Un sarcofago del IV secolo a.C. - Museo di Salonicco "Fu contemporaneo, come dice Prassifane nel suo trattato Sulla storia, di Platone comico, di Agatone tragediografo, di Nicerato poeta epico, e di Cherilo, e di Melanippide. E finché visse Archelao, fu per lo più sconosciuto, come mostra lo stesso Prassifane, poi pero' fu straordinariamente ammirato". Queste poche righe della Vita di Tucidide, scritta da un certo Marcellino, otto o nove secoli dopo la morte dello storico Tucidide, sono l' unica attestazione rimastaci, oscura e controversa, di un passaggio del grande storico ateniese alla corte del re-mecenate Archelao di Macedonia (431 - 399 a.C.). Certo l'ignoto Marcellino dice di prendere quelle notizie da Prassifane, lo scolaro di Teofrasto (morto nel 288 / 284 a.C.). Il che ci fa fare un gran salto all' indietro. La notizia di Marcellino non va dunque appoggiata sulle spalle di un ignoto erudito del V secolo d. C., ma riguadagna quota: non solo perché piuttosto vicina allo stesso Tucidide, ma soprattutto perché dovuta ad un erudito che era stato a sua volta scolaro di un grande erudito quale il filsofo Teofrasto. A sua volta discepolo del sommo Aristotele "maestro di color che sanno". Per giunta nella scuola di Aristotele, data l' enorme autorità del maestro e fondatore, spesso la dottrina dei singoli scolari consisteva nel ripetere più o meno originalmente quello che già "lui" (ipse) aveva detto. Onde non è difficile immaginare che quello che Prassifane sapeva su Tucidide e Archelao risalisse in ultima analisi ad Aristotele medesimo, che, per ragioni familiari, di cose macedoni certo non era ignaro: quindi non potremmo desiderare fonte migliore. Ma in realtà che cosa diceva esattamente Prassifane? Così come Marcellino ne riferisce il pensiero non tutto è chiaro. Tanto per cominciare, non sembra a prima vista sensata quella lista di persone di cui Tucidide "fu contemporaneo", visto che certamente sarà stato "contemporaneo" di tantissimi altri, beninteso di tantissimi altri illustri nomi (a cominciare da Euripide e Sofocle, per tenerci solo all' ambito dei grandi poeti; o di Ellanico tra gli storici e così via). Dunque è la stessa espressione "fu contemporaneo di" a suscitare qualche domanda. A suggerire cioè che dietro quell' espressione si celi un modo un po' gergale - del gergo dei grammatici e degli eruditi versati nella biografia dei "grandi" del passato - per dire che Tucidide era stato in contatto, si era venuto a trovare con codesti letterati: in una determinata circostanza in cui appunto aveva avuto modo di incontrare quelli e non altri. Quale circostanza? Marcellino non lo dice, purtroppo lo sottintende - come fanno tutti coloro che non sanno raccontare e attribuiscono a tutti gli altri, potenziali lettori, le conoscenze che si trovano ad avere. Per fortuna ci dice che trovava la notizia in Prassifane; e soggiunge che lo stesso Prassifane precisava che Tucidide "finché Archelao fu in vita (cioè fino al 399 a.C.) non ebbe fama, ma la ebbe, grandissima, in seguito". Ora è chiaro che Prassifane scandiva l' andamento della rinomanza di Tucidide come storico in rapporto al regno di Archelao, evidentemente perché sapeva che Tucidide era stato in rapporto appunto con Archelao. E poiché tutti coloro che elencava come "contemporanei" di Tucidide erano letterati ateniesi finiti per una ragione o per l' altra alla corte di Archelao, se ne deduce agevolmente che Prassifane diceva - e Marcellino mal riassumeva - che alla corte di Archelao Tucidide era stato in contatto con tutti costoro; e che però la grande fama che poi ebbe come storico si diffuse solo più tardi, quando Archelao ormai era morto. Nella notizia, finalmente così recuperata, si può ancora più a fondo "scavare". Primo. Ci sono altre tracce di una presenza di Tucidide in Macedonia? Secondo. Perché c' era andato? (E quando?). Terzo. Com' era questo scritto Sulla storia in cui Prassifane metteva in scena tutti questi personaggi storici? Una traccia, a dir vero, l' ha lasciata nella sua opera, La guerra del Peloponneso, lo stesso Tucidide, al capitolo 100 del secondo libro, dove, alquanto immotivatamente, inserisce, in un contesto in cui si parla d' altro, un breve excursus sulle grandi innovazioni che Archelao di Macedonia, quand' era sul trono, aveva introdotto nel suo regno. E ne parla con molta padronanza e dando chiaramente a intendere di aver visto ciò di cui parla (strade, fortificazioni, etc.) con i suoi occhi. Quando, in particolare, precisa che ad Archelao si debbono le fortificazioni "che sono ancora lì", il suo modo di esprimersi è tale da non lasciare spazio a dubbi. Poi c’è una poesia: una breve poesia, un epigramma di quattro linee in distici elegiaci, in morte di Euripide. Lo troviamo nel libro settimo dell' Antologia palatina, ma anche in una Vita di Euripide anonima: l' attribuzione a Tucidide è quasi unanime, però l' anonimo è incerto tra Tucidide e Timoteo (il quale di Euripide fu amico e ammiratore). Non deve stupire un Tucidide poeta, sia pure d' occasione. Anche Aristotele si è cimentato una volta, per la morte di un amico, in una versificazione impegnativa, l'Inno alla virtù . Certo ci si può chiedere se l' autore di questo epigramma non sia troppo incline ad imitare Tucidide, per esempio quando definisce Atene "l' Ellade dell' Ellade". Euripide era morto in Macedonia. L' epitafio per lui, scritto da Tucidide o attribuito a Tucidide, costituisce comunque un indizio della presenza di Tucidide nel regno di Archelao, alla cui corte Euripide era stato attivo negli ultimi anni di sua vita. O comunque chi attribuì quei versi a Tucidide vi sarà stato indotto dalla notoria presenza di entrambi alla corte del sovrano di Pella. Perchè andarsene in Macedonia, e, soprattutto, perchè in tanti? Forse non è difficile darsi ragione di ciò. L' evento che fa da spartiacque, alla fine della lunghissima guerra tra Sparta e Atene, la cosiddetta "guerra peloponnesiaca" (431 - 404 a.C.), è il colpo di Stato oligarchico realizzato nel 411, in Atene, dalla elite politico - culturale, stufa della democrazia radicale e convinta che l' esperienza democratica fosse ormai ferita a morte dopo il disastro della spedizione in Sicilia e il passaggio di Alcibiade al fianco di Sparta. Molti bei nomi vengono fuori in quell' anno, come legati in un modo o nell' altro all' esperienza oligarchica. Tucidide stesso è stato molto vicino, forse addirittura "scolaro" di Antifonte, principale artefice del putsch. Euripide è stato in rapporto di collaborazione anche artistica con Crizia (drammi dell' uno venivano presentati alle gare annuali sotto il nome dell'altro), e Crizia era il figlio di Callescro, uno dei capi del governo oligarchico. Agatone, il poeta tragico che stava in Macedonia quando c'era Tucidide, fu uno dei pochi che osarono complimentarsi con Antifonte quando, caduto il governo oligarchico, Antifonte fu messo sotto processo. E si potrebbe seguitare nella esemplificazione. Una cosa par certa. Quando nel 409, fu solennemente restaurata la democrazia, e tutti gli Ateniesi si impegnarono in un giuramento di fedeltà al regime democratico, pronunciato in occasione delle feste Dionisie di quell' anno, molto probabilmente più d'uno di questi esponenti che si erano compromessi con il putsch preferì andarsene. Andarsene appunto presso la corte macedone, dove un sovrano particolarmente "filelleno" e mecenatesco, come Archelao, attirava in tutti i modi artisti e letterati da Atene. E' in questa circostanza che Tucidide, ammiratore degli artefici del putsch (la sua ammirazione è rimasta, per i posteri, solennemente dichiarata nel libro ottavo della sua Storia), ha preferito allontanarsi da Atene. Certo non aveva bisogno di vivere a Pella. Aveva sue proprietà in Tracia, non molto lontano peraltro dalla nuova capitale macedone. Di lì avrà avuto modo di andare a vedere direttamente quel mondo: come lascia intendere egli stesso nel suo excursus su Archelao, e come Prassifane sapeva, da buona fonte. Prassifane per noi è poco più che un nome. Che cosa fosse davvero questo trattato Sulla storia non possiamo dirlo, perché non ne abbiamo che scarne notizie. Le più interessanti sono forse proprio quelle che ci dà Marcellino. Una cosa però possiamo dire senza troppa esitazione. Che cioè un'opera nella quale uno storico (Tucidide) e vari poeti (ciascuno rappresentante di un genere poetico diverso) figuravano contemporaneamente come personaggi (o come interlocutori) sarà stata un'opera incentrata - alla maniera di Aristotele nella Poetica - sul raffronto tra storia e poesia: tra i diversi tipi di verità che l' una e l' altra attingono. Tucidide veniva sentito, a quanto pare, dalla tradizione di studi risalente ad Aristotele, come il tipico esponente della attività storiografica. E proprio perciò messo a confronto con i poeti, ciascuno impegnato, in questo dialogo (se dialogo fu, alla maniera della scuola peripatetica), a rappresentare il proprio genere di poesia. Che Tucidide fosse stato davvero in Macedonia a Prassifane risultava. E dunque, quale occasione migliore per immaginare una conversazione sull' eterno tema - è più vera la storia o la poesia? - di quella offerta da questo cenacolo di esuli, fuggiti da Atene ormai ricaduta nel suo tradizionale "vizio" del potere popolare? |
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