, da crisi ed europeismo. Questo fatto non è solo
percepito, ma ha in sé parti di verità. Il rafforzamento
dell’Unione europea non si è rivelato solamente uno straordinario
strumento di controllo e repressione delle lotte di classe. Ha anche
falcidiato economicamente il mondo della piccola borghesia fatto di
partite iva e imprese rivolte al mercato interno, poco
internazionalizzato, visceralmente anti-statale, evasore. Attorno
alla confusa, ambigua e per certi versi narcotizzante tematica del
“recupero di sovranità”, si sono andati agglutinando interessi
socio-politici un tempo divisi e diversi, oggi invece sempre più
sfumati nella loro diversità. È un fatto questo che riguarda la
percezione di sé e della propria condizione, non la realtà
materiale dei fatti ma, bisogna riconoscerlo, poggia su alcuni dati
di fatto che abbiamo poc’anzi ricordato. L’impoverimento, per
farla, breve, è stato in questo senso trasversale: pezzi di
borghesia sono usciti dalla crisi con le ossa rotte tanto quanto il
mondo del lavoro salariato nel suo insieme. Questa è la dinamica che
ha portato tali soggetti diversi a esprimere una loro preferenza per
il famigerato “populismo”, incarnato nella sua forma più
coerente dal M5S (la Lega nord, pure populista, ha una sua
connaturata differenza: è chiaramente percepita come soggetto di
destra, al contrario del M5S, che volentieri mantiene una sua
ambiguità in proposito).
Questo il motivo
dell’ambiguità e contraddittorietà strutturale del M5S: la sua
forza elettorale è, ancora oggi, il risultato di spinte contrastanti
ma socialmente presenti e possenti nella società italiana. Spinte
diverse e contrastanti, che in questi anni hanno trovato un punto di
compromesso nella rivendicazione di “maggiore sovranità”, una
maggiore sovranità che ovviamente è stata espressa in vario modo,
non sempre esplicito o cosciente, ma tant’è: esiste, e bisogna
farci i conti non solo come fatto regressivo, ma anche come fatto
progressivo.
L’incapacità assoluta
di fare i conti con la sovranità come fatto progressivo, come fatto
popolare, è uno dei motivi per cui la sinistra è scomparsa dallo
scenario politico in questo decennio e, al contrario, mantiene la
forza del populismo Cinque stelle elettoralmente intatta, anzi
addirittura crescente. C’è uno straordinario vuoto di proposta
nella politica italiana, un vuoto che altrove, ad esempio in Francia
o in Inghilterra e, sotto altre forme, in Spagna e prima ancora in
Grecia, è stato temporaneamente e parzialmente colmato. Finché
rimarrà tale, questo vuoto spiegherà la forza elettorale del M5S,
così come della Lega nord, e insieme a ciò spiegherà anche la
nullità politica della sinistra. Il vuoto politico non è però un
vuoto elettorale, ed è il motivo per cui non basta semplicemente
dirsi anti-europeisti, comunisti, rivoluzionari, socialdemocratici,
eccetera, per ricavarne dei dignitosi risultati alle elezioni. Perché
le elezioni registrano la realtà, non innescano processi di alcun
tipo. Sono un termometro, come diciamo spesso, e non un termostato.
Prendono atto di ciò che esiste, non concorrono a far nascere
qualcosa che non c’è.
Tutto questo non conclude
le spiegazioni della forza elettorale del M5S né della scomparsa
delle sinistre. Ma sono dati di realtà che andrebbero tenuti in
considerazione. A quel pezzo di società che, ancora oggi, nonostante
i mostruosi livelli d’inconcludenza, vota M5S, non interessa
l’incoerenza, le gaffe e gli errori di quel partito. Quella società
crede – a torto, inutile ripeterlo – che il M5S, per la sua forza
elettorale, le sue disponibilità economiche, la sua presenza
mediatica, possa essere sabbia negli ingranaggi di quella grande
borghesia vista come principale artefice delle proprie disgrazie
economiche. Non importa di che colore sia il gatto, avrebbe detto
Mao, l’importante è che prenda il topo. Questo fatto è
visceralmente percepito molto più dalla popolazione che dalle sue
presunte avanguardie politiche. Questo il motivo per cui il partito
grillino cresce elettoralmente nonostante la campagna d’odio
portata avanti da destra a “sinistra”, in politica e sui media. È
proprio per quello che cresce! Per l’incapacità di leggere nel
populismo un fatto oggettivo, e non (solo) una scelta soggettiva. È
lì che andrebbero concentrati gli sforzi interpretativi. Ma questo
significherebbe mettere in discussione decenni di stantii schematismi
ideologici, primo fra i quali la malcelata soddisfazione per una
globalizzazione in grado di disarticolare le funzioni dello Stato
nazionale. Sarà ripensando noi stessi che contribuiremo alla
soluzione del dilemma populista, non guardando altrove. Fino ad
allora, la forza elettorale del M5S reggerà all’ennesima
figuraccia di qualche suo esponente. Crescita economica permettendo.
Sinistra in rete 14
gennaio 2018
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