Uno dei Racconti dell’Ohio di Anderson, Pallottoline di carta, narra di un maestro di scuola, brutalmente cacciato da una comunità di provincia, dopo aver rischiato il linciaggio. A creare il mostro sono bastate le carezze ai bambini, i loro confusi resoconti, l’antipatia che i tic del maestro provocano. Ce ne siamo rammentati ai primi d’agosto, alla notizia delle indagini su Gelmini, nonostante l’istintiva repulsione per codesto prete. Ma don Pierino subito dopo ha provveduto a “mostrificarsi” da solo, con le prime dichiarazioni, che vedevano i magistrati ternani implicati in un complotto “ebraico radical chic” teso a “distruggere la Chiesa”, una specie di Protocollo dei saggi di Sion. Le ossessioni e il linguaggio dei nazifascisti. Immediatamente il prestigioso Coppi ha rimesso il mandato di difensore, giudicando Gelmini “ingestibile”.
Nella Comunità di Amelia lo volevano santo subito e lo psichiatra Meluzzi, nel ruolo di portavoce, dichiarava : “Nella vita dei santi ci sono stati momenti simili. Dal punto di vista ecclesiale, don Pierino sta soffrendo quello che deve soffrire. Soffre le sue piaghe insieme a Cristo”. La destra politica, come da copione, “è insorta”, con in prima fila Gasparri e Volontè, mentre Berlusconi prometteva milioni e Cossiga in difesa del prete si proclamava “pronto a dire di tutto”. Come sempre, del resto.
Nei giorni successivi il giornalismo più coraggioso ha raccontato una Gelmini’s story diversa da quella degli agiografi. Lombardo, ma ordinato prete a Grosseto nel 1949, don Pierino ha un fratello famoso, il celebre padre Eligio conosciuto negli anni sessanta come prete dei vip, frequentatore di feste e festini, fondatore di una tra le prime comunità per drogati, la “Mondo X”, e del Telefono amico. A quel tempo don Pierino faceva da segretario al cardinale Copello, già arcivescovo di Buenos Aires, passato alla Curia vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa. E’ di quegli anni la prima disavventura giudiziaria: una condanna a tre mesi per assegni a vuoto. Nel 1969 acquista una grande villa a Casal Palocco, zona “in” dell’agro romano. I carabinieri lo arrestano lì il 13 novembre 1969 e trovano in giardino la Jaguar di cui è proprietario. Accusato di truffa per il fallimento di una cooperativa edilizia affiliata alle Acli, di cui è tesoriere, viene coinvolto anche nell’inchiesta sulla ditta di import-export tra Italia e Argentina, che lui stesso ha costituito, sfruttando le conoscenze maturate al servizio del cardinale Copello. Ripara nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con la vedova di Diem, il sanguinario dittatore assassinato nel 1963, e con un fratello di costui, arcivescovo. Quando il prelato e la signora lo accuseranno di appropriazione indebita, preferirà tornare in Italia e scontare in carcere la condanna irrogatagli in contumacia.
Sul finire degli anni settanta fonda ad Amelia la prima comunità di recupero. La sede è un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, assegnatogli in comodato per 40 anni. Nel 1988 Luciano Lama, come sindaco di Amelia, segnala alla procura come i piccoli casali abbandonati che Gelmini andava acquisendo aumentassero consistentemente di volume senza le necessarie autorizzazioni. Alla fine, secondo il racconto di Marco Lillo su “L’Espresso”, tutto fu sanato grazie ai socialisti della giunta. Le proprietà della Comunità Incontro nella provincia di Terni arrivano così a una ventina di ettari tra uliveti, vigneti, pascoli e boschi, oltre a diversi fabbricati a Porchiano e lungo la strada per Orvieto. Da lì “l’impero” si estende in tutta la penisola: dichiara 162 comunità con 12 mila giovani, anche se forse la cifra è esagerata (secondo i dati del governo ci solo 11 mila utenti residenziali in tutte le 730 comunità funzionanti in Italia).
Il metodo di Gelmini, la «Cristoterapia », propone la fede come unica via di uscita dalla droga e in taluni suscita entusiasmo, ma già nel 2003 la giornalista Stefania Cardini, dopo un periodo passato a Mulino Silla, racconta di culto della personalità, di body guard armati, di disparità nel trattamento degli ospiti. Nel 2004 un romanzo di Marco Salvia, Mara come me, rappresenta la vita all’interno di una comunità, una sorta di un lager gestito da un prete fanatico e da responsabili violenti. “il manifesto” del 23 gennaio 2005 pubblica una lettera con cui l’autore rivela che dietro la figura di don Luigi, capo della comunità, si cela Gelmini.
Costui intanto sponsorizza le campagne proibizionistiche della destra: si oppone alla riduzione del danno, contrasta l’uso del metadone (“uno spaccio statale”), si infastidisce per gli approcci di tipo scientifico (“I giovani non hanno bisogno di tuttologhi, ma di valori”). In occasione della megafesta per i suoi 80 anni, nel 2005, Berlusconi dichiara di volergli regalare 10 miliardi delle vecchie lire. Alla kermesse sono presenti i ministri Gasparri, Buttiglione e Lunari, con una sequela di sottosegretari. Gelmini contraccambia con la sistematica presenza a manifestazioni politiche ed elettorali della destra. Quelli di An amano soprattutto il suo spirito di avventura: nella ideologia del loro vecchio partito, il Msi erede di Salò, era essenziale il fascino della “bella vita” e della “bella morte”. Così i virgulti anisti di Azione Giovani, il 16 settembre, nella loro festa nazionale, consegnano a Gelmini lo speciale premio intitolato ad Atreju (l’eroe de La storia infinita che combatte il vuoto nel mondo di Fantàsia). La loro rivista on line “La testata” descrive così l’evento: “Il pomeriggio arriva don Gelmini; le polemiche e le denunce cadute su questo prete di trincea non influiscono sull’affetto che i giovani di An nutrono nei suoi confronti, entra Don Gelmini e viene travolto dall’affetto di questi tanti ragazzi Gelmini non trova altrettanta benevolenza nel grosso della gerarchia ecclesiastica. A partire dal 1963, quando comincia a farsi chiamare Monsignore senza esserlo, il Vaticano lo diffida più volte dall’utilizzare il titolo, per qualche tempo lo sospende a divinis. Nel 1988 Gelmini, pur essendo di rito latino, aderisce ad una Chiesa cattolica di rito orientale, quella melkita, e si fa insignire della dignità di Esarca Mitrato di quella chiesa. Il titolo (messo in evidenza nella biografia ufficiale con altri strani riconoscimenti come “maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione Garibaldina”) permetterebbe a don Pierino l’uso di anello, mitra, croce e pastorale solo quando celebra la messa con il rito greco, ma il prete non sa rinunciare a tali sontuosi paramenti neanche quando dice messa con il rito romano.
Questa disaffezione alle regole era tollerata durante il papato di Wojtyla, che simpatizzava per i personaggi carismatici, seppure un po’ bizzarri (durante il Giubileo accolse a San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunità Incontro), ma ora, con Benedetto XVI, si è tornati al rigore e perfino un vaticanista aperto come Filippo Di Giacomo attacca i protettori in Curia di Gelmini. In un suo articolo dal titolo La Chiesa senza pastori su “La Stampa” dell’11 agosto si legge: “Spesso sull’altare, vescovi e cardinali gli fanno di accompagnatori. Nessuno di questi sa che un prete cattolico-latino non può essere dignitario di un altro rito? (…) Mentre le risposte tardano, al cattolico serio non resta che tifare forte per la partita giocata da Benedetto XVI”.
In effetti mentre l’Udc Volonté interpreta l’inchiesta ternana come “furore anticattolico”, molti esponenti del clero negano a Gelmini una solidarietà piena. Il vescovo di Terni, Paglia, fa lo gnorri (“Seguiamo la vicenda tramite l’operato della magistratura. Spetta agli organi competenti fare le indagini”); sulla stessa linea il cardinale Bertone, Segretario di Stato (“Voglio vederci chiaro”). Al cardinale Marchisano, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli chiede di fare un passo indietro per difendersi meglio, don Pierino risponde: “Si dimetta lui”. Spiega: “Volevano prendersi le comunità, ma pensavano di avere a che fare con un coniglio; io comunque non guido una associazione religiosa, ma laica”. Di sicuro vescovi e cardinali vorrebbero tenere le Comunità Incontro al riparo dalle polemiche processuali sotto l’usbergo di Santa Romana della Chiesa, perciò sperano che a guidarle non sia Gelmini o il suo attuale favorito Meluzzi, ma i preti indicati come successori qualche anno fa, Pinchelli e Micheli. Ma forse la freddezza della Curia ha una spiegazione più profonda che solo il fratello di Pierino, l’indimenticato Peligio, ha individuato: “Ti sei confuso troppo con la politica”. Ai vertici della Chiesa questa cosa non piace: per loro i preti possono benissimo accordarsi e collaborare col potere secolare, usarlo e farsi usare, ma devono comunque mantenere la distinzione, anche per tenere viva l’illusione che il loro regno non sia di questo mondo.
“micropolis” settembre 2007
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