Nel novantasettesimo anniversario
Furono in tanti, anche tra i nostri
compagni più cari, ad affermare dopo l'89 che la Rivoluzione
d'Ottobre e il comunismo novecentesco erano stati una tragica
parentesi e che la fine di quell'esperimento in Russia avrebbe
favorito il trionfo della democrazia in tutto il mondo e l'affermarsi
generalizzato di nuovi diritti civili e sociali. Libertà e giustizia sociale finalmente avrebbero trovato un'armonica convivenza.
Ora molti tra di loro - sottovoce -
ammettono d'essersi sbagliati, confessano che - scomparso il comunismo
dalle possibilità immediate della storia - il capitalismo ha sempre
di più svuotato la democrazia, che vecchie e nuove oligarchie finanziarie
mondiali esercitano un dominio sempre più stringente, che
l'imperialismo produce guerre frequenti e sanguinose, che
le disuguaglianze sociali aumentano vertiginosamente, che razzismi e
intolleranze religiose tornano ad imperversare. Insomma la storica
sconfitta dell'Ottobre si è rivelata una sconfitta per tutte le
forze sociali, politiche, intellettuali che hanno fatto della
giustizia sociale la propria bussola, anche per quelle fortemente
critiche verso il regime sovietico.
Credo che oggi agisca anche un effetto
rimbalzo. La caduta dei regimi postrivoluzionari nell'Est Europeo
prima ha dato un'illusione di onnipotenza all'Occidente, poi ha
rimesso in campo la geopolitica e il militarismo.
Il conflitto economico (e non solo) tra l'Occidente Atlantico
dominato dagli USA e i paesi che in Asia e in Sud America hanno
prodotto uno sviluppo impetuoso e relativamente autonomo, non
presenta infatti contenuti sociali evidenti. Nessuno stato (o quasi)
persegue tra i propri obiettivi la piena occupazione garantita e diritti
generalizzati alla salute, all'istruzione, all'abitazione come accadeva nel campo sovietico; quasi
dappertutto il contenuto delle riforme economiche tende a lasciare
mano libera al mercato. Qualche eccezione può ravvisarsi solo in
America Latina, ma è ancora un fenomeno ridotto e non univoco.
La sconfitta dell'esperimento di
socialismo in Urss ha - peraltro - trascinato nella sua caduta le
esperienze socialdemocratiche di stato sociale in Europa. Gli operai
più anziani, in Inghilterra come in Francia, in Danimarca come in
Italia, meno partecipi della attuale generalizzata demonizzazione del
"socialismo reale", lo ripetono sempre: "Forse l'89 ha
portato un miglioramento della condizione dei lavoratori di là della
cortina; di qua per gli operai ha prodotto solo disastri". Primo
fra tutti la generalizzata precarizzazione del lavoro.
Non c'è in me nessuna nostalgia. Il
fallimento dell'Urss e del comunismo novecentesco non è stato esclusivamente frutto della potenza avversaria, ma anche di difetti suoi propri ed era in gran parte
meritato dalle dirigenze comuniste. I proletari dell'Est Europeo in verità avevano mediamente meno reddito, meno libertà, meno diritti di
quelli dell'Occidente europeo e facevano confronti. L'ultima
occasione di grande riforma, la primavera di Praga, fu perduta dalla
cecità e dalla follia del potere burocratico nell'Est europeo e
dalle prudenze dell'eurocomunismo.
Non è il caso di discutere qui errori
e orrori dello stalinismo, menzogne e avventurismi
del poststalinismo. Bisogna studiare e capire tutto ciò, ricavarne
ogni possibile lezione, ma nello stesso tempo bisogna andare avanti.
Non c'è un leninismo ortodosso da restaurare, un modello di partito,
di stato, di rivoluzione da imitare. Di Marx e di Lenin bisogna
recuperare il metodo: scoprire le debolezze del sistema, individuare
e mobilitare le forze che, riprendendo la strada dell'uguaglianza,
frenino e blocchino la cieca distruttività del Capitale, mantenendo viva la
doppia tensione che animò comunisti e socialisti nei due secoli
trascorsi: ottenere subito conquiste in termini di redditi e diritti
per le classi e i ceti subordinati e sfruttati; mantenere aperta la
prospettiva di una trasformazione radicale.
Non sono pessimista. C'è qualcosa che
si muove dentro l'invalicabile ordine del dominio e della
disuguaglianza e non è solo la vecchia talpa. Intanto rendiamo onore
a quei nostri compagni che quasi cento anni fa provarono a cambiare
il mondo e diedero un contributo enorme con la loro vittoria alla
fine del colonialismo, alla sconfitta del razzismo, alle tante
conquiste sociali delle classi lavoratrici in tutto il mondo. Quando
i Repubblicani accusavano Roosevelt e il suo New Deal sociale di
comunismo esageravano, ma coglievano una verità di fondo. A quelle
esperienze riformistiche come a quelle europee del secondo dopoguerra
il capitale fu obbligato dalla forza che continuava a sprigionarsi
dalla vittoriosa rivoluzione di Russia.
La Rivoluzione d'Ottobre è finita.
Viva la Rivoluzione d'Ottobre.
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