Vittorio Gassman nel ruolo di Amleto (1960) |
Nessuno legge, gli indici
d'ascolto alle voci della letteratura vera e propria sono irrisori
non solo per i contemporanei (là è la catastrofe) ma per i classici
più canonizzati. Siamo tanto abituati a ricevere meste informazioni
del genere che si drizza l'orecchio se appena appena si fa la
scoperta di un segno contrario e minimamente ottimistico.
Tanto più se ci si
accorge che era una scoperta ovvia, bastava occuparsene un momento,
la cosa era lì. Per esempio ho visto che l'Amleto della BUR,
con introduzione e testo a fronte a cura del compianto Gabriele
Baldini, ha raggiunto qualche settimana fa la sesta edizione. Ci sono
altri analoghi «Amleti» sul mercato; pure, già per questo solo,
l'unità di misura delle vendite nel corso delle regolari edizioni
non è stato il migliaio ma la decina di migliaia. Abbiamo ciò che
direi il minibestseller tranquillo e durevole.
Un dramma
«irregolare»
Ci saranno molti altri
casi del genere e mi affretto a venire a un altro punto, che è poi
il più importante. Ho colto qui al balzo il caso di un'opera
drammatica, anzi addirittura della più famosa e rappresentata,
forse, al mondo. E il punto è questo: le regolari vendite
segnalerebbero una persistente domanda del testo completo.
Continuando nell'ipotesi ottimista, immaginiamo un lettore che dopo
aver conosciuto vari Amleti, da quelli con il teschio a quelli sul
sofà dello psicanalista o in altre posizioni, leggendolo ora intero
e dando magari qualche occhiata alla pagina sinistra con l'originale,
arrivi a concludere che l'eccessivo protagonismo di tanti Amleti vada
a svantaggio di tutti, spettatori e Amleto stesso compresi.
Insomma è il momento di
provare a vedere, su qualche campione dell'immenso dramma, se il
protagonista non diventi più interessante e attuale quando lo si
veda, in posizione eminente senza dubbio, ma in un pieno contesto
politico e familiare.
La coppia di aggettivi è
opportuna perché «Amleto sara anche un dramma «irregolare» e un
po' scombussolato ma rimane, se occorre dirlo, nella grande
tradizione classica presentando una dimensione individuale e
domestica insieme a una dimensione pubblica, come le grandi tragedie
dell'antichità basate sui miti di Argo e di Tebe.
Solo che qui, nonostante
le apparenze danesi e l'epoca relativamente remota, siamo chiaramente
in una società, un regno, e una corte, un «palazzo»,
rinascimentali ossia «moderni». C'è un sovrano che detiene il
potere e buona parte dell'azione ha a che fare con il modo in cui
quel potere è stato raggiunto e con i mezzi per mantenerlo. E c'è
una struttura del «palazzo»: il re ha intorno a sé vari cortigiani
fra i quali Amleto, il principe ereditario, è solo il più in vista.
Il modo in cui lo Stato e
la corte di «Danimarca» sono presentati fin dalle prime battute è
ben noto: in immagini di corruzione e marciume. E già qui si può
limitare l'eccessiva concentrazione sul protagonista e contenere
l'attesa di chi vede nei suoi soliloqui qualcosa come le arie di un
tenore favorito; la sua posizione di denunciatore della decadenza
attuale, e la maggiore pezza d'appoggio per la sua denuncia —
l'assassinio di suo padre e il conseguente desiderio di ottenere
vendetta e purificare la corte distruggendo il re attuale sono
fattori essenziali ma non fanno tutto il dramma. E poi, del resto, la
situazione pubblica viene indicata - e Marcello ha pronunciato il
famoso «C'è qualcosa di marcio... » - prima che Amleto abbia
parlato con lo spettro di suo padre e appreso quella versione
dell'antefatto tragico.
Insomma fin dal principio
il senso di incombenti pericoli esterni, (non a caso si comincia con
le sentinelle a guardia di notte sugli spalti del castello) e di
lacerazione interna trascendono la storia personale di Amleto, della
vendetta, del delitto di re Claudio: questi appaiono come altrettanti
sin- tomi di un più generale quadro di corruzione e di disfacimento.
Sino dalla prima assemblea di corte i due eminenti giovani
cortigiani, Amleto e Laerte, progettano solo di andarsene, sono cioè
il contrario dei fedeli paladini e «supports du tròne» al modo
stesso che Claudio, colpevole di assassinio, e poi, sposando la
regina Gertrude, di un atto che il vigente codice bolla come
incestuoso, è il puntuale capovolgimento dell'ideale «pater
patriae» e «pater familias».
Sempre geniale e
affascinante è la maniera in cui tale sovvertimento è espresso nei
termini scenici, piani e visibili, della vita e delle istituzioni di
corte. Siamo probabilmente di fronte a una delle più brillanti
definizioni di ciò che costituisca l'«andare a pezzi» di una
società. Come in tutte le fasi tarde e decadenti di una struttura
sociale o artistica (la corte in certo modo è ambedue queste cose),
invece di sostanza abbiamo apparenza, le facciate adorne e vuote;
così Polonio, che dopo Amleto è la figura più eminente della casa
reale, è presentato satiricamente nelle sue formalità verbali e
nelle sue vacue norme di condotta. Il linguaggio si svuota, è
elaboratissima ovvietà. Le maniere diventano manierismi. E le
tradizionali forme e istituzioni, le pompe e le solennità della vita
di corte, appaiono in varianti corrotte e distorte. Il linguaggio
dell'amore cortese diventa per opera di Amleto una parodia di «civil
conversazione» nella scena del «teatro nel teatro» dove il teatro
stesso, tradizionale istituzione di corte, è usato politicamente dal
protagonista per intrappolare e smascherare il re.
Ci sono i noti elementi
di grottesco nel modo di trattare le situazioni macabre e funebri,
basti pensare alla morte di Polonio, scambiato per il re e infilzato
dietro l'arazzo, o ai celeberrimi riti per Ofelia. E infine il torneo
d'armi, tipico test di valore e di destrezza dei cortigiani di fronte
al loro re, qui per disegno del re stesso si trasforma nella grande,
conclusiva carneficina. E chi ha invitato Amleto a quella festa è
Osric, la «libellula», la caricatura delle vuote formalità
cortigianesche.
È palese quindi che
tanti Amleti prevalentemente interiorizzati e autocontemplativi
rimangono un po' astratti; il personaggio è completo non in un luogo
della mente registica ma piuttosto nella dimensione del regno e della
corte con i loro svariati modi d'azione, meccanismi e conflitti.
L'indeciso rapporto fra pensiero e realizzazione, intento e atto,
nella condotta del protagonista — tema quant'altri mai calcato
negli innumerevoli Amleti dei secoli — trova il suo grande analogo
nello sfasciarsi di quelle norme di condotta che avrebbero guidato le
azioni pubbliche in un «palazzo» bene governato e che ora hanno
perso dignità e valore.
Un codice
alternativo
In un quadro pubblico
così desolato e infetto, ci si domanda se Amleto stia cercando
salvezza in un suo codice alternativo di condotta, magari stravagante
e folle; ma in realtà il principe sembra troppo immerso non solo
nella disperazione ma proprio in quel meccanismo di corte al quale
inevitabilmente appartiene, per cui il suo umore balzano, la sua
«antic disposition», è una mossa strategica, la sua follia
è politica, tutt'altra cosa da quella di Ofelia con le sue
canzonette orrendamente strazianti e dolci. Tuttavia, il tono
melanconico e spesso moraleggiante del discorso di Amleto, e lo
stesso desiderio di vendetta, paiono indicare nostalgia di un mondo,
come dobbiamo supporre sia stato quello di suo padre, retto da
rapporti leali e da rispettati codici d'onore.
Degno di nota a questo
proposito è l'atteggiamento di Amleto verso Fortebraccio. Non di
rado «tagliato» in produzioni amletiche attraverso i secoli,
Fortebraccio è personaggio verso il quale il drammaturgo attira la
nostra attenzione proprio all'inizio della tragedia, e in modo
decisivo alla fine. È in lui che paiono essersi conservati ideali e
codici oggi corrotti e stravolti alla corte «danese» ed è lui,
naturalmente, che ha il «voto» per la successione dalla moribonda
voce di Amleto. E cavallerescamente dichiara che se non fosse
successo tutto quel che è successo (e che Orazio ha appena riassunto
in versi tra i più memorabili della letteratura drammatica di tutti
i tempi) Amleto si sarebbe probabilmente dimostrato molto degno della
regalità.
Corriere della Sera,
lunedì 13 agosto 1984
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