16.4.11

Il lavoro a Italia Lavoro. Una lettera al "manifesto"

Il laido Sacconi
Sono uno dei precari di Italia Lavoro, agenzia tecnica del ministero del Lavoro, di cui “il manifesto” ha parlato in questi giorni. Qualche giorno fa l'azienda ha deciso di inviarci una lettera di fine collaborazione. Per motivare tale decisione, il responsabile delle Risorse umane si appella al fatto che a gennaio abbiamo inviato una lettera per tutelare la nostra situazione precaria, così come previsto dalla recente legge nota come «Collegato lavoro».
Va notato che avevamo mandato una comunicazione solo cautelativa, ossia senza fare nessuna vertenza. La mia lettera fa riferimento ai contratti intercorsi tra il 2005 e il 2008, mentre l'azienda replica che poiché ho contestato il contratto in essere non esisterebbe più il «vincolo di fiducia», per cui «suo malgrado» si trova costretta a rescindere il contratto. Questo dimostra che tale decisione, piovuta sulle teste anche di tanti altri collaboratori, è «olio bollente» sui precari che starebbero assaltando il «loro» castello medievale... Invece da parte nostra c'è solo gente che rivendica diritti e che vuole lavorare, nonostante tutto.
Io mi sto riprendendo da un tumore al cervello operato lo scorso ottobre, e per il quale ho riportato una emiparesi del volto (che sto curando con la fisioterapia) e del quale l'azienda è pienamente cosciente (ho sostenuto una visita aziendale che certifica il mio stato, cui vengono sottoposte le persone che superano i 60 giorni di assenza) e che mi costa circa 150 euro al mese di medicine.
Sono dovuto rientrare a novembre con l'emiparesi al volto e con un occhio solo (l'altro bendato), per non perdere il lavoro in assenza di tutele che mi sostengano in malattia prolungata, come accade per i colleghi a tempo indeterminato. L'azienda non mi risulta mi abbia contestato nessuna incompetenza o mancanza professionale, nonostante la malattia, così come non l'ha fatto con gli altri colleghi precari. Io mi chiedo: oggi potrei sostenere colloqui di lavoro con mezza faccia mobile e un occhio bendato?
Sono stato allontanato senza una sola parola di preavviso, come è accaduto ad altri precari, né da parte del mio capo diretto, né da parte del responsabile Risorse umane. Italia Lavoro è attualmente in causa con 23 collaboratori che contestano un trattamento di subordinazione durato anni, mascherato da contratto a tempo indeterminato; hanno già inviato la lettera di rescissione ad altre 17 persone adducendo gli stessi motivi. E tra di loro, fatto ancora più grave, c'è una mia donna al sesto mese di gravidanza e che ha lavorato presso l'agenzia sin dal 2006.
Mi chiedo, come mai Italia Lavoro, che per realizzare la sua mission maneggia milioni di euro per attuare le politiche attive nel mercato del lavoro e in particolare per salvaguardare le categorie svantaggiate, quali le donne, i giovani laureati, i diversamente abili, gli over 50, non si pone nessun problema nel rescindere i contratti di 17 persone senza nessun criterio che riguardi la loro professionalità e produttività, la loro responsabilità e disponibilità, la loro precisione e correttezza sul lavoro?
Come mai altre venti persone sono già in causa contro l'azienda? E come mai l'azienda ne ha già perse alcune per gli stessi motivi? Come mai Italia Lavoro non si pone il problema di salvaguardare i propri progetti togliendo 17 lavoratori da ciò che stavano facendo?
Come mai i nostri capi sono «fantozzianamente» appiattiti a logiche ritorsive e non difendono né le persone, né i loro obiettivi produttivi? Ricordiamo che l'unico cliente di Italia Lavoro è il ministero del Lavoro, soldi pubblici.
Siamo consapevoli del fatto che come noi tanti altri lavoratori e lavoratrici vedono calpestati i propri diritti. Lottiamo per difenderli, rendiamo pubbliche queste situazioni, portiamole nell'aula di un tribunale, diamo un futuro ai nostri figli.
Fabrizio Quintili
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Postilla
A quanto pare, nella prassi dei licenziamenti di ritorsione il ministero del Lavoro non è secondo a nessun altro padrone. E' bastata una letterina in cui si diceva "io ho dei diritti" perché fosse decretata la cacciata del suo autore. Ma la cosa più demoralizzante è che questo lavoratore umiliato e offeso intravede un'arma di difesa collettiva solo nella comunicazione e nelle aule dei tribunali. Non gli passa neanche per l'anticamera del cervello che potrebbe essere il sindacato a organizzare i lavoratori, ad estendere la solidarietà, a guadagnare libertà e diritti con la lotta. Una volta si cantava: "Indietro non si torna, abbiamo il sindacato". Mi viene il sospetto, atroce, che si sta tornando rapidissimamente indietro perché un sindacato degno di questo nome non ce l'abbiamo più. (S.L.L.) 

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