6.10.16

Gli spettri di Clint Eastwood, classico di frontiera (Alessandro Cappabianca)

La storia americana con i se e con i ma
È quasi mezzanotte. Due uomini, nell’antico cimitero di Savannah, si aggirano tra le vecchie lapidi, come se cercassero o aspettassero qualcuno, nell’oscurità appena rischiarata dalla torcia elettrica che uno dei due (John Kelso) reca con sé, mentre l’altro (Jim Williams) porta una borsa. Finalmente sostano accanto a una tomba sulla quale è scritto il nome d’un certo dottor Buzzard. Da un’altra parte, sta arrivando qualcuno. Man mano che si avvicina, si vede che è una vecchia donna di colore (Minerva), una lanterna. Ha un aspetto bizzarro e un bizzarro abbigliamento, porta occhiali scuri, parecchi giri di collane al collo e una grossa borsa legata a un bastone. Sembra che conosca Jim, perché lo saluta, e Jim gli presenta il suo compagno: una presentazione che suona un po’ incongrua in questa atmosfera da John, che le porge la mano in modo formale. Poi la vecchia strega sistema sulla tomba alcuni oggetti che Jim le ha portato e prende per mano i due uomini. Ha luogo un esorcismo, tendente a rabbonire l’anima di un defunto, un certo Billy, già amante di Williams, da questi ucciso durante una lite.
In Mezzanotte nel giardino del bene e del male, il film del 1997 di Clint Eastwood, Jim Williams, antiquario, miliardario, l’uomo più ricco di Savannah, ha sparato al suo amante Billy, lo ha ucciso e vuol far credere che si sia trattato di legittima difesa. Sembra una persona razionale capace di pianificare freddamente la messa in scena dell’assassinio a beneficio della polizia, che giustamente non è convinta della sua versione - eppure Jim sente il bisogno di ricorrere a Minerva, una vecchia strega di colore, perché lo aiuti a entrare in contatto con lo spirito del morto e a placare la sua ira. Così va a incontrarlo in piena notte nel vecchio cimitero dei neri di Savannah, e per di più si porta dietro John Kelso, giornalista di New York e scrittore fallito, che si trova a Savannah per un’altra ragione: un servizio sul grande ricevimento di Natale che William organizza ogni anno nella sua villa.
Ci si può chiedere come mai Jim decida di portare Kelso con sé, coinvolgendolo in una cerimonia occultistica, dal carattere decisamente regressivo; e si può rispondere che lo fa per parecchie ragioni: da un lato vuole prendersi il gusto di impressionarlo e scalfire la sua patina di superficiale sicurezza, dall’altro intuisce che Minerva sarà in grado di leggere chiaramente nell’interiorità del giovanotto e non mancherà di denunciarne i limiti e le inibizioni. La ragione principale, tuttavia, attiene all’economia narrativa del film: John Kelso assume cioè la funzione di terzo estraneo (relativamente estraneo) a cui la vecchia strega potrà spiegare, nel suo stile oscuro da oracolo, quale ruolo assumono i morti nell’economia dei viventi (e quindi nel cinema di Clint Eastwood). Gli dirà infatti: «Inciditi queste parole nel cuore: per riuscire a capire i vivi, bisogna saper frequentare i morti».
Nel giardino notturno, presso la tomba del dottor Buzzard (famoso maestro di voodoo, del quale, come più tardi sapremo, Minerva è la vedova), i due uomini attendono l’arrivo della vecchia, che si intravede da lontano tra gli alberi come l’apparizione di un fantasma invalido, rischiarando il suo cammino alla luce di una lanterna. È buio, ci si vede appena, ma lei porta un paio di occhiali scuri e non li toglierà per tutta la sequenza, salvo alzarli un attimo sulla fronte per guardare bene in faccia John Kelso, che le tende la mano con ipocrita cordialità. Così John ha attirato l’attenzione della maga che, dopo averlo osservato con una certa ironia, conclude: «Mi fai una gran pena, figlio mio». Jim le chiede perché, e Minerva risponde: «È convinto che nessuno lo ami». Ma è tempo di affrettare i preparativi, di predisporre sulla tomba del dottore ciò che Jim ha portato con sé, secondo le istruzioni della maga (una banconota, una manciata di monetine lucenti, una bottiglia di acqua sorgiva, «non passata per nessun tubo»), perché dall’aldilà il ragazzo morto «sta operando pesante» contro Jimmy e vuole vederlo in galera. Inoltre, risuonano in lontananza i rintocchi dell’orologio di qualche campanile, e non resta gran che dell’ora dei morti. «Cos’è l’ora dei morti?» - chiede John; e Minerva risponde, offrendo nel contempo la spiegazione del titolo del film: «Dura un’ora esatta, da mezz’ora prima di mezzanotte a mezz’ora dopo. Mezz’ora prima per lavorare per il Bene, mezz’ora dopo per il Male. E "Per riuscire a capire i vivi, bisogna saper frequentare i morti" noi abbiamo bisogno di un po’ di tutti e due». Poi prende per mano i due uomini, e incita Jim a dire qualcosa di gentile sul morto. Jim ricorda l’amore con cui Billy lustrava la sua auto, la decorava, ci dipingeva sopra: pochi lo sapevano, ma era molto creativo, in fondo era un artista. Secondo Minerva, Billy ha sentito queste parole e le ha apprezzate. Lo ha sentito che “mollava la presa”. Per ogni evenienza, però, sarà bene che, un volta tornato a casa, Jim preghi ogni santo giorno quel ragazzo di perdonarlo, scriva il suo nome sette volte su un foglio di carta senza mai sollevare la penna, pieghi il foglio due volte e lo porti sempre in tasca. Inoltre, bisognerà che trovi una foto del morto, gli disegni una cucitura sulla bocca e buchi i suoi occhi. È qui, a chiusura della sequenza, che Minerva rivolge a John quel solenne monito: «Inciditi queste parole nel cuore: per riuscire a capire i vivi, bisogna saper frequentare i morti».
È strano che, dopo l’uscita e l’inatteso «successo» del documentario Derrida girato in America nel 2002 da Kirby Dick e Amy Ziering Kofman, la moglie di Jacques Derrida, Marguerite, accusasse scherzosamente gli autori di aver fatto diventare suo marito «un Clint Eastwood». Intendeva un divo, certo, ma è singolare che, tra tutti quelli che avrebbe potuto citare, ne abbia scelto uno che aveva così tenacemente bordeggiato, in quasi tutti i suoi film, lungo i confini della spettralità, di quella spettralità che Derrida considerava una delle specificità del cinema: dispositivo produttore di fantasmi e dunque campo di mediazione tra i vivi e i morti. Derrida stesso, d’altra parte, in un’intervista apparsa nel 2001 sui Cahiers du cinéma, aveva citato i western di Clint Eastwood come esempi dell’ossessione del cinema per i fantasmi di un’epoca in cui il cinema non c’era. Se Minerva, non la dea della Sapienza, ma la vecchia strega di Mezzanotte nel bardino del bene e del male fosse stata in grado di mettere per iscritto la sua filosofia, avrebbe potuto sottoscrivere quanto Derrida afferma in Spettri di Marx: «Apprendre à vivre, se resta sempre da fare, non lo si può fare che tra vita e morte. Non nella vita né nella morte da sole. Quel che accade tra due, e tra tutti i “due” che si vorrà come tra vita e morte, non può che intrattenersi con qualche fantasma. Bisognerebbe allora apprendre les esprits. Anche e soprattutto se lo spettrale non è. [....] Bisogna parlare del fantasma, anzi al fantasma e con lui, dal momento che nessuna etica, nessuna politica, sia o meno rivoluzionaria, sembra possibile e pensabile e giusta, senza riconoscere al suo principio il rispetto per quegli altri che non sono più o per quegli altri che non ci sono ancora, presentemente viventi, siano già morti o non ancora nati». Rispetto per i morti, dunque, che è anche, per Eastwood, rispetto per i non-ancora-nati-al-cinema - ad esempio, per le leggende e le figure del West, dove si è formata l’identità americana. Il cinema diventa, allora, elemento di mediazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti (cosa che risalterà pienamente in Hereafter).
Anche Minerva fa il suo mestiere di mediatrice tra i vivi e i morti, ma sa benissimo che, a differenza dei morti, i vivi mentono. Mostra di credere alla versione di Jim Williams, ma resta dubbio se ci creda veramente. Per questo, nell’eseguire il suo esorcismo, sa di aver bisogno del Bene come del Male e di dover perseguire una sorta di equilibrio trai due: quell’equilibrio simboleggiato dalla statua della fanciulla con una ciotola in ciascuna mano, che si vede all’inizio del film e si vedrà di nuovo alla fine, emblema di una paradossale giustizia, di un pareggiamento dei conti che porterà il ricco antiquario, vittima di un infarto dopo l’assoluzione, a raggiungere l’uomo da lui ucciso nel cimitero dei bianchi. Non senza che, stramazzato a terra dopo una vertiginosa rotazione della stanza, mentre rantola morente, gli appaia, disteso accanto a lui, sogghignando come in attesa, il fantasma di Billy. Le ciotole che la statua della fanciulla regge nell’una e nell’altra mano possono ricordare, certo, la bilancia in equilibrio della Giustizia - ma quella utilizzata nel film è la copia in vetro-resina di una statua originale in bronzo, nota come «Bird Girl», in cui una scultrice di Savannah, Sylvia Shaw Judson, ai primi del Novecento, aveva raffgurato una ragazza che offre (nelle ciotole) mangime agli uccelli. Tutto sommato, in un certo senso, siamo di fronte anche a un simulacro di statua (...). Il film è tutto costruito sullo sguardo di John, l’estraneo - sul suo impatto con Savannah, gli strani tipi, i fantasmi che la abitano - ma con una vistosa eccezione. Non c’è lui, come non ci sono altri testimoni, quando la stanza comincia a girare attorno a Jim che muore, accanto allo spettro di Billy c’è soltanto la macchina da presa, la muta testimonianza del cinema.


In “alias il manifesto”, 28 gennaio 2012, dal saggio Spettralità, nel volume Clint Eastwood, a cura di Alessandro Canadè e Alessia Cervini, ed. Pellegrini, Cosenza, 2012

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