Da “Narcomafie” una
bella rievocazione. (S.L.L.)
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Il porto di Genova pieno di emigranti in partenza in un quadro di fine 800 |
A leggere,
quotidianamente, dei soccorsi in mare di centinaia di migranti
infreddoliti e affamati, in una massa unica di corpi su quei
barconi-carrette, mi sono tornati alla mente i versi di Edmondo De
Amicis, quando erano i nostri emigranti a varcare i mari “
ammonticchiati là come giumenti/ sulla gelida prua mossa dai venti,/
migrano per terre inospiti e lontane/ laceri e macilenti,/…per
cercar del pane…”. Carrette del mare, non solo oggi, ma anche a
quei tempi, quando, nel “bastimento”, “..al primo entrarvi lo
abbiamo trovato sì lurido che ci veniva schifo..le navi,
all’imbarco, si rivelavano spesso assai diverse dalle promesse..a
volte erano delle vere e proprie carrette del mare destinate al
naufragio” ( da una lettera di un emigrante italiano partito da
Genova, nel 1887, con il vapore “Messico”). Quante somiglianze
con il presente quando, sulle coste libiche, i migranti che hanno già
pagato consistenti somme di denaro ai trafficanti per un “viaggio”
sicuro, si ritrovano costretti, con la violenza, ad imbarcarsi su
fatiscenti imbarcazioni o su gommoni che non potrebbero contenere un
numero così elevato di esseri umani. I tanti annegati-dispersi nel
Mediterraneo, oltre tremila solo nel 2014, dovrebbero ricordarci la
tragedia dell’immigrazione. Rispetto alle migrazioni del 1880, ai
tempi di De Amicis, quelle di questi anni sono diventate ancor di più
un dramma umano di dimensione straordinaria, che riguarda una parte
consistente di mondo ridotto in condizioni sempre più disumane a
causa di conflitti armati, terrorismo, persecuzioni e povertà.
Frutto, spesso, di ingiustizie e di sfruttamento secolare da parte
dei paesi del cosiddetto mondo civile. Quando sbarcano nei porti
italiani, lo avrete notato, gran parte del personale dell’assistenza
e delle forze di polizia indossa una mascherina di protezione sul
viso. Si dice che serva per evitare infezioni, ma anche per attenuare
gli odori di corpi impregnati di sudore, stanchezza, dolore. Anche
sui nostri emigranti di un tempo, che erano “generalmente di
piccola statura e di pelle scura..” si sottolineava che “..molti
di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte
settimane..” (dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione
del Congresso americano, ottobre 1912). E se, oggi, qualcuno ha
allarmato l’opinione pubblica sui pericoli infettivi dei neri che
sbarcano sulle nostre coste, oltre cento anni fa, a Basilea, gli
abitanti erano preoccupati di mandare a giocare i loro bambini in
strada, per il rischio che potessero tornare a casa “…con i
pidocchi o altri parassiti presi dagli sporchi bambini italiani..”
(vedi Peter Manz in Emigrazione italiana a Basilea e sobborghi
1890-1914). Per non parlare dei trattamenti riservati, sempre a
Basilea, nella stazione ferroviaria, dove i nostri emigranti,
considerati “troppo sporchi”, non potevano accedere neanche alla
sala d’aspetto di terza classe, ma venivano letteralmente
accatastati in un budello sotterraneo in condizioni igieniche
pessime. In quel periodo, i pregiudizi verso il nostro paese, minato
da colera, pellagra, gastroenterite e tubercolosi, erano davvero
forti. L’Australian Workman, il 24 ottobre del 1890, definiva
impietosamente “locuste” i migranti italiani, oltre che
“briganti, lazzaroni, fannulloni, corrotti nell’anima e nel
corpo”. Che fossero un po’ “briganti” non era, a ben vedere,
del tutto una falsità. L’emigrazione è sempre stata segnata da
violenza e dolore. Quando, oggi, nel nostro paese, si dice che molti
stranieri delinquono, si afferma una verità che è la stessa che
caratterizzò la delinquenza italiana dei nostri emigranti negli
Stati Uniti d’America agli inizi del secolo scorso (1904), infatti,
per omicidio, erano detenuti nelle carceri 96 italiani e ben 175 per
tentato omicidio. Record assoluto in confronto alle altre
nazionalità. Oggi in Italia, l’incidenza della delittuosità degli
stranieri sul totale dei delitti, è piuttosto apprezzabile, come
abbiamo avuto occasione di sottolineare più volte parlando di
sicurezza. Una buona fetta riguarda lo spaccio di stupefacenti e lo
sfruttamento della prostituzione. Niente di nuovo a ben vedere in
tema di prostituzione (sullo spaccio di droghe, agli inizi del secolo
scorso il fenomeno era quasi inesistente), ambito nel quale il
traffico di giovani donne fu, più di un secolo fa, in mano agli
italiani. Basterebbe leggere quanto scriveva, nel settembre 1902, su
“Nuova Antologia”, il diplomatico Paulucci de Calboli, parlando
della “merce italiana” particolarmente gradita in Egitto. Oggi,
si può pensare di contrastare il fenomeno del traffico illegale di
migranti solo contrapponendo, con forza, all’indifferenza generale,
quel sentimento “globale della solidarietà e della fraternità”,
più volte richiamate da papa Francesco (ne parlerà ancora nel
messaggio in occasione della 48ma Giornata della pace, che sarà
celebrata, il primo gennaio 2015, sul tema Non più schiavi ma
fratelli).
Certo, a Salvini, segretario della Lega Nord, che, per
aumentare il suo indice di “gradimento” nei sondaggi, parla, a
sproposito, di “immigrazione selezionata” o, tanto più, a quei
malviventi che hanno disgustosamente speculato sulla pelle dei
richiedenti asilo, come emerso nella recente indagine sulla “mafia
romana”, sarebbe tempo perso provare a far capire di cosa si
tratti.
“narcomafie”, 17
dicembre 2014
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