1° settembre 1939: le truppe hitleriane invadono la Polonia
Scivoliamo lentamente e ineluttabilmente verso la guerra generale. E’ tutt’altro che improbabile che qualcuno o qualche gruppo importante negli establishment imperiali l’abbia già messa tra i propri obiettivi. Ma, anche se così non fosse, esiste una logica oggettiva delle cose, ed è la guerra il senso, la direzione evidente degli ultimi eventi e di quelli che da circa un ventennio li hanno preparato. Se non fosse per la straordinaria potenza produttiva (e distruttiva) accumulata in cento anni di sviluppo del capitalismo, l’orologio sembra essere tornato a quasi cento anni fa, agli anni della Grande Guerra europea, quando Lenin scriveva L’imperialismo fase suprema del capitalismo. Nella sua evoluzione la vicenda libica, quali che ne siano le scaturigini, disegna lo scenario di un’antica guerra imperiale: il paese nordafricano sembra la Cina del 1900 alla cui sottomissione concorrevano tutte o quasi le “grandi potenze”, che peraltro sotto sotto si combattevano. Ci sono contrastanti versioni su chi siano i “ribelli” di Bengasi e su chi ne abbia la guida, giovani “democratici”, capitribù monarchici, agenti imperiali; ma non mi pare dubbio che allo stato delle cose il pallino sia in mano degli anglo-franco-americani. Su tre cose, forse, non si riflette abbastanza. Primo. L’interesse per il petrolio libico è aumentato dal fatto che, fino ad oggi, quel combustibile ha alimentato lo sviluppo economico e commerciale del principale nemico degli Usa: il turbocapitalismo a partito unico di nome comunista. Ed è la Cina oggi l’innominato nemico che le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia mostrano di voler fronteggiare e circondare. Secondo. Dalla prima guerra irakena ad oggi c’è stata una progressiva caduta dei tabù pacifisti tipici del secondo dopoguerra e della stessa guerra fredda. La sovranità degli stati e la conseguente non ingerenza nei conflitti interni sono stati ridotti in poltiglia dal tritacarne della “polizia internazionale” e della “guerra umanitaria”; l’Onu nata per impedire i conflitti internazionali è diventata una delle sedi in cui le tensioni locali si internazionalizzano. Della pericolosa deriva bellicista degli Stati è emblematica la vicenda del nostro paese dall’intervento somalo ad oggi. L’immagine che di sé l’Italia proietta nelle gaffe, nelle umiliazioni, nelle presunte furbizie del trio Berlusconi-Frattini-Maroni è quella antica di un “imperialismo straccione”, invidioso e servile, incapace di difendere i propri stessi interessi. D'altra parte il disgustoso intervento all’Onu del presidente Napolitano che mette sotto i piedi la Costituzione per giustificare la partecipazione subalterna dell’Italia alla campagna di Libia è l’ultimo capitolo di una storia di degrado culturale e ideologico bipartisan che finora non ha avuto risposte adeguate, anche perchè il movimento per la pace appare intimidito e indebolito. Tutti si accorgono, del resto, che il papa e i papisti, a differenza che per l’Iraq (ove avevano con la comunità caldea interessi concreti da difendere), hanno sotterrato la bandiera arcobaleno. Terzo. Il capitalismo occidentale non ha finora trovato rimedi migliori della guerra per mettere fine alle “grandi crisi” economiche e finanziarie che lo caratterizzano e per rilanciarsi. La guerra è un toccasana non solo perché quello delle armi e della guerra diventa un mercato sicuro, finanziato dai sacrifici durissimi cui si costringe l’uomo (e la donna) della strada, ma perché rafforza la coesione interna gli stati e consolida i governi cui ci si affida. Io non escludo il paradosso che possa essere un presidente come Obama, di sicuro più legato ai ceti popolari dei suoi predecessori petroliferi, ma alle prese con crescenti opposizioni legate alla crisi economica, a scegliere la guerra generale per garantirsi non solo la rielezione, ma la prosecuzione del predominio imperialistico nordamericano. Lo slogan della “speranza contro la paura” si trasformerebbe nella “guerra contro la paura”, una paura il più delle volte artatamente alimentata. La Libia sarebbe in questo caso solo l’inizio e un nuovo casus belli potrebbe trovarsi in Corea, in Iran, in Siria, in Indocina, dappertutto. Da insegnante di storia spiegavo alle ragazze e ai ragazzi che non c’è concordia sulla data d’inizio della Seconda Guerra Mondiale. In Europa e in Nord America siamo soliti collocarla al primo settembre 1939, quando l’esercito tedesco invase la Polonia, ma c’è chi l’anticipa al 1936 e alla internazionalizzata guerra di Spagna. In Asia si preferisce farla iniziare nel 1937, con l’invasione della Repubblica cinese da parte del Giappone, ma anche lì non manca chi ne anticipa il cominciamento agli scontri militari che già dalla conquista giapponese e dalla secessione della Manciuria dalla Cina caratterizzarono i territori del grande “impero di mezzo”. Sempre più spesso mi capita di chiedermi: è già cominciata la terza guerra mondiale? |
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