16.4.11

Montanelli e Machiavelli.

Il 22 novembre 2005 “La Stampa” pubblicò un inedito  di Indro Montanelli su Machiavelli. Non vi si trova niente di particolarmente originale e, volendo, vi si ritrova la superficialità dei giornalisti, ma il pezzo è molto ben scritto, è sapido e brillante. Ne posto qui la prima parte (S.L.L.)

 Quanto poco machiavellico fosse Machiavelli l'hanno detto, assai meglio di me, i suoi grandi biografi Ridolfi e Prezzolini. Ma meglio di tutti lo dice la sua stessa vicenda politica. Questo grande maestro della manovra, di manovre non ne azzeccò una. È vero che l'Italia dei suoi tempi era piena di trabocchetti quasi più di quella attuale, ed è tutto dire. Ma c'era chi, pur sapendone infinitamente meno di Machiavelli, riusciva a saltarli in tempo, mentre lui ci cascava regolarmente dentro. Rimase con la Repubblica anche quando era abbastanza chiaro che i Medici l'avrebbero rovesciata, e a loro si riaccostò proprio nel momento in cui stavano per essere nuovamente scacciati. Non sono molti gli uomini che riescono a farsi epurare sia dal totalitarismo che dalla democrazia. Egli fu tra questi.
E la sua infatuazione per il duca Valentino? Più leggo di questo avventuriero, e più mi persuado che di grande egli ebbe, oltre la credulità, solo quello che volle prestargli Machiavelli: il quale, andato da lui come ambasciatore di Firenze, ne diventò il più acceso dei propagandisti. Prendere abbagli sugli uomini è da tutti. Ma un Machiavelli che fosse stato veramente tale, realista e cinico, avrebbe capito immediatamente che il Borgia tutto pensava fuorché all'unità nazionale. Il fatto è che, da buon fiorentino, o da buon toscano, Machiavelli era solo un teorico del machiavellismo. Quando, infilati «panni regali e curiali», si sedeva a tavolino nella sua casa di San Casciano e si tuffava nella Storia, il filo della matassa lo trovava subito, non c'era chi lo dipanava meglio di lui, pur nei limiti del suo «naturalismo». Anche se gli sfuggivano molte causali dei fatti, non gli sfuggivano i fatti, né i loro protagonisti.
Fra costoro era di casa, e non ce n'era alcuno che riuscisse a nascondergli le sue birbonate. Anzi c'è il caso che a qualcuno ne abbia imprestate più di quante ne avesse fatte. Ma quando tornava a indossare «questa veste cotidiana piena di fango e di loto», l'inventore della Real-Politik credo che si lasciasse metter nel sacco anche dal suo mezzadro, come succede appunto ai fiorentini, sempre troppo occupati ad almanaccare malizie per tenersi in guardia da quelle altrui. Quando lo nominano segretario comunale, crede di aver raggiunto il potere e d'essere al centro degli affari nazionali, se non mondiali. L'entusiasmo con cui si mette a organizzare in un esercito popolare una massa di renitenti alla leva, quali gl'italiani erano ormai da secoli e da generazioni, è il documento della sua ingenuità.
Quest'uomo che non crede negli uomini, crede di poterli trasformare in soldati, in capitani, in generali. Il fatto è che quel grande pessimista della Storia era nella vita un candido ottimista. E questo lato patetico aggiunge una nota di affetto alla mia ammirazione per lui. M'auguro che questo sentimento sia stato condiviso dal macellaio, dal fornaio e dal farmacista di San Casciano, con cui ogni sera si trovava all'osteria per bere un gotto di vino e far quattro chiacchiere. Certamente erano chiacchiere politiche che avranno offerto a Machiavelli il destro di rinverdire, magari un po' gonfiandole, le sue gesta d'uomo di Stato e diplomatico. I suoi ascoltatori ne avranno forse sorriso ma senza veleni, visto che non avevano alcun motivo d'invidiarlo: era, all'apparenza, come loro.
Ma lo distingueva, in realtà, un'adesione tutta fattuale alle cose, e una prosa secca e magra, puntuta e aspra, increspata d'ironie tal quale il carattere fiorentino. Machiavelli è più generoso, e perciò più simpatico, del suo «fratello» Guicciardini, così attaccato al «particulare» (ma anche questo è «fiorentino»), e ai soldi che gli vennero dalla moglie. È una diversità, tra loro, che avverti anche nella prosa del Guicciardini, più piatta e quasi maculata di tristezza.

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