5.10.16

Shakespeare. Il mistero della dama bruna (Erik Amfitheatrov)

Emilia Bassano:
ecco il nome della famosa «dama bruna»
l'amante italiana di William Shakespeare,
scoperta da un professore inglese.
Ma c'è di più: un classico triangolo

Per anni gli studiosi di Shakespeare si sono arrovellati sul più grande mistero della vita del poeta, e cioè sulla vera identità della «dama bruna», figura dominante dei suoi ultimi sonetti, una donna che gli fece patire i tormenti della passione e della gelosia, tanto da ridurlo in uno stato di «folle delirio». Nel gruppo di sonetti che vanno dal numero 127 al 152, Shakespeare parla di questa donna, senza mai rivelarne il nome. Dice solo che era «bruna», e che era una bellezza «nera». Sappiamo di lei che suonava il liuto con grazia e abilità e che, a seconda dell'umore, era infelice, seducente, orgogliosa, infedele, cattiva.
Ora tuttavia pare si sia fatto un passo avanti (benché ancora moito controverso) verso la soluzione di questo mistero. Uno dei più eminenti studiosi del periodo elisabettiano, Alfred Leslie Rowse, settantaseienne oxfordiano, il più grande esperto inglese di Shakespeare, basandosi sulla lettura dei taccuini di un certo Simon Forman, oscuro medico e astrologo del XVII secolo, è giunto alla convinzione di avere scoperto la vera identità della «dama bruna». A quanto sostiene Rowse, si tratterebbe di Emilia Bassano, figlia illegittima di Battista Bassano, un musicista italiano che viveva alla corte della regina Elisabetta.
La scoperta di Rowse ha entusiasmato un altro giovane studioso inglese, Roger Prior, della Belfast University: è lui che ha riportato alla luce tutta la storia della famiglia Bassano. Secondo Prior, questa famiglia giunse in Inghilterra da Venezia, durante il regno di Enrico VIII. Con tutta probabilità si trattava di ebrei italiani, originari della cittadina di Bassano, dalla quale fuggivano per sottrarsi alla persecuzione religiosa.
Ma in che modo Emilia Bassano sarebbe venuta in contatto con William Shakespeare? E quando? Per capire le risposte che Rowse dà a queste domande, sarà bene rifarsi un momento alla giovinezza di Shakespeare.
Quando viveva a Stratford, una cittadina a centotrenta chilometri da Londra, Shakespeare, secondo le sue stesse parole, era un ragazzo di «temperamento vivace» e «allegro», allegro al punto che all'età di diciotto anni mise incinta una zitella del paese, Ann Hathaway, di otto anni e mezzo più vecchia di lui. «Willy», naturalmente, fece il proprio dovere e la sposò. Cinque mesi più tardi, nel maggio del 1583, Ann mise al mondo la loro primogenita, Susanna, e venti mesi dopo un paio di gemelli, Hamnet e Judith.
Il grande balzo in avanti della sua carriera (abbandonati figli e moglie) avvenne nel 1590-91, quando fu ammesso alla corte del conte di Southampton, che a quel tempo aveva sì e no diciassette o diciotto anni, ma, come molti nobili dell'epoca, manteneva in casa sua una corte di attori, poeti e musicisti. A lui Shakespeare legò una parte del suo destino. Di Henry Wriothesley conte di Southampton, secondo Rowse, si sa che aveva una vita sessuale tutt'altro che limpida. A lui Shakespeare dedicò un verso del sonetto 108 che recita: «Tu sei mio, io sono tuo». Fu Oscar Wilde il primo a tirar fuori la storia che fra i due esistesse un solido rapporto omosessuale. «Ma Wilde aveva, come dire, un certo interesse a sostenere la tesi dell'omosessualità. Invece quello fra il poeta e il conte, se fu amore, fu solo platonico», spiega Rowse.
Il periodo trascorso alla corte di Southampton fu invece la vera «università» di Shakespeare. Era infatti un circolo colto, raffinato «nel quale poteva trovare rispondenza la natura del poeta». Nelle sue opere, dice Rowse, spesso Shakespeare sottolinea quanto dovesse a questa esperienza, che fu di cardinale importanza nello sviluppo della sua personalità. Bisogna anche considerare il fatto che nel 1592 e nel 1593 a Londra c'era la peste e perciò tutti i teatri erano chiusi. Se non fosse stato per la sua posizione di attore, commediografo e poeta in casa del conte di Southampton, Shakespeare non avrebbe avuto modo di sostentarsi e forse nemmeno di sopravvivere.
Fu anzi proprio alla corte di Southampton, sostiene Rowse, che Shakespeare conobbe Emilia Bassano nel 1591 o 1592. Fu quindi in casa del conte che il poeta si innamorò di lei, ci andò a letto e finì poi per scoprire con orrore che quella donna lo aveva coinvolto in un pericoloso triangolo amoroso con lo stesso giovane conte. Ma vediamo ora cosa ha scoperto Rowse a proposito di Emilia Bassano.
Circa cinque anni dopo, e precisamente nel 1597, pare che Emilia abbia consultato il medico e astrologo Simon Forman, per farsi predire se suo marito, un certo Alphonso Lanier, di origine francese, sarebbe stato nominato cavaliere e se lei di conseguenza sarebbe diventata una dama. Forman, con l'occasione, entrò anche lui a fare parte della folta schiera di amanti di Emilia, e scrisse nei suoi taccuini qualche breve annotazione su di lei. Questi taccuini sono oggi conservati a Oxford, nella Bodleian Library. Rowse ebbe già occasione di consultarli circa un quarto di secolo fa, senza tuttavia riuscire a cogliere, a quella prima lettura, l'importanza della figura di Emilia Bassano, anche perché si trattava di pagine zeppe di simboli astrologici e di passaggi farraginosi e confusi. Nel 1972 Rowse tornò a studiare questi manoscritti e fu allora che il personaggio di Emilia Bassano gli balzò agli occhi in tutto il suo rilievo.
Emilia aveva raccontato a Forman di avere avuto una vita infelice. Suo padre, il musico di corte Battista Bassano, era morto nel 1576, senza avere mai sposato sua madre, una donna inglese di nome Margaret Johnson. Alla morte del padre, Emilia era dunque una bimbetta di sei anni. Nel 1587, un anno prima dell'impresa dell'Invencible Armada, le morì anche la madre. Emilia rimase quindi orfana a soli diciassette anni. Dotata d'un certo talento musicale e d'un bel paio d'occhioni bruni all'italiana, Emilia non ebbe difficoltà a entrare alla corte della contessa di Kent. Qui venne subito notata da uno dei più potenti nobili inglesi, Henry Carey, figlio di Maria, sorella di Anna Bolena, e quindi cugino primo di Elisabetta. La regina lo aveva nominato lord Hunsdon e ne aveva fatto il lord Ciambellano del suo regno.
Nel 1588, anno dell'impresa dell'Invencible Armada, lord Hunsdon era stato mandato a Kent per occuparsi dei problemi della difesa. Hunsdon era già un uomo di mezza età, un soldataccio dai modi rudi. Emilia Bassano aveva allora diciotto anni e, divenuta l'amante di Hunsdon, rimase sua compagna per parecchio tempo. Quando Emilia restò incinta, il lord Ciambellano si affrettò a farla sposare con un musico di corte. Come la stessa Emilia raccontò a Simon Forman, «finché era stata l'amante di lord Hunsdon, il lord Ciambellano, era vissuta con grande fasto. Ma una volta rimasta incinta, era stata costretta a sposare un menestrello».
Questo menestrello, un personaggio abbastanza simile al padre di Emilia, era un musicista di corte di nome Alphonso Lanier. Originariamente doveva chiamarsi Alphonse, dato che la famiglia era recentemente emigrata in Inghilterra da Rouen. Mentre i Bassano rimasero in Inghilterra per generazioni, i Lanier emigrarono ben presto negli Stati Uniti, dove infatti il nome Lanier esiste ancora. Ad esempio il vero nome del commediografo Tennessee Williams è Thomas Lanier.
Poco dopo il matrimonio forzato con Alphonso Lanier, che non amava, Emilia Bassano, cortigiana frivola e ancora giovanissima, venne in contatto con Shakespeare. Tanto Alphonso Lanier che Shakespeare erano infatti legati alla corte del duca di Southampton. Questo è il punto che Rowse ha potuto accertare mediante altre fonti. Rowse è perciò convinto che Emilia Bassano sia diventata l'amante di Shakespeare nel 1591 o 1592. Il poeta fu attratto da lei non solo per il suo fascino sensuale, ma anche per le ingiustizie che Emilia aveva patito nella sua vita. Shakespeare, sostiene Rowse, esprime molto bene la situazione nel distico di chiusura del sonetto 150: «Che se l'esser tu indegna in me risvegliò amore / Tanto io più degno d'esser da te amato». L'indegnità di Emilia consisterebbe nel fatto che era stata cacciata dal lord Ciambellano, aveva fallito come dama di corte e aveva messo al mondo un figlio bastardo.
Rowse crede anche d'individuare nella quarta commedia di Shakespeare, Pene d'amor perdute, scritta nel 1593, un ritratto del poeta nel personaggio di Byron e di Emilia nel personaggio di
Rosaline, descritta assai più bruna di quanto non ammettessero i correnti canoni della bellezza femminile e perciò nata «per far bello il nero».
Nell'anno precedente, cioè nel 1592, quando si trovava alla corte di Southampton ormai da un anno ed era già innamorato di Emilia, ammesso che Rowse abbia ragione, Shakespeare scrisse due commedie, precisamente I due gentiluomini di Verona e La bisbetica domata. La prima ambientata a Verona e la seconda a Padova. Visto che Emilia era discendente da una famiglia veneta, questa coincidenza porta con sé un'altra serie di interessanti supposizioni. La cosa è tanto più notevole se si pensa che Romeo e Giulietta (1594-95) si svolge a Verona e che tanto Il Mercante di Venezia (1596) che Otello (1605) sono ambientati a Venezia. Anzi, possiamo arrivare a dire che tutte le opere «italiane» di Shakespeare, fatta eccezione per i drammi storici, come il Giulio Cesare, sono ambientate nel Veneto, compresa La dodicesima notte (composta nel 1601) descritta come se si svolgesse in Illiria.
Naturalmente Emilia Bassano non era l'unica fonte d'informazione per queste ambientazioni in Italia. Shakespeare potrebbe avere letto anche la History of Italy di William Thomas e un libro di racconti intitolato Il Pecorone. Anche Giovanni Florio, tutore del conte di Southampton, discendeva da una famiglia ebrea italiana, e potrebbe avere contribuito ad arricchire le nozioni di Shakespeare sul Rinascimento italiano. Del resto a quel tempo in Inghilterra molta gente colta parlava l'italiano, compresa la regina Elisabetta. Il fatto comunque che tutte queste commedie siano ambientate nel Veneto e che il tema dell'ebreo italiano compaia nel Mercante di Venezia costituisce per lo meno un legame preciso con la presenza di Emilia Bassano alla corte di Southampton. Anzi, nel Mercante di Venezia c'è perfino un personaggio che si chiama Bassanio.
La relazione amorosa tra Shakespeare e la «dama bruna» non ebbe un lieto fine. Dagli ultimi sonetti si capisce che lei lo tradì in modo da suscitare nel poeta grande ansia e angoscia. Il sonetto 144 ci racconta come andarono le cose.
«Due amori io posseggo, conforto e dannazione, / Che a modo di due spiriti mi governano ognora, / Uomo d'alta bellezza l'angelo mio migliore, / Donna di mal colore il dèmone malvagio. / A tosto suadermi all'inferno, quella donnesca peste / L'angiol mio buono dal mio fianco seduce, / E a corrompere adopra quel santo in un demonio».
I due amori, afferma con certezza Rowse, sono il conte di Southampton, che Shakespeare nel fiorito linguaggio dell'epoca chiama «l'angiol mio buono», e Emilia Bassano, «la donnesca peste» con la sua «fosca libidine». Se l'interpretazione di Rowse è esatta, Emilia Bassano avrebbe iniziato il giovane conte ai piaceri del sesso e Shakespeare, che aveva allora ventinove anni contro i ventidue di Emilia e i diciannove del conte di Southampton, non solo fu sconvolto dalla gelosia, ma si preoccupò anche moltissimo per la propria posizione personale in casa di Southampton, tanto più che il conte aveva una madre molto severa e attaccatissima al figlio. Shakespeare si preoccupava anche di quali sarebbero state le reazioni del conte e del pericolo che contraesse qualche malattia venerea da una donna così infedele.
Nel 1596 Shakespeare aveva lasciato la corte del conte di Southampton per diventare azionista della compagnia teatrale del lord Ciambellano, proprio quel lord Hunsdon che era stato un tempo l'amante di Emilia Bassano e che era il padre del suo figlio bastardo. «Sarebbe divertente immaginare gli sguardi che i due si scambiarono», commenta Rowse. A quel tempo Shakespeare nutriva una grande ostilità nei confronti della sua ex amante. Negli ultimi sonetti infatti fa spesso allusione al colore straordinariamente «scuro» della donna come metafora per indicare il nero della sua anima e della sua morale. Tant'è vero che il distico di chiusura del sonetto 147 suona così: «Che chiara io t'ho giurata e bella ti ho creduta / Tu, nera come l'inferno, come la notte oscura».
Non esiste nessuna prova che dopo d'allora Shakespeare e la sua «dama bruna» si siano più incontrati. Il marito Alphonso salpò con una spedizione su una nave al comando del conte di Southampton, nella speranza di diventare finalmente cavaliere. Il 17 maggio del 1597 Emilia Bassano Lanier si recò infatti nello studio di Simon Forman per farsi predire la fortuna, per farsi dire cioè se il marito sarebbe mai diventato cavaliere e lei dama. Fu appunto così che Forman annotò la visita nei suoi taccuini, quegli stessi taccuini che Rowse ha riaperto più di 375 anni dopo, a Oxford, per scoprirvi l'esistenza di Emilia Bassano.
Ma Rowse non s'è accontentato di scoprire semplicemente l'esistenza di Emilia. Infatti ha trovato e messo insieme quattro volumi di manoscritti, le uniche copie rimaste d'un notevole volume di versi scritto e pubblicato da questa donna. Il libro aveva un titolo molto curioso, Salve Deus Rex Judaeorum (Salve Dio Re degli ebrei). Sul frontespizio di questo libriccino, datato 1611, c'era un indice: 1) Passione di Cristo. 2) Apologia di Eva in difesa delle donne. 3) Le lacrime delle figlie di Gerusalemme. 4) Salutazione e dolore della Vergine Maria.
Questo volumetto in versi era insomma il primo trattato femminista di tutta la storia della letteratura inglese, anzi possiamo a buon diritto dire della letteratura mondiale. Emilia Bassano aveva riversato in quelle pagine tutto il rancore accumulato contro gli uomini, e nella prefazione se la prende con «quegli uomini d'indole malvagia, che dimentichi d'esser nati da donne, allevati da donne, e che se non fosse per le donne il genere umano si estinguerebbe... disprezzano come le vipere il grembo che li ha nutriti».
In fondo Emilia non aveva tutti i torti a sentirsi tanto amareggiata. Lord Hunsdon, il padre di suo figlio, non solo l'aveva costretta a sposare un uomo che non amava, ma aveva permesso al marito di dilapidarle anche la dote che era riuscita a farsi assegnare dal lord Ciambellano. Così per lo meno raccontò a Simon Forman, che a sua volta non mancò di annotare che Emilia era una donna di carnagione molto scura. Nei suoi taccuini per la verità Forman non fa il minimo accenno a un rapporto tra Emilia Bassano e Shakespeare. Probabilmente Shakespeare costituiva solo un episodio marginale nella vita di Emilia, una vecchia fiamma che suscitava ancora in lei qualche risentimento. Dopo tutto il poeta aveva scritto pubblicamente della sua «fosca libidine». È vero che i sonetti di Shakespeare non vennero pubblicati che nel 1609, ma già prima di questa data circolavano in manoscritto nella cerchia di Southampton.
È toccato quindi a Shakespeare avere l'ultima parola. Le sue opere infatti sono state conservate e consacrate come la più grande produzione letteraria della storia, mentre il poema di Emilia, in 240 stanze, e con quel suo strano titolo, vendette pochissime copie e sparì poi rapidamente, inghiottito dall'oblio. Rowse, che lo ha riscoperto tanti secoli dopo, sostiene che il maggior merito del poema è se non altro di dimostrare che Emilia Bassano «era una donna molto colta, che aveva letto ampiamente la Bibbia e tutti i classici preferiti del Rinascimento».
Che sia stata quindi questa donna a sussurrare i racconti «italiani» all'orecchio del suo geniale e affascinato amante? Racconti della sua infanzia, dei suoi vari parenti di Bassano, che servirono la corona inglese per oltre cento anni, come musici di corte, dopo essere fuggiti dalla città natale (come ha scritto Roger Prior) dopo la Lega di Cambrai, nel 1516, quando gli ebrei furono banditi da Bassano.

L'Europeo, 23 Febbraio 1981

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