8.10.16

Molti anni dopo Gabo Màrquez (Antonio D'Orrico)

“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». Oppure. «Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di "higuerones" sotto una pioggerella tenera...».
Se volessimo fare un gioco della torre letterario per scegliere l'attacco romanzesco più bello degli ultimi vent'anni, l'estremo, lacerante dilemma non potrebbe che essere tra l'inizio di Cent'anni di solitudine e quello di Cronaca di una morte annunciata (e anche i titoli non scherzano).
La ricetta degli attacchi di Màrquez contiene quasi sempre gli stessi ingredienti, soprattutto la morte. Con immagini di morte (i lugubri avvoltoi) inizia appunto L'autunno del patriarca, con l'odore della morte (le esalazioni del cianuro) comincia L'amore ai tempi del colera. Ma, detto questo, la domanda resta: qual è l'attacco più bello di Màrquez? Nelle prime, indimenticabili righe di Cent'anni di solitudine suonano inconfondibili i rintocchi che preannunciano la gloria letteraria e il destino favoloso del libro. Ora lo sappiamo, Buendia non sarà fucilato. Santiago Nasar invece verrà ucciso senza scampo: il libro inizia quando è già finito. Cronaca di una morte annunciata, in questo senso, è un romanzo postumo, mentre Cent'anni di solitudine è un libro che, in realtà, non finisce mai.


L'EUROPEO / 2 MAGGIO 1987

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