Sergio Solmi |
Davanti al tavolino di
zinco, beviamo taciturni il buon vino di Pantelleria, a mo'
d'aperitivo. Il mio collega d' ufficio ha un poco di pancia, una
barbetta nera sul volto robusto, e se ti piglia per un braccio ti fa
scricchiolare le ossa. Ha qualche terra al sole, e credo venga in
Banca più per ammazzare il tempo che per sbarcare il lunario. Dalle
sue estati al paese ha preso ora il gusto di indovinare il tempo che
farà, ma senza dubbio da molt'anni quello antico del vino schietto,
dei viaggi e delle serate in compagnia.
Immagino la sua villa al
lago, dove va tutte le domeniche a trovar la mamma e la vecchia
serva, gli alberi da frutta e i vigneti che, d'autunno, vengono a
perder le foglie fin nel giardino dove una Pomona rustica fa la
guardia alla vasca dei pesci rossi. E' un amico, sento che posso
fidarmene. Ha buone braccia muscolose a salvaguardia della sua
libertà, ma sento che con me non ne farà uso.
Da giovinotto, prima
della guerra, quando s'era ricchi con poco, ha girato mezz'Europa e
ha imparato le lingue, i paesi, gli usi e le donne. Partiva senza
rimpianti dalle stazioni, pago di vedere, e di serbare, andando, il
suo equilibrio tranquillo. Sopraggiunta la guerra, è andato
volontario per la libertà e per la pace, e, comandante di una
sezione di mitragliatrici, ha tenute le posizioni fino all'ultimo.
Ora, al venerdì, si alza di buon'ora per andare in mercato a
comprare le sfoglie e i merlani arrivati di fresco; e, se ti parla di
cucina e di vini, piglia un tono giovialmente ammaestrativo. Non
credo voglia male a nessuno salvo a un capufficio nevrastenico che
c'era una volta, e che non gli poteva perdonare d'essere così forte
e tranquillo.
Domani se ne ritornerà
nel suo paese alto sul lago, a innestar alberi da frutta come
Cincinnato. Per lui, come per pochi, l'esperienza deve avere un
senso. Penso che, finché nasceranno uomini siffatti, si può non
disperare dell'umanità. A questo momento, in tutte le città della
vecchia Europa, altri uomini di buona volontà, fermi davanti ai
banchi dei bars, bevono l'aperitivo; si rispondono le campane di
mezzogiorno sulla Schelda e sul Rodano, sulla Vistola e sul Po,
mentre il vino chinato scende per mille gole generose, che
bestemmieranno al tornio o voceranno nelle borse o nei tribunali. Le
perfidie dei governanti, le favole dei poeti e dei sacerdoti, le
guerre e le rivoluzioni non intaccano questa buona razza che, dalle
origini, sta ferma a fondamento degli stati, e tempera le follie col
suo desiderio perenne di forza e di giustizia. Nel medioevo erano i
buoni cristiani, che rincasavano al coprifuoco e barricavan le porte
al passaggio delle orde. Videro la rivoluzione attraverso le persiane
chiuse, e non gridarono viva al passaggio delle alabarde che
portavano in cima le teste decapitate.
“la Repubblica”, 5
luglio 1984
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