Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, ha negato, in varie interviste, di avere lei proibito di stendere i panni nelle vie e nei vicoli della città; solo che non vuole che sgocciolino. La Vincenzi è addirittura convinta anzi di aver attenuato il divieto che c’era prima e si dichiara di essere una patita dello “stendere”: “La biancheria all’aria aperta è una caratteristica di Genova, una bella differenza rispetto ai tristi stendini o agli essiccatoi di altre città incupite dallo smog”. Sarà, ma la nuova forma del divieto lo estenderà di fatto agli storici vicoli del centro, considerati “vie principali”, che prima ne erano esclusi. Se ne ragionava il 4 febbraio scorso in una pagina de “La Stampa”, che con alcuni francobolli citava altri esempi italiani di “proibizionismo del decoro”: Bologna che multa chi mangia in strada o suona il bongo, Torino che vuole parabole e antenne televisive mimetizzate, Lucca che nega le licenza al Kebab, Capri che vieta gli zoccoli di legno. L’ultimo esempio citato era un paradosso sarcastico: l’ordinanza dl sindaco di Roncadelle (Brescia) che vietava ai cittadini di morire perché non c’era modo di ampliare il cimitero. Sul tema ragiona nella stessa pagina Carlo Grande che mette in luce una paradossale verità: spesso i sindaci che vietano per amor del decoro sono gli stessi che permettono aggressioni cementizie al paesaggio senza precedenti e sono più che tolleranti con gli inquinamenti più vari, inclusi quelli pericolosi degli inceneritori. In Sicilia si dice “tribolo di casa” e “spasso di strada”, per indicare chi usa con i familiari il massimo della severità e con il mondo esterno il massimo del lassismo. E’ un po’ lo schema di codesti sindaci, intransigenti con i giovani e i popolani delle loro città e amicissimi degli affaristi, da dovunque provengano. Ne abbiamo un esempio proprio qui a Perugia: il sindaco Boccali l’anno scorso tentò di mettere in fila una lunga lista di divieti per il centro storico, con l’intenzione di limitare i comportamenti trasgressivi della gioventù studentesca. E’ lo stesso che, da assessore all’urbanistica, ha permesso ai costruttori di fare in molti casi il proprio comodo. Qui propongo alla riflessione, come appendice, l’articolo di Grande. (S.L.L.)
Appendice
Il paradosso italiano
Lenzuola e calzini finiscono nel mirino, ma speculazione e inquinamento dilagano
di Carlo Grande
Sembrano proprio un'ossessione, per i nostri governanti (ricordate proprio Berlusconi, proprio a Genova?), i panni da nascondere: e' ben vero che quelli sporchi si lavano in famiglia, ma quando sono profumati e pronti per essere stesi su balconi e finestre dovrebbero essere considerati parte del paesaggio italiano, quasi un patrimonio immateriale dell'umanita'. Invece si fa la guerra alle lenzuola, nonche' (piu' comprensibile), ad antenne e parabole, e ai giochi in strada: chissa' che ne direbbe Cat Stevens, che da anni si chiede dove andranno i bambini a giocare; con lui e' rimasto qualche nonno e qualche associazione come «Tocati'» di Verona, quella di un memorabile festival di giochi in strada. I centri storici italiani vanno a pezzi, la speculazione li ha ormai trasformati in residenze di lusso, pied-a'-terre, uffici, studi e atelier, espellendo i ceti piu' poveri, e si pensa ai panni stesi. «Mal'aria» come non mai (bronchiti, asme, allergie, come minimo) e traffico alienante, ma i sindaci (sembra di sentire Johnny Stecchino che parla dei problemi siciliani) pensano alle mutande stese e alle biciclette appoggiate ai muri, e tollerano scempi ben peggiori, degni degli orrendi «sventramenti» umbertini, mussoliniani e anche post-bellici: l'ORRIDO SERIALE si e' impossessato da tempo delle nostre citta' e delle nostre vite, la mummificazione dei centri storici gia' esiste e non saranno la guerra ai mozziconi, al chewing-gum e alle feci canine (per quanto lodevoli) a cambiare la sostanza, ma una seria politica urbanistica e di tutela del famigerato «territorio» (e' appena uscito da Laterza il bellissimo «Paesaggi rurali e storici», a cura di Maurizio Agnoletti), con criteri estetici e rigorosi nella scelta dei materiali, ad esempio: basta cemento armato, plastica, dove un tempo era legno, pietra e mattone. Pazienza l'autobloccante, i Babbi Natale ai balconi e i nanetti in giardino, ma l'alluminio anodizzato e la plastica, il gaudioso piastrellato e le insegne dei negozi tutti uguali, ormai catene commerciali standardizzate, questa e' la dittatura dei logo, che fa il paio con gli slogan al posto dei ragionamenti, dei copyrighter al posto dell'arte e dei souvenir di plastica nelle viuzze antiche. Strano concetto, quello del «decoro» , in questa carestia di umano e di bellezza, come spiega lo psicoterapeuta Luigi Zoja: le cicche, i chewing-gum per terra d'accordo, ma la vera pornografia sono i capannoni, le villette a schiera, il saccheggio delle coste e del territorio che tanti, da Salvatore Settis a Italia Nostra, da Asor Rosa al Comitato per la bellezza di Vittorio Emiliani tentano di fermare. Genova dichiara guerra a magliette e calzini stesi, ai fazzoletti, ma non sara' una mutanda a sfregiare i centri storici, ne' gli islamici super oltranzisti (una minoranza, ovvio) a far argine all'«indecenza» vietando alle mogli di uscire di casa e stendere gli indumenti sul balcone. La vera pornografia sta altrove, i fan del decoro potrebbero pensare a Venezia: come cantava Guccini «e' un sogno di quelli che puoi comperare», San Marco e' anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola e' solo un bel giro di giostra.
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