Firmato P.C. e scritto da Paolo Cristofolini, poi importante storico della filosofia e, peculiarmente, studioso di Spinoza, il brano che segue è tecnicamente un “coccodrillo”. La rivista dove venne pubblicato, “Nuovo Impegno”, aveva una storia simile alla “Giovane Critica “ di Giampiero Mughini. La rivista era nata a Pisa come trimestrale di letteratura, cinema e filosofia, per proporre alle nuove generazioni intellettuali il punto di vista di una sinistra meno legnosa e corriva di quella rappresentata dagli intellettuali organici del Pci e meno tecnocratica e governativa di quella del riformismo socialista del tempo; divenne con il maturare della contestazione studentesca e del 68 un strumento di dibattito della sinistra estrema. La dirigeva lo scrittore Franco Petroni, che aveva seco in redazione intellettuali giovani (e meno giovani) del vigore di Romano Luperini, Carlo Madrignani, Gianfranco Ciabatti, Luciano Della Mea e, appunto, Paolo Cristofolini. Vi collaborarono, tra gli altri, Pio Baldelli, Sebastiano Timpanaro, Adriano Sofri, Augusto Vegezzi, Gianmario Cazzaniga. La rivista fiancheggiò, senza mai identificarsi del tutto con essi, prima “Il potere operaio” di Pisa (da non confondersi con Potere Operaio, un gruppo nazionale che venne dopo ed ebbe altri protagonisti e orientamenti) e poi la Lega dei Comunisti, un gruppo locale di orientamento maoista, guidato dall’italianista Luperini, che confluirà successivamente in Democrazia proletaria.
Questo pezzo, secondo me bellissimo, in memoria di Bertrand Russell, uscito nel numero doppio 17-19, datato agosto1969 – gennaio 1970, smentisce la leggenda di un “gruppismo” sempre e comunque astrattamente estremistico e settario e ne svela non solo le durezze, ma anche le aperture, perfino nelle componenti tradizionalmente marxiste. (S.L.L.)
Questo pezzo, secondo me bellissimo, in memoria di Bertrand Russell, uscito nel numero doppio 17-19, datato agosto1969 – gennaio 1970, smentisce la leggenda di un “gruppismo” sempre e comunque astrattamente estremistico e settario e ne svela non solo le durezze, ma anche le aperture, perfino nelle componenti tradizionalmente marxiste. (S.L.L.)
Mentre “Nuovo Impegno” sta andando in macchina, i giornali di tutto il mondo diffondono la notizia della morte di Bertrand Russell. Tutti i borghesi si sentono in dovere di rendere omaggio al suo genio e alle sue qualità morali, e di giustificare o coprire sotto un velo di indulgenza le infinite grane procurate ai potenti della terra da questo vecchiaccio che pareva non voler crepare mai. Allo stesso tempo i cretini del marxismo ortodosso di ogni ortodossia nazionale si sentono in dovere di mettere in risalto il suo grande ingegno e la sua opera di intellettuale solidale, ma di sottolineare allo stesso tempo i suoi limiti di non marxisti.
“Nuovo impegno” non è “l’Unità”. Non abbiamo nessuno che si senta in grado di formulare un rapido giudizio sull’opera logico-matematica di questa mente geniale. Non siamo nemmeno in vena di necrologi. Non ce la sentiamo, infine, di sentenziare che il modo di pensare di Russel fosse un arcaico “razionalismo illuministico”, o altre scempiaggini del genere. Sappiamo bene che tutto lo sviluppo delle sue idee è avvenuto al di fuori dei canoni del marxismo-leninismo, e che di fronte agli sviluppi della rivoluzione bolscevica (soprattutto di fronte allo stalinismo) egli manifestò perplessità e avversione. Questa è la verità, e non ci dà noia. Sappiamo che anche Russell ha fatto la galera per propaganda disfattista durante la prima guerra mondiale, e che è poi rimasto tutta la sua lunghissima vita attaccato combattivamente ai suoi principi; principi magari non desunti dai classici del marxismo, magari ispirati, in ultima analisi, più al buon senso che a teorie (fatto, questo, che può suscitare allo stesso tempo stupore e simpatia, se si considera l’eccezionale capacità di astrazione della sua mente); ma principi che lo hanno condotto sempre a stare dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, e che hanno fatto di lui un nemico implacabile dell’imperialismo e del socialimperialismo.
Non era marxista, è vero. Ma è anche vero anche che molti teorici e studiosi partiti da posizioni marxiste, o tuttora dichiaratamente marxisti, hanno trovato e trovano il tempo, senza raggiungere i settantasette anni, per tradire in tutti i modi possibili il proletariato e per diventare accademici del sistema. Russell insegna che tante volte certi elementari principi, che si possono definire “rispetto per l’umanità” o qualcosa di simile, valgono più di mille teorie a condurre uno alle scelte giuste. Se oggi scorriamo la bibliografia delle opere su Marx e su Lenin, è sorprendente il numero di traditori e di venduti.
Ricordiamo di lui almeno qualcosa: il suo martellamento demoralizzante e beffardo nei confronti di tutta la classe dirigente britannica; ricordiamo che nei giorni drammatici della crisi dei Caraibi Russell fu severo con Krusciov, trattò Kennedy come una pezza di piedi, e rispettò soltanto il popolo cubano. Ricordiamo infine che il tribunale da lui ideato per la condanna storica della guerra americana in Vietnam non nacque dal meschino spirito borghese del “salvarsi la coscienza” (Russell non ha mai avuto niente di cristiano), ma dall’esigenza di dare il massimo sostegno possibile, sul terreno della guerra psicologica, al popolo vietnamita in lotta. E’ un fatto positivo che l’azione del Tribunale prosegua anche in altre direzioni: tutto quanto potranno fare i membri del Tribunale Russell venuti a Milano per indagare sulla scomparsa del compagno Pinelli non potrà non essere salutato come un concreto appoggio militante da parte di tutti i compagni nel nostro paese.
Per quanto riguarda la parte della sua attività destinata a dargli, probabilmente, gloria nel futuro – e cioè i suoi studi di logica matematica – non possiamo che esprimere il rammarico per il fatto che essa, nella società borghese, non possa essere apprezzata e utilizzata che da pochi privilegiati della cultura. Il comunista per il quale noi ci battiamo è, fra le altre cose, uno stato di società in cui sia possibile l’accesso e il godimento collettivo anche dei prodotti dell’ingegno oltre che dei beni materiali. La filosofia di Russell, oggi, non appartiene al proletariato; ma avrebbe meritato di vivere in una società diversa, e in questa esplicarsi.
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