10.10.16

Berlino (Est) anni 80. Le avventure di tre donne-uomo (Laura Lilli)

Christa Wolf
«Bisognerebbe essere un uomo» usava ripetere a se stessa Valeska, «una donna addottorata che viveva nella città di Berlino e lavorava in un istituto di scienza dell'alimentazione». Se lo ripeteva perché le piaceva, sì, andare a letto col marito Rudolf, «che faceva il suo stesso mestiere»: ma era logorata dal fatto che egli non sopportasse «una donna che si dia delle arie» e, soprattutto, che avesse insaziabili pretese di ordine domestico senza accettare, da parte sua, di muovere un dito. Tuttavia il ritornello se lo veniva dicendo senza troppa convinzione, tanto per sfogarsi con se stessa. Ed ecco che invece si ritrova uomo. Seguono infinite complicazioni e un lieto (e sarcastico) fine.
Katharina, invece, che «lavorava nel settore ricerche di una grande industria ed era considerata una valente collaboratrice», non ripeteva a se stessa proprio niente. Accettava il suo ruolo così com'era, anche per economia di sentimenti. Addirittura «ne traeva gradevoli implicazioni»: per esempio un gioco matematico — un «modello» — dalla stesura del bucato.
Aveva per amico un camionista, Albert. Quando, di colpo, si ritrova maschio, non sta lì a meravigliarsi. Va al pratico. Prima, «seduto al tavolo di cucina, aveva cominciato a prender nota degli oggetti che la nuova situazione rendeva urgentemente indispensabili: mocassini, pigiama, una giacca di pelle, calze, biancheria, cigarillos, maglioni e un paralume diverso». Poi, «decise, prima di addormentarsi, di pensare al suo nome. Albert non avrebbe trovato di meglio che Max, e non era poi così male. Dunque, Max». Quando Albert torna con il suo camion, non si meraviglia nemmeno lui. I due spalano insieme il carbone per 1' inverno e avvitano i bulloni del camion, da amiconi.
La Protagonista dell'Esperimento, infine, non ha un nome. E' una scienziata anche lei: e si sottopone volontariamente a una trasformazione di sesso in laboratorio mediante «Petersein (prezzemolo, n.d.r.) masculinum 199». Interrompe però di colpo l'esperimento quando si accorge che sta, sì, diventando, «indifferente come un vero uomo: ma mi coglievano ancora attacchi dell'antica inquietudine». (Inquietudine, va da sé «scioccamente» femminile).
Le tre donne-uomo sono le eroine di altrettanti racconti, Fulmine a del sereno (che dà il titolo alla raccolta), La buona novella di Valeska e Mutazione, scritti rispettivamente dalle tedesche orientali Sarah Kirsch, Irmtraud Morgner, Christa Wolf, appena pubblicati dalla Tartaruga (pagg. 109, lire 6.800). Mutano sesso: ma mancano talmente di ambiguità che è difficile chiamarle «ermafroditi».
A differenza del magico Orlando di Virginia Woolf (che, tra l'altro, nasce di sesso maschile, mentre questi personaggi vengono al mondo come donne) non hanno nulla di fiabesco, né di incantato, né di quella «eterna adolescenza» dell'ermafrodito, appunto, di cui ha parlato anche Ida Magli in questa pagina, proprio a proposito dell'Orlando. Intanto, sono tutte fra i trenta e i quarant'anni. Poi — ad eccezione dell'«indifferente» Katharina-Max (un'indifferenza, la sua, tutt'altro che casuale, da «maschio-robot») — appartengono tutte a un sesso puntigliosamente definito in ogni contorno: sono donne. Oltre che donne, sono femministe: e tanto profondamente da non aver bisogno di manifesti e dichiarazioni di principio. Il femminismo, in loro, è una pianta che ormai ha attecchito e butta nuovi germogli. Questi germogli consistono, soprattutto, di una ironia secca e continua, come colpi di mitragliatrice. Le voci di queste donne si immaginano roche, aspre «berlinesi» come quella di Jenny delle Spelonche. Berlino, d'altronde — una Berlino iperrazionalizzata dal socialismo «reale» dell'Est e dall'algore della scienza, a cui tutte e tre le donne sono legate — è presente di continuo fra le righe.
Si tratta di un universo culturale lontanissimo da quello della Woolf (dove, malgrado Virginia
fosse al centro della 'fortezza' Bloomsbury, quasi tutti le davano torto: si pensi alla freddezza, condita di qualche sarcasmo, che accolse Le tre ghinee). Qui, invece, diventare androgini — cioè entrare, per un essere umano nato femmina, nell'universo maschile — non è più una fantastica avventura nel mito, nella favola o nell'inconscio. È solo un viaggio nello squallore di un ruolo culturale e sociale. Vissuto, si badi, con razionalità assoluta, con totale mancanza di vittimismo e con quell'ironia brusca, spietata di qui si diceva: tratti che ben poco hanno a che fare con lo stereotipo di una letteratura «al femminile» ingenua, narcisistica, autobiografica.
È ben vero che di questa diversa letteratura, fino ad oggi, non ce ne è stata molta. Con i loro esercizi sull'Ermafrodito, queste tre scrittrici ci dicono che, ormai, esiste una letteratura femminista adulta, una letteratura che comincia a costruire una sua metafora. In questo caso, una metafora di Berlino. E, per essere ancora più precisi, di Berlino Est: ma la «berlinitudine» è così forte, che c'è da chiedersi se dall'altra parte del muro questi racconti sarebbero poi stati tanto diversi.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1981

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