Bacugno (Rieti), Il toro ossequioso alla festa della Madonna della Neve |
Il quattro-cinque agosto
sono giorno pregni di annunzi e segni miracolosi, che attestano
l'irrompere della teofania nella storia quotidiana, e la gente, nel
mondo antico, era in attesa di radicali capovolgimenti diretti a
modificare la miseria del quotidiano. Sull'Esquilino, a Roma cade, in
queste giornate, la neve abbondante e sfida la canicola incombente.
Prodigio, portento, miracolo, taumaton, che dissolve le
cadenze della normalità e contiene un messaggio. Secondo la
tradizione che viene da dimenticati libri di cronaca, il papa Libano
il 5 agosto del 356, scende dalla sua sede, accompagnato da preti e
celebranti, e sulla piana dell'Esquilino, coperta di neve in agosto,
traccia un solco che delimita la costrizione della chiesa mariana più
antica, quella Santa Maria Maggiore che, conclusa nelle sue strutture
medioevali, la devastazione barocca e tardo-barocca dei Borromini e
dei Bernini, ridusse a fantasma di glorie architettoniche. E questa
tracciatura di solco, cosi densa di rimandi alla nostra cultura
contadina, rappresentata nei mosaici esterni della chiesa romana,
diviene per ogni cittadino un inaccessibile topos della nostra
storia: canonici severi, spesso stupidi e ignoranti, proprietari di
case e di appartamenti vuoti lungo tutta la via Merulana, sottratti
alla sete di mura dei poveri e degli indigenti, raramente ti fanno
salire ai mosaici per accertare una storia eccezionale.
L'evento prodigioso di
Roma si fa modello di innumeri celebrazioni attuali intorno alle
chiese dedicate alla Madonna della Neve. In un villaggio della
provincia di Rieti, Bacugno, frazione del comune di Posta, si
cumulano nel rituale contadino del 4-6 agosto le più differenti
stratificazioni di matrice pagana. La chiesa della Madonna della
Neve, ricostruita, dopo un terremoto, ai principi del XVIII secolo
sulle rovine di un più antico tempio cristiano eretto nel luogo di
un sacello di divinità italiche, diviene una sorta di topos di
remote cerimonie. Dalla collina imminente un gruppo di contadini,
attualmente sostituiti da artigiani e operai, traccia un «solco
dritto», che scende verso uno degli angoli della chiesa, si tratta
di una tracciatura rigorosamente regolata dalla tradizione, un solco
non utile ai fini coltivatori, e tuttavia, esemplare e modulo di
tutti i solchi futuri che saranno segnati nell'epoca dell'aratura.
Prova di precisione e di perfezione lavorativa, il «solco dritto»,
presente in molte parti d'Italia, si configura come un esorcismo dei
mali futuri che possono derivare da tracciature confuse e imperfette.
Ma contemporaneamente da una zona distante del villaggio i contadini
accompagnano preocessionalmente un torello selvatico, una volta un
bue aratore, la cui presenza è stata distrutta, qui, dagli
avanzamenti tecnologici. Il torello passa in mezzo alla folla dei
fedeli, qualche volta donne e maschi gli si avvicinano per
stringergli lo scroto e le gonadi, quasi a ricavare forza generativa
dal contatto. Il toro, condotto fino alla soglia della chiesa, è
costretto a inginocchiarsi più volte dinanzi al prete che esibisce
le reliquie del velo di Sant'Anna e di quello della Vergine: una
genuflessione che è stata ottenuta dall'abile tirocinio cui
l'animale è stato sottoposto per molti giorni. Né manca, in questa
festa bacugnese il tema dell'ultimo covone, che sarebbe piaciuto a
Frazer. Un potente covone di grano, detto «mannocchio», viene
trasportato nella processione, dietro il prete che regge le relique e
dietro la tenue patetica schiera delle Figlie di Maria che levano al
ciclo le scomposte cantiche cristiane nella lingua italo-reatina. Qui
resta viva la memoria di un'antica dea italica, Vacuna, signora del
territorio sabino, forse nume femminile della terra e della
fecondità, che avrebbe dato, secondo una probabile ipotesi, il nome
al villaggio (Bacugno da Vacuna). E veramente in questa campagna
ubertosa e felice si fondono i segni mirifici della neve in agosto,
la venerazione cattolica della Vergine, i ritmi cerimoniali
tardo-antichi e forse alcuni residui medioevali e barbarici, se un
testo del IX secolo, l'Indiculus superstitionum, di influenza
longobarda, vieta, nella sua rubrica de sulcis, di trarre
pronostici dalla tracciatura dei solchi. E la commistione resta tanto
evidente e parlante che un parroco degli scorsi decenni, in un diario
che mi è stato dato di consultare, scriveva che «il sacerdote in
quel giorno passa in sottordine. Da ministro di Dio diviene pupazzo
nelle mani di veri anticlericali...». Il personaggio più importante
del giorno è «il toro addobbato e ammaestrato».
Nuova Cliternia (Campobasso), Il santuario della Madonna Grande |
E qui, in questa cima desolata, si conserva il luogo epifanico nel quale la Madonna in agosto, apparve a un rustico, e fece scendere la neve, invitando i preti a tracciare la pianta del saccello ottogonale. Memorie sconvolgenti che la gente di qui rivive nelle narrazioni sacrali dinanzi agli occhi stupefatti dei bambini. E i pellegrini, carichi delle loro seppellite angustie, si fanno grida viventi della prostrazione del Sud: entrano nella cella, simile a un gallinaio, che definisce in aeternum lo spazio sacrale della Madonna nevosa, e fra il 12 e il 14 agosto, affidano a lei, in brevi richieste, dure e offensive, la soluzione della cronaca meridionale. Passano queste madri e queste spose, attraverso un foro stretto all'interno del gallinaio sacrale, e proclamano la loro trita, drammatica esistenzialità: «Fa Madonna della Neve di Agosto, che mio marito non mi tradisca, torni dalla Germania», «Fa Madonna della Neve che mio figlio trovi un posto», e il linguaggio si fa eroica sfida contro gli dei ignoti che dominano il cielo rurale e pastorale. E ancora una volta stimola la memoria quella necessità demartiniana di sondare il reale, di ricostruirlo attraverso la fatica sul campo, che l'antropologia da tavolino, così facile e gratificante, spesso in Italia, dimentica.
"il manifesto", ritaglio senza data, probabilmente agosto 1986
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