La contessa Annina Morosini intorno al 1950 |
Le donne sono spesso
molto più utili come informatrici: infatti amano il racconto. Altre,
però sono soltanto dispettose. Di una signora dell’alta società,
protettrice di giovani attori e vecchi pittori, e della quale era
stato noto, cinquantanni prima, il legame con una testa coronata, non
riuscii a saper nulla circa questo suo flirt regale. Da una sua amica
fui informata invece con una certa ostinazione su un altro trascorso
romantico della capricciosa signora. « Dolly era piuttosto egoista,
vuole un esempio? Una volta che era in vacanza insieme con un suo
amico, ammiraglio mi pare, fu invitata a un ballo in una delle ville
vicine. Volle andarci con tutti gli altri suoi ospiti, benché
l’amico fosse a letto con un grave ascesso alla gola. Per un caso
misterioso, anche la servitù era assente in quella notte, e il
povero ammiraglio senza soccorsi poco dopo mezzanotte morì
soffocato. Allora », concluse calma l’informatrice, «ricordo che
Dolly fu assai criticata». (Storia inedita, ma difficile da
raccontare sui giornali.)
Quando morì la contessa
Morosini, che avevo visto soltanto una volta e da lontano, andai a
trovare due dame sue amiche. Erano due signore estremamente à la
page, che avevano una conversazione deliziosa. Prima di entrare
in argomento, una di essa infatti stava spiegando all’altra come
doveva essere una rosa in quell’anno 1954 (“ovoide, con almeno
trentacinque petali, cuore turbinato, foglie non troppo lucide né
troppo opache”). L’altra invece cominciò col raccontarmi com’era
amante della cucina la duchessa di Windsor e la sua definizione dei
soufflés: «Les soufflés font la poésie d’un repas».
Infine venimmo a parlare della contessa Annina, ed ecco un esempio
fortunato di intervista a terzi. «Era un misto piccante di grandeur
e di accattonaggio », attaccò la prima signora e l’altra spiegò
: «Riceveva come nessuno, ma era avara come un pidocchio». «Bella?»
chiesi. «Incantevole. Viso stupendo, mani e piedi orridi.» «Colta?»
ripresi. «Molto intelligente ma d’un’ignoranza immonda». E
avanti con questa conversazione in bianco e nero, dalla quale però
usciva ben chiaro un carattere. «Faceva fondere i regali d’argento
che riceveva, esigeva dagli amici tacchini, polli, champagne e
tartufi per le sue parties, regalava quattro fiori secchi a una
sposa, ma era capace di mandare all’aria alla vigilia un
ricevimento di duecento persone solo perché un amico stava male.
Capito il genere?» Capito benissimo, e dopo mezz’ora di dialoghi
di questo tipo, era bell’e fatto l’articolo sulla Morosini.
da Noi siamo le signore, Longanesi, 1958
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