Ernesto Bonaiuti |
Ernesto Bonaiuti è ben nota figura di studioso del cristianesimo e di prete scomunicato in quanto modernista. E tuttavia aveva perduto la cattedra universitaria non per il suo modernismo (l’esclusione dei modernisti dai pubblici uffici sancita dal Concordato mussoliniano del ’29 non aveva valore retroattivo), ma per essersi rifiutato insieme a pochissimi altri, e con una motivazione più religiosa che politica, di sottoscrivere il famigerato giuramento al Regime fascista. La cattedra, per vergogna dei governi postfascisti, non gli fu restituita neanche dopo la liberazione.
Egli pubblicò, nel troppo breve periodo tra la liberazione e la morte (20 aprile 1946) un settimanale intitolato “1945”: questa denominazione, nelle intenzioni di Bonaiuti, era destinata a rimanere immutata anche negli anni successivi (e così accadde per i pochi numeri usciti nel ’46), a ricordo di un anno che aveva o avrebbe dovuto segnare una svolta decisiva nella storia umana. Ebbene, di fronte al fatto di Hiroshima, Bonaiuti dimostrò molta più lucidità o molto minori cautele diplomatiche di quante ne avessero dimostrato i “laici”. Condanno la bomba A con parole veementi e angosciate, come la peggior conclusione della seconda guerra mondiale, una conclusione che preludeva non alla pace ma a più spaventosi massacri. Questa voce mi colpì per il suo isolamento; ebbe su di me un certo effetto (ne è conferma il fatto che io ricordi quell’articolo a distanza di anni, senza aver avuto l’occasione di sentirmelo rammentare da alcuno nel frattempo); ma a me, laicissimo con qualche angustia laicistica, le parole di Bonaiuti sembrarono troppo enfaticamente apocalittiche.
Egli pubblicò, nel troppo breve periodo tra la liberazione e la morte (20 aprile 1946) un settimanale intitolato “1945”: questa denominazione, nelle intenzioni di Bonaiuti, era destinata a rimanere immutata anche negli anni successivi (e così accadde per i pochi numeri usciti nel ’46), a ricordo di un anno che aveva o avrebbe dovuto segnare una svolta decisiva nella storia umana. Ebbene, di fronte al fatto di Hiroshima, Bonaiuti dimostrò molta più lucidità o molto minori cautele diplomatiche di quante ne avessero dimostrato i “laici”. Condanno la bomba A con parole veementi e angosciate, come la peggior conclusione della seconda guerra mondiale, una conclusione che preludeva non alla pace ma a più spaventosi massacri. Questa voce mi colpì per il suo isolamento; ebbe su di me un certo effetto (ne è conferma il fatto che io ricordi quell’articolo a distanza di anni, senza aver avuto l’occasione di sentirmelo rammentare da alcuno nel frattempo); ma a me, laicissimo con qualche angustia laicistica, le parole di Bonaiuti sembrarono troppo enfaticamente apocalittiche.
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Da Sebastiano Timpanaro, Il Verde e il Rosso. Memorie lontane e riflessioni attuali, in “Giano. Ricerche per la pace”, N.1 – 1989, Cangemi editore.
Sebastiano Timpanaro |
Postilla su “Giano”
“Giano. Ricerche per la pace” fu, negli anni successivi all’89, una rivista tra le più lungimiranti nel prevedere che la catastrofe del “socialismo reale” nell’Est Europeo non avrebbe prodotto un’era di benessere e di tranquillità universale, ma avrebbe accentuato le contraddizioni e aperto conflitti anche armati. Diretta dallo storico marxista Luigi Cortesi ed edita da Gangemi, essa raccoglieva nel suo comitato scientifico nomi importanti di diversi campi di attività, in omaggio alla dichiarata “interdisciplinarità” della rivista: da Luciana Castellina a Paolo Degli Espinosa, da Aldo Visalberghi a Luigi Lombardi Satriani, da Angelo D’Orsi a Enzo Tiezzi, quasi tutta gente che “dopo” non ha mollato.
Il primo numero, di cui do qui sommariamente conto a titolo di esemplificazione, dopo una premessa del direttore, si apriva con un saggio di Giuseppe Longo sulle vie del disarmo, cui seguivano uno scritto di Giampaolo Calchi Novati sulla cosiddetta “periferizzazione” dei conflitti, uno scritto di Marcello Cini sull’ethos della scienza e uno di Mario Alcaro sul pacifismo di Bertrand Russell. Con due testimonianze (del fisico Edoardo Amaldi e del filologo e filosofo Sebastiano Timpanaro) vi si apriva un’inchiesta sugl’intellettuali italiani e la condizione atomica). Seguivano ricerche di Laura Conti sugli armamenti e di Antonietta Graziani sull’immaginario nucleare nella fantascienza. Un’ampia e ricca sezione era poi dedicata a iniziative, rassegne, bibliografie settoriali in Italia e altrove. Concludeva un “supplemento didattico” curato da Aldo Visalberghi.
Il brano qui riportato è tratto dall’intervento di Timpanaro sulla condizione atomica che è in realtà un’ampia testimonianza autobiografica da cui recupererò altri interessanti passaggi.
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