24.5.12

La pastora e la capretta (di Renato Fucini)

«Se non ritrovo la mia capretta, stasera non mi daranno da cena e Rosalba mi picchierà come l'altra volta... mi fece tanto male al petto! O Dio, Dio!».
Un ramarro, verde come le foglie del fico selvatico sul quale si era arrampicato per cercare gli ultimi raggi del sole cadente, vibrando la lingua veloce, la fissava, non visto, coi suoi occhi d'ebano, e Lucia singhiozzando pensava: «Mi manderanno via... domani! forse stasera! e non ci ho colpa. Le ho munte stamani alle sei, le ho contate e c'erano tutte... Dodici lire! e dove le trovo per dire a Rosalba: "Tenete; la capra è smarrita e queste sono le dodici lire che costava?". Non mi daranno da cena; Rosalba mi picchierà e mi chiameranno... O Dio, Dio!».
Una folata di vento più forte le portò via il fiore dai capelli; si alzò lesta per riprenderlo e il core le fece un balzo d'allegrezza al rapido fruscio che sentì tra le foglie a pochi passi da lei e credé ritrovata la sua capretta. Il ramarro, spaventato dal movimento di Lucia, s'era lasciato cadere dal ramo del fico selvatico, e, strisciando come una saetta, era corso a rifugiarsi nel cavo d'una ceppa di castagno.
Raccolse il fiore e se lo accomodò più forte tra i capelli. A Lucia era caro quel fiore come tutti gli altri che ogni mattina coglieva per adornarsene il capo e per offrirli la sera alla Madonna che pendeva a capo del suo letticciuolo. Anche quella sera non sarebbe mancato alla Vergine l'omaggio di quel povero fiore.
Lucia guardò il sole, e vedendo il suo disco mezzo tuffato sotto l'orizzonte lontano, sentì il proprio sgomento farsi maggiore e disperata chiamò per l'ultima volta: «Bianchina, Bianchina mia, teeeh!».
Un leggiero belato si udì ad un trar di ramo da lei; un lampo di gioia le balenò nei limpidi occhi celesti e, tra le spine, tra i sassi, attraverso ai rovi, ferendosi i piedi scalzi e gridando allegramente: «Bianchina, Bianchina bella, Bianchina mia», corse affannata verso il cespuglio dal quale era partito il belato, e, ficcandosi smaniosa tra i suoi rami fronzuti, sparì fra quelli tutti lieta, e sorridente. Lucia dall'alto della sua rupe non aveva scorto due occhi umani che da un'ora lacrimavano di stanchezza, avventando faville assetate agli occhi suoi, alle sue spalle, al suo colmo seno, e credé messo dalla sua capretta il belato che il ruvido Tonio scaltramente aveva imitato, ed era corsa... ed era corsa, povera Lucia! lieta e sicura, come l'usignolo innocente corre gorgheggiando nella bocca del rospo che digiuno lo guarda.

Da Lucia in Le veglie di Neri, 1882

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