Luciano Canfora |
Perché si scrive la
storia? I due uomini che in Occidente fondarono questa pratica,
Erodoto e Tucidide, diedero risposte diverse. Erodoto dichiarò di
aver scritto la sua opera "perché gli eventi umani non
svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute
sia dai Greci sia dai barbari, non restino senza fama". Diversa
l'intonazione di Tucidide, e il suo scopo: "Basterà che stimino
la mia opera feconda quanti vogliono penetrare il reale senso delle
vicende, delle già avvenute e di quelle che, somiglianti e affini
per la loro qualità di fatti umani, potranno avvenire in un tempo
futuro". Tucidide nutre l' ambizione che la sua opera
costituisca una guida per chi deve agire, e insomma crea le premesse
di quella sinergia tra storia e politica che, nonostante la voga di
varie forme di storia specializzata e di microstoria, e' rimasta viva
ed egemone sino a oggi.
Per Tucidide, osserva
Luciano Canfora nel recente La storiografia greca (Bruno
Mondadori), "lo storico sceglie e riferisce sempre una unica
versione dei fatti, la quale dev'essere evidentemente ogni volta
quella vera. Che è la ragione per cui Tucidide, mentre
avverte di dipendere in larga misura da informazioni altrui e di
essere ben conscio del loro valore disuguale e contraddittorio,
presenta tuttavia i dati, sia quelli assunti direttamente, sia gli
altri, in un'unica forma obiettiva...".
Il suo è "un passo
indietro rispetto a Erodoto, il quale non solo attribuiva alle sue
fonti la responsabilità dei dati... ma non rifuggiva dal riferire,
l'una accanto all'altra, più versioni dello stesso episodio. Un
passo indietro che ha pesato in modo decisivo sulla forma della
storiografia classica" (giacché , com'è noto, il modello
tucidideo di una storia "pragmatica" prevarrà sul modello
erodoteo) e, con l'andar del tempo, ha contribuito alla sua
"povertà e fissità".
Un esempio mirabile (un vero e
proprio exploit) del metodo di Luciano Canfora ci viene offerto da un
altro libro uscito da poco, Il mistero Tucidide (Adelphi), in cui la
diffidenza verso le "versioni uniche" viene applicata a
smontare proprio la biografia del grande storico. Secondo una
tradizione che è sempre apparsa indiscutibile (una vera e propria
fable convenue) Tucidide, durante i vent'anni in cui si sviluppò la
guerra del Peloponneso, sarebbe rimasto lontano da Atene, esule a
causa di un insuccesso militare; ma già ne La lista di Andocide,
apparso un anno fa da Sellerio, Canfora aveva insinuato che il tono
con cui Tucidide parlava di un episodio avvenuto nel 411 a.C.
sembrava inconciliabile con l'idea di un "remoto esule che
narra fatti lontani". Il nuovo libro contiene affermazioni molto
più radicali: nel 411 a.C., l'anno del colpo di Stato oligarchico
che per qualche tempo portò al potere il Consiglio dei Quattrocento,
Tucidide non sarebbe stato esule, come si è sempre creduto, bensì
ad Atene, sul "luogo del delitto"; e ci sono ragioni di
credere che sia stato parte della congiura. Scrive Canfora:"Appare
chiaro che il racconto di Tucidide scaturisce dall'interno del
Consiglio dei Quattrocento. Si potrebbe anzi dire: dall'interno
della sala in cui esso si riuniva, il bouleuterion.
Ma perché
tutti hanno sempre creduto che Tucidide si trovasse invece a Skapté
Hyle, nei suoi possedimenti in Tracia? Perché una serie di sapienti
ritocchi degli editori moderni (la caduta di una parola o di un
inciso in tre frammenti antichi, rispettivamente di Aristotele, di
Demetrio Falereo e di Prassifane, e una correzione apportata a un
frammento di Polemone...) avrebbero forzato i testi, costringendoli a
combaciare e a ingranare con la versione accreditata. Col suo occhio
dilatato, lo storico moderno si china su quelle piccole cicatrici,
come l'esperto che esamina il foro d'entrata di un proiettile, e
mostra come il lavoro di occultamento sia stato rafforzato da
rimozioni, ipotesi o leggende, alcune delle quali derivano dagli
antichi.
Leggere i ragionamenti di Canfora è come vedere all'opera
un Auguste Dupin o un Hercule Poirot della storiografia; con questa
differenza: che i grandi detective avevano l'ambizione di giungere a
una ricostruzione esatta dei fatti, e all'indicazione d'un
colpevole; Canfora, invece, ritiene che il passato sia
sostanzialmente inconoscibile, e il "lavoro di verita"
dello storico possa consistere soltanto nel mostrare le crepe e le
rappezzature del "racconto unico". Basta aprire a caso un
libro come La storiografia greca, per esempio, oppure il Giulio
Cesare, appena uscito da Laterza, e ci troviamo subito in medias
res, calati dentro problemi pratici e intellettuali che non
appaiono mai troppo lontani da quelli del mondo nel quale viviamo;
un' intelligenza agile e concreta brilla dappertutto, nel - le
sintesi ampie come nelle indagini circoscritte. Ma se dovessi
indicare il vero fiore delle ricerche di Canfora sceglierei la lunga
serie dei suoi piccoli libri (serie a cui appartengono Il mistero
Tucidide e La lista di Andocide). In questi esempi di
detection applicati a una questione precisa che lo stile
intellettuale di Canfora funziona nel modo più ammirevole, con tutti
i suoi meccanismi logici e analogici allo scoperto. Quando l'autore
si deciderà a raccogliere in volume gli opuscoli che ha via via
pubblicato nel corso degli anni, avremo in mano uno dei libri di
storia più affascinanti del nostro tempo.
Corriere della sera, 17 aprile 1999
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