4.5.12

Sparta. Problema, mito e miraggio (Lidia Storoni)

Con il titolo ad effetto Licenza di uccidere il 1° settembre 1984 “la Repubblica”, pubblicò, a mo’ di recensione di un libro inglese appena uscito in traduzione italiana, un magnifico articolo di Lidia Storoni, suggestiva ricognizione sulla Sparta antica e sul suo mito duraturo. Da leggere come modello di chiarezza e di sintesi, per le curiosità che cita e per quelle che suscita. (S.L.L.)
Washington,  Il bassorilievo di Licurgo
 alla Camera dei Rappresentanti USA

Tra i moltissimi termini che abbiamo ereditato dal greco - questa lingua, dicono, da bandire perché non serve - almeno tre vengono da Sparta: spartano, laconico, e problema. Non designano, come avviene con "scettico", "cinico", "stoico", "epicureo", "platonico", altrettante scuole filosofiche, i cui adepti applicavano nella condotta i rispettivi principii. I vocaboli di Sparta sono caratteristiche etniche; rappresentano un costume, improntato alla rinuncia di piaceri ed agi, a scarsa comunicazione con i propri simili; l' ultimo - "problema" - viene da "pro-bouleuma": era la mozione che i cinque Efori (coloro che, assieme ai 28 sessantenni della gherousìa, consigliavano i due re) proponevano all' assemblea, la Boulè. Partecipavano ad essa tutti i cittadini sopra i trent'anni, con facoltà di approvare o no; forse anche, di discutere. Quei cittadini erano i soli degni d'esser chiamati tali, i soli liberi, i soli proprietari di terre e combattenti: i soli "spartani". Quella di Sparta era un'aristocrazia terriera, dedita unicamente all'addestramento militare. La terra era lavorata dagli iloti, schiavi dello Stato, il commercio e l'artigianato esercitato dai perieci, ex nemici sottomessi, privi dei diritti del cittadino: tutti costoro erano i "non eguali". Gli "eguali" possedevano identici lotti di terra, inalienabili; si armavano a spese proprie; vivevano come in caserma, prendendo i pasti in comune; ginnastica, caccia, manovre militari erano le loro uniche occupazioni. Appartenevano allo Stato, non alla famiglia. Alle competizioni atletiche prendevano parte anche le donne. Quell'attività sportiva, che doveva irrobustire creature utili soltanto per la procreazione, scandalizzava gli ateniesi, che tenevano mogli e figlie chiuse nel gineceo: Aristotele denuncia quella libertà tra le cause della decadenza di Sparta nel IV secolo. Il pregiudizio trapela nei due personaggi femminili più famosi della letteratura greca, le due grandi peccatrici, nate tutte e due da Sparta: Elena, l'adultera che provocò la guerra di Troia e fu causa di tanti lutti, e sua sorella Clitemnestra che, d'accordo con l'amante, trucidò il marito, Agamennone, non appena ebbe messo piede in casa, tornando dalla guerra. La costituzione degli spartani fu descritta da Erodoto, Tucidide, Senofonte, Aristotele e, in età romana, da Plutarco. Suscitò sempre stupore e ammirazione, poche critiche, benché, nella sua rigidità immutabile, contrastasse con le dinamiche democrazie delle città marittime. Tutti riconobbero un merito sostanziale, quello d' aver creato per prima una costituzione, a quella città isolazionista e guerriera, che estese il suo dominio sul Peloponneso, si batté con Atene contro i persiani nella prima metà del V secolo e, nella seconda, abbattè la supremazia dell' antica alleata. In un volume edito da Bompiani (Gli spartani. Storia di una aristocrazia militare. Traduzione di Valeria Camporesi, pagg. 214, più note e bibliografia, lire 28.000), uno studioso inglese, J. T. Hooker, pilota il lettore tra gli specchi deformanti nei quali è riflessa l' immagine di Sparta. Gli autori antichi, chi per spiegarsi le cause di tanta forza, chi per giustificare le proprie sconfitte amplificando la potenza del nemico, chi per additare un modello d'ordine e disciplina ferrea in tempi di crisi morale e degenerazione delle democrazie, negli ordinamenti di Sparta, severi fino al sadismo, ravvisarono l'opera d'un legislatore, il leggendario Licurgo, vissuto - se mai visse - nel VII secolo a.C.; un grande saggio, ispirato a principi dottrinari. Nella povertà della produzione artistica e letteraria di quella cultura fu visto il diniego, coerente a quei principii, a qualsiasi sovrastruttura edonistica. Non scorsero in quelle leggi che norme etiche, intese a inculcare abnegazione e non, ciò che probabilmente erano, la codificazione di antiche strutture tribali, comuni a tutti i popoli in un determinato stadio del loro sviluppo, perduranti a Sparta per il permanere di condizioni naturali che le favorivano. Quel regime aristocratico apparve esemplare alle oligarchie spodestate delle pòleis; l'idealizzazione, osservò Ollier in un bel libro del 1930, Le Mirage Spartiate, incominciò con il malcontento provocato dagli abusi delle democrazie. Quel sistema acquistò prestigio per i successi militari, diventò fisionomia tipologica e tradizione proprio quando, con gli arricchimenti seguìti alle vittorie, incominciava a degenerare. Mentre i conservatori ovunque erano sgomenti, la stabilità di Sparta appariva invidiabile, esemplare; i romani vi si ispirarono, adottarono la moda della concisione e della frugalità, assimilarono un concetto base, e cioè che l' evoluzione peggiorativa è ineluttabile nelle società che si discostano dal costume avìto. Catone spinse il suo conformismo fanatico, frequente negli intellettuali romani, fino ad applicare una delle norme più sconcertanti del costume spartano: cedette temporaneamente la moglie feconda a un amico senza prole e poi se la riprese, quando gli ebbe partorito un bambino; e Dante, che non aveva mai sentito parlare della "donna-oggetto", trovò che aveva fatto benissimo. Basandosi sulle scoperte archeologiche, data la carenza di altre fonti, J.T. Hooker rivendica agli spartani un cospicuo contributo alla cultura greca, almeno per il periodo precedente a quello classico, che è più noto. La terra ha restituito agli scavatori tracce imponenti di edifici sacri; e del resto, se non s'è trovata la reggia di Menelao descritta nell' Odissea, appartengono al Peloponneso dell' età del bronzo gli stupendi ori di Micene e di Vafiò, i dipinti di Tirinto; vi si trova, sulla costa occidentale, la reggia di Nestore a Pilos, dove le tavolette d'argilla, coperte di scrittura in lineare B, offrono il quadro d'una complessa struttura sociale; ma Tucidide, nel V secolo, osservò che dai monumenti esistenti i posteri non avrebbero potuto misurare la grandezza e la potenza di Sparta. Ricchezza ed eleganza sono anteriori all'invasione o infiltrazione dorica che, secondo alcuni, sottomise gli Achei. Con l'XI secolo a.C., al bronzo subentrò il ferro, scomparvero l'arte e la scrittura: fu l'età buia, il cosiddetto Medioevo Greco. Lo spirito dell'Ellade s'era trasferito sulle coste dell' Asia Minore, e rigermogliò nell' VIII secolo con la ceramica geometrica e la poesia di Omero. I dori, ritenuti distruttori della ridente civiltà micenea, erano i progenitori degli spartani che si vantavano di discendere da Eracle? o, come ritiene l' autore, i padroni di Sparta erano un'antica classe oppressa, che aveva rovesciato i signori ed era diventata dispotica e inesorabile? lo statalismo di Sparta era un regime d'occupazione straniera o un dominio durissimo perché insicuro? Per J.T. Hooker, come del resto per William G. Forrest, autore d'un prezioso volumetto edito da Laterza nel 1970 (Storia di Sparta), non c' è bisogno di riconoscere stranieri nella classe dominante che imponeva una ferrea disciplina agli spartani, ai perieci, agli iloti: l'isolamento della città tra monti altissimi, la prosperità, dovuta alla conquista dei territori fertili della Laconia e Messenia, esentarono Sparta dalla necessità di crearsi una marina mercantile, d'incoraggiare un artigianato utile agli scambi, di espandersi nella Magna Grecia, dove, tuttavia, ebbe fiorenti colonie, Taranto e Reggio. L'opera legislativa attribuita a Licurgo non avrebbe fatto che imprimere forma sistematica a norme preesistenti: come le api nell'alveare, le formiche nel formicaio, dal loro secolare adattamento all'ambiente gli spartani avrebbero espresso una formula che diventò categoria morale; la disciplina inflessibile dipendeva dalla necessità di tenersi perennemente su le difese, non contro forze straniere ma contro la minaccia permanente degli iloti, tenuti in uno stato di asservimento spietato, decimati, a volte, quando lo Stato concedeva ai giovani la distrazione d'una temporanea "licenza d'uccidere": una forma spaventosa di caccia notturna, nella quale la selvaggina era l'uomo. Il tratto più famoso, il più caratteristico degli spartani, fu l'invenzione d'una tecnica di combattimento, d'una formazione compatta e irresistibile: la falange. Era composta di opliti allineati in ranghi serrati "piede contro piede, scudo contro scudo, petto contro petto", cantò il loro poeta, Tirteo: altrove la poesia parla d'amore e di morte, a Sparta di guerra. Atene ebbe Pericle, Fidia e Platone, Sparta Leonida. Il fianco sinistro protetto dallo scudo, armato di spada e di lancia, l'oplita era affiancato da forze mobili, frombolieri, arcieri: così conquistò i territori del Peloponneso, difese l'Ellade dall'invasione persiana, riuscì a piegare l'orgoglio di Atene. Fu questo il volto di Sparta, rievocato ogni volta che la patria, qualsiasi patria, era minacciata. Ora che il mare s'è ritirato e un monumento retorico impone al visitatore la versione sublimata del combattente spartano, le Termopili non sono più quella gola angusta che rese possibile a trecento spartani e poche migliaia d'altri paesi di tener testa per tre giorni alle armate innumerevoli di Serse, fino a che "vinti dalle piaghe/l'un sopra l'altro cade". Quel giorno, non erano più dori né Eraclidi, ma greci a fianco di greci. Oggi Sparta è una città di provincia tra i monti: ma la memoria di quelle ore, che furono le ore culminanti nella storia d' un popolo, scorre su i secoli ed è presente nel ricordo reverente dei patrioti di tutti i tempi. "La vostra tomba è un'ara" scrisse Leopardi di quei caduti; con il loro piccolo scudo rotondo e l'elmo maestoso, essi si affacciano persino sul monumentino dei fratelli Cairoli al Pincio "La Grecia ebbe i suoi Leonida". I greci, osservò malignamente Tacito, sono bravissimi a valorizzare le loro imprese. Effettivamente, tutte le celebrazioni successive non valgono il breve epitaffio che fu dettato per i 300 delle Termopili. Esso riassume nella forma più alta un costume che diventò un imperativo morale: "O tu che passi, dì a Sparta / che qui ci vedesti cadere / obbedienti alle leggi della Patria".

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