mi chiedi di riassumerti
per scritto, e per tua comodità, i criteri che presiederanno alla
mia realizzazione del Vangelo Secondo San Matteo.
Dal punto di vista
religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio
laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati
ingenuamente ontologici: l'umanità di Cristo è spinta da una tale
forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di
verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna
contraddizione, che per essa la metafora «divina» è al limite
della metaforicità, fino a essere idealmente una realtà. Inoltre:
per me la bellezza è sempre una «bellezza morale»: ma questa
bellezza giunge sempre a noi mediata: attraverso la poesia, o la
filosofia, o la pratica: il solo caso di «bellezza morale» non
mediata, ma immediata, allo stato puro, io l'ho sperimentato nel
Vangelo.
Quanto al mio rapporto
«artistico» col Vangelo, esso è abbastanza curioso: tu forse sai
che, come scrittore nato idealmente dalla Resistenza, come marxista
ecc. per tutti gli anni cinquanta il mio lavoro ideologico è stato
verso la razionalità, in polemica coll'irrazionalismo della
letteratura decadente (su cui mi ero formato e che tanto amavo).
L'idea di fare un film sul Vangelo, e la sua intuizione tecnica, è
invece, devo confessarlo, frutto di una furiosa ondata
irrazionalistica. Voglio fare pura opera di poesia, rischiando magari
i pericoli dell'esteticità (Bach e in parte Mozart, come commento
musicale; Piero della Francesca e in parte Duccio per l'ispirazione
figurativa; la realtà, in fondo preistorica ed esotica del mondo
arabo, come fondo e ambiente). Tutto questo rimette pericolosamente
in ballo tutta la mia carriera di scrittore, lo so. Ma sarebbe bella
che, amando così svisceratamente il Cristo di Matteo, temessi poi di
rimettere in ballo qualcosa.
Tuo
Pier Paolo Pasolini
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