3.12.14

Davanti al tavolino di zinco. Un racconto di Sergio Solmi

Sergio Solmi
Davanti al tavolino di zinco, beviamo taciturni il buon vino di Pantelleria, a mo' d'aperitivo. Il mio collega d' ufficio ha un poco di pancia, una barbetta nera sul volto robusto, e se ti piglia per un braccio ti fa scricchiolare le ossa. Ha qualche terra al sole, e credo venga in Banca più per ammazzare il tempo che per sbarcare il lunario. Dalle sue estati al paese ha preso ora il gusto di indovinare il tempo che farà, ma senza dubbio da molt'anni quello antico del vino schietto, dei viaggi e delle serate in compagnia.
Immagino la sua villa al lago, dove va tutte le domeniche a trovar la mamma e la vecchia serva, gli alberi da frutta e i vigneti che, d'autunno, vengono a perder le foglie fin nel giardino dove una Pomona rustica fa la guardia alla vasca dei pesci rossi. E' un amico, sento che posso fidarmene. Ha buone braccia muscolose a salvaguardia della sua libertà, ma sento che con me non ne farà uso.
Da giovinotto, prima della guerra, quando s'era ricchi con poco, ha girato mezz'Europa e ha imparato le lingue, i paesi, gli usi e le donne. Partiva senza rimpianti dalle stazioni, pago di vedere, e di serbare, andando, il suo equilibrio tranquillo. Sopraggiunta la guerra, è andato volontario per la libertà e per la pace, e, comandante di una sezione di mitragliatrici, ha tenute le posizioni fino all'ultimo. Ora, al venerdì, si alza di buon'ora per andare in mercato a comprare le sfoglie e i merlani arrivati di fresco; e, se ti parla di cucina e di vini, piglia un tono giovialmente ammaestrativo. Non credo voglia male a nessuno salvo a un capufficio nevrastenico che c'era una volta, e che non gli poteva perdonare d'essere così forte e tranquillo.
Domani se ne ritornerà nel suo paese alto sul lago, a innestar alberi da frutta come Cincinnato. Per lui, come per pochi, l'esperienza deve avere un senso. Penso che, finché nasceranno uomini siffatti, si può non disperare dell'umanità. A questo momento, in tutte le città della vecchia Europa, altri uomini di buona volontà, fermi davanti ai banchi dei bars, bevono l'aperitivo; si rispondono le campane di mezzogiorno sulla Schelda e sul Rodano, sulla Vistola e sul Po, mentre il vino chinato scende per mille gole generose, che bestemmieranno al tornio o voceranno nelle borse o nei tribunali. Le perfidie dei governanti, le favole dei poeti e dei sacerdoti, le guerre e le rivoluzioni non intaccano questa buona razza che, dalle origini, sta ferma a fondamento degli stati, e tempera le follie col suo desiderio perenne di forza e di giustizia. Nel medioevo erano i buoni cristiani, che rincasavano al coprifuoco e barricavan le porte al passaggio delle orde. Videro la rivoluzione attraverso le persiane chiuse, e non gridarono viva al passaggio delle alabarde che portavano in cima le teste decapitate.


“la Repubblica”, 5 luglio 1984  

Nessun commento:

statistiche