Nella rubrica Scritto&Parlato su “il manifesto” del 27 marzo 2011, Valentino Parlato risponde a una lettrice, che gli chiede di indicare il buono di Stalin. La risposta, che qui pubblico insieme alla lettera, non mi convince. Mi pare che il metodo di distinguere il buono dal cattivo sia superficiale e di conseguenza indulgente. Sullo stalinismo bisogna scavare a fondo per capirne la natura e liberarci dai veleni che ci ha lasciato in eredità. (S.L.L.)
Caro Valentino,
ho letto qualche giorno fa la tua risposta alla lettera del giovane diciottenne. Molto interessante sia l'una che l'altra. Ho notato che, ad un certo punto, tu fai riferimento ad alcune cose che apprezzi di Stalin. Visto che siamo strainformati degli errori e degli orrori da lui commessi, mi piacerebbe che ci dicessi qualcosa su ciò che tu apprezzi. Ho l'impressione, infatti, che sul problema dello stalinismo si sia posata una coltre pesante, omogenea e antistorica di semplificazione opportunistica che ha prodotto nel senso comune un'equazione odiosa fra Stalin e Hitler. Attendo con ansia una tua risposta.
Valentina Gramiccia
una trentenne non stalinista
Cara Valentina, trentenne non stalinista.
Provo a risponderti, anche se ho qualche dubbio sulle mie conoscenze e capacità.
Per cominciare una premessa: il gruppetto del «manifesto» è stato cacciato dal Pci, perché criticava la soggezione del Pci di allora allo stalinismo e quando a dirigere l'Unione sovietica c'era Breznev, il più opaco degli stalinisti.
I meriti - a mio parere - di Stalin? Innanzitutto avere fatto uscire la Russia dalla feudalità zarista. In secondo luogo avere fatto convivere e collaborare etnie tra loro assolutamente diverse. In terzo luogo (piuttosto importante) avere sconfitto le armate di Hitler. I tedeschi, attaccando l'Urss, pensavano di dovere fronteggiare qualcosa di analogo all'esercito zarista, clamorosamente sconfitto nella Prima guerra mondiale. E invece no: l'Armata rossa ha combattuto, ha sopportato 21 milioni di morti senza mai fare un passo indietro. Evidentemente quei soldati erano convinti di difendere a ogni costo il loro paese e il governo di Stalin.
Vorrei aggiungere che la straordinaria resistenza dell'Armata rossa nella Seconda guerra mondiale è stata anche il prodotto della vittoriosa guerra civile delle forze armate sovietiche contro quelle dei generali zaristi Kornilov, Kolciac e altri, sostenute da truppe regolari o mercenarie. Da «Il sarto di Ulm» di Lucio Magri traggo un'affermazione del Ministro degli esteri francese di allora, Pichon. Secondo Pichon, a fianco delle forze armate zariste combattevano 140mila francesi, 190mila rumeni, 140mila inglesi e 140mila serbi.
Questo è quel che mi viene di scriverti. Certo per parlare seriamente di Stalin bisognerebbe scrivere un saggio impegnativo, ma per concludere trascrivo un brano di Isaac Deutscher, storico di prestigio e piuttosto trotzkista: «Nel giro di tre decenni, il volto dell'Urss si è completamente trasformato. Il nocciolo dell'azione storica dello stalinismo è questo: esso ha trovato la Russia che arava con aratri di legno e la lascia padrona della pila atomica. Ha incalzato la Russia al grado di seconda potenza industriale del mondo e non si è trattato soltanto di una questione di puro e semplice progresso materiale e di organizzazione. Un risultato simile non si sarebbe potuto ottenere senza una vasta rivoluzione culturale nel corso della quale si è mandato a scuola un paese intero per impartirgli una istruzione estensiva». Insieme a tutto questo - come scrivi tu - ci sono «gli errori e gli orrori» che non vanno affatto trascurati o dimenticati. Grazie per la tua lettera.
Valentino Parlato
P.S.: Sembra un paradosso, ma particolarmente grati a Stalin dovrebbero essere gli israeliani: contro l'Inghilterra il voto dell'Urss fu decisivo per la costituzione dello Stato di Israele.
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